Dolorose considerazioni del cuore

 

Autrice:

Sandra Petrignani

 

 

Casa Editrice:

Nottetempo

 

 

Data Pubblicazione:

 

 

Dal suo rifugio sotto le coperte, Tina racconta a Vittoria, amica amatissima, persa e ritrovata, i fatti, il disordine e i ricordi degli anni in cui una brusca rottura le ha tenute lontane. Nel tentativo di ricondurre a un unico, ricorrente malamore i tanti modi in cui ha amato, Tina recupera dai suoi cassetti brani di romanzi incompiuti e li annoda alla testimonianza di un presente insopportabile. L’assistenza a due genitori anziani, incattiviti da una relazione infelice, riporta in superficie le sofferenze infantili e permette di ricomporre gli indizi di un antico rifiuto. Si delinea cosí l’“autobiografia di una borderline” dalla caotica vita sentimentale, nella quale gli affetti vivono di strappi e tormentosi ritorni. Eppure il cielo resta alto sulle rovine e una ricomposizione è possibile. Un romanzo intenso e struggente sulla difficoltà di amare e di conoscersi.

 

 

Recensioni

 

Dolorose considerazioni del cuore di Sandra Petrignani di Cristina Trinzoni

 

Affascinante … Sin dal titolo si annuncia come un racconto confessione, crudelmente sincero, in cui pulsa il segreto delta vita, the si trasforma, si adatta, si ribella, mette alla prova. Par di sentirla la voce di Tina, the racconta all’amica, perduta e ritrovata, le età della sua vita, e gli amori. Con feroce, scorticata introspezione psicologica. Per ritrovarsi. Per ritrovare se stessa. La scrittura è tesa, vibrante, attraversata da un senso di nostalgia e di libertà. Mescolato al dolore, c’è una sorta di dolcezza, di riconciliazione con le ferite dell’infanzia. Chiudendo il bel libro della Petrignani vengono alla mente le parole di Lalla Romano: “Si perde ciò che si è amato, ma solo ciò che è perduto ritorna”.

 

Psychology – aprile 2009

 

 

Quell’esistenza disordinata e oscura che abita una donna di Giuseppe Amoroso

 

Vuole mettere i fatti della sua esistenza «uno dopo l’altro e in disordine, anche», certa che alla fine si possano comporre in un quadro. Il racconto di Tina all’amica Vittoria, perduta per futili motivi e ritrovata a distanza di anni, intende portare alla superficie quel qualcosa di oscuro che fermenta dentro e contemplarlo e descriverlo.”Dolorose considerazioni del cuore” (Nottetempo pp. 183, euro 14) di Sandra Petrignani è un romanzo di spietata analisi psicologica che trova lo scatto rivelatore nell’incontro di una linea orizzontale, polarizzata da una parola colloquiale e limpida, rastremata e snella, e da una linea verticale movimentata da una parola ribel1e, che si arroventa e si centrifuga nel rivisitato fondo dell’infanzia, «combustibile» degli scrittori.Il ritmo elastico trasmette senza urti le tematiche più gravi, i colori forti, il saettìo di qualche motivo indocile, saldandoli ad una struttura narrativa compatta, pur se declinata in spazi volutamente difformi, e dettata da una felicità inventiva che segue gli impulsi della confessione, non impiegando meccaniche protezioni letterarie, ma restando aperta ad un dosata regola di elegante fraseggio, di pensieri e massime, di sguardi oltre le apparenze.Si parla di una creatura di confine cui piace «provocare la sofferenza» e liberarsi della «precisione dei ricordi» al fine di lasciare libera l’immaginazione. «Mosaico» di tessere leggere ma incise di pena, la donna, bisognosa fin dalla tenera età di affetti e «risucchiata dalle sabbie mobili», prende il bello dei giorni senza preoccuparsi; compie disordinate esperienze sentimentali, si lascia trascinare dagli eventi «straniera sempre nella vita» e in viaggio con il «paesaggio che scorre dietro un vetro».Sandra Petrignani ascolta il lesto sgocciolare dei minuti, il vuoto che si forma intorno a una svagata libertà; il silenzio degli oggetti che non sanno trattenere la storia di chi li ha posseduti; cambia prospettive, osserva con pietà gli uomini «murati in infinite solitudini». Dal suo «rifugio antiatomico sotto le coperte», 1’io narrante (in cui 1’autrice riflette i suoi tormenti) vede la casa franare con gli abitanti: il vecchio padre, «balena ferita a morte», e la madre che si perde nel nulla con gli occhi pieni di pianto.Cronaca di ogni mossa, il libro è insieme romanzo che non trova una «guari-gione finale» e diario di un’angoscia che tutto assorbe. La fisionomia delle cose, 1a luce dell’aria, i gesti si incarnano in una prosa agglutinante che si addensa attorno a nuclei di significato, a quel senso di sacralità della sofferenza che nasce dal suo accadere implacabile, fermo e slittante nell’ambiguità. In rapida successione le unità narrative inglobano gli spazi del parlato, mentre domina la rappresentazione articolata anche di quegli indizi limitati che divengono piccolissimi universi di salvezza: «siamo uscite all’aria aperta. I vicoli di Trastevere si stavano animando».

 

La Gazzetta del Mezzogiorno del 24/2/2009

 

 

Capire tutto senza capire niente di Anna Maria Crispino

 

C’è una generazione di scrittrici – bambine negli anni Cinquanta, adolescenti nei Sessanta, passate dalle parti del ’68 e spesso più o meno segnate dal femminismo – che riesce a fare della incandescente materia del vivere una fonte inesauribile di narrazione che parte dall’esperienza e si fa letteratura. Letteratura, senza aggettivi, perché, come nel caso di Sandra Petrignani, c’è una ricerca – sofferta e complessa, crediamo – non solo sulla materia, sulla trama, sui personaggi, ma sulla forma romanzo e sulla lingua che può rendere-aderire a, dire – quella singola storia, quel flusso di racconto e riflessione, fuori da ogni canone già dato. Il suo ultimo romanzo, Dolorose considerazioni del cuore, si presenta infatti come una lettera-racconto in prima persona ad un ”tu” -1’amica Vittoria, persa per un banale litigio e ora ritrovata – ma presto assume un andamento labirintico, discontinuo nel tempo e nello spazio, che ci cattura senza scampo. Inoltrandosi nella narrazione – scandita in 15 capitoli, di cui 7, alternandosi agli altri, hanno lo stesso titolo: ”Sotto le coperte” – si ha la sensazione di entrare nel guscio sinuoso di una conchiglia, in cui ad ogni passo cambia la prospettiva e ogni volta si perde la visione d’insieme. E’ un dire la complessità dell’esperienza soggettiva in una rete di relazioni. Petrignani coglie magistralmente il divenire del suo personaggio nel tempo, un tempo non lineare ma spiraliforme, che accumula continuamente ciò che (le) accade e allo stesso tempo la memoria dell’accaduto e il modo in cui viene raccontato. E’ da adulta passata per la psicoanalisi e con il fardello di due genitori anziani che Tina, il suo io narrante, rilegge la sua infanzia di malamore materno e distrazione paterna, lui è un seduttore, un ”eroe” preso dal lavoro. Ma non c’è la fissità del ricordo congelato, dei sen-timenti non elaborati che schiacciano senza scampo perché il tempo della resa dei conti è ormai passato, come quello della speranza o del-1’aspettativa di un risarcimento, di una riparazione. Per tutti gli attori in scena: «Non bisogna pretendere di essere amati a modo nostro, bisogna lasciare gli altri liberi di essere quello che sono, di amare come possono. Ma quel che possono non deve tradursi in umiliazione e inganno. Mia madre avrebbe dovuto abbandonare min padre finché era in tempo. Viene il giorno che non si è più in tempo per niente, il giorno in cui si è fatto tardi per tutto e la vita, allora, non è che un destino mancato, una vecchiaia piagnucolosa, uno stillicidio di giorni vuoti e nerissimi» (p. 175). Tina/Petrignani parla della madre, ma parla anche per/di sé: «Ero sicura di averla perdonata, ma non ci sono mai veramente riuscita» (p.151). Perché quello che Tina, da adulta, comprende del suo romanzo famigliare è il frutto di ciò che ha vissuto, della sua memoria e dell’aver pensato le sue relazioni con i genitori, con gli uomini, con le amiche. Con Vittoria, in particolare, cui la lettera è diretta come gesto di accettazione della diversità dell’Altra, della necessità dell’Altra, la consapevolezza del valore dell’amicizia femminile: «Almeno io e te, Vittoria, [il passato] ce lo siamo raccontato alla stessa maniera e ora penso che questa lettera non l’ho scritta da sola, l’ho scritta insieme a te» (p. 175). Un’alterità che invece appare come un ostacolo insuperabile nel rapporto con gli uomini: con Yann, ad esempio, 1’amante francese di un tempo della giovinezza in cui sembrava eccitante essere 1’oggetto conteso dell’amore di due uomini, due amici, come in Jules e Jim. Con un uomo così Tina non ha più nulla in comune «nemmeno il passato perché ce lo raccontiamo diversamente» (p. 174) e dunque nulla da dirsi. Ma è 1’amore stesso per un uomo – per tutti gli uomini di una vita – a sfumare in una nuova consapevolezza di sé quando 1’età e la perdita del potere del sesso spingono Tina – e un’intera generazione di donne affette da delirio di onnipotenza a causa dell’improvvisa libertà – verso altre emozioni e altra bellezza: « […] credevamo che la vita davvero coincidesse con la passione, e che la passione fosse un senso, che il senso della vita fosse amare ed essere amate, non importa come e a che prezzo, non importa se chiamavamo amore qualcosa che non gli somigliava nemmeno un po’» (P.128).

 

Leggendaria del 12/2009

 

 

Dolorose confessioni di una mangiatrice d’uomini di Antonio Debenedetti

 

«Ho pensato ai miei amanti, a quelli che mi amano e a quelli che no, a quelli che lo dicono e a quelli che lo nascondono. Mi sono chiesta se io li amo, se ne amo almeno uno. Ho risposto che non lo so». Caspita!, il lettore non può che trasalire sorpreso e incuriosito. A suggerire a Sandra Petrignani queste dolorose considerazioni de1 cuore (Nottetempo, pp. 181, € 14) è dunque una mangiatrice d’uomini consumatasi insperatamente viva in un’epoca scettica e svogliata come l’attuale? Poi, più avanti, a pagina 45, Tina (come si chiama la disinibita protagonista) dichiara strizzando 1’occhio ai cinefili d’antan e sfidando il linguaggio dell’amore via sms: «A me piaceva che fossimo in tre. Avevo in mente ]ules o Jim». Ci sarà chi, pensando a Jeanne Moreau, forse non proprio bella ma femminile e sexy come nessuna, farà un salto sulla sedia! :1 stuzzicare il voyeur, nascosto in ogni lettore, interviene comunque un’inquietante confessione di rinforzo: «Era un ragazzo fatale. Ne avrei incontrati molti, dopo, di maschi del suo tipo, seduttori nevrotici, uomini di cui m’innamoro facilmente. Li conosco e li riconosco per istinto, sono della mia pasta, non riesco a temerli come sarebbe consigliabile e a starne alla larga». E dopo? Che cosa succede? Niente di quanto lascerebbe immaginare un inizio lavorato tenendo sapientemente d’occhio le lezioni di Colette, della Anaïs Nin dei Diari non senza un pizzico di Sex and the City all’italiana. Dolorose considerazioni de1 cuore non e una storia erotica ma una confessione a tratti cupa, esasperata. Sentimentalmente bulimica Tina, mettendosi a nudo senza riguardi né per se né per il lettore, si addentra a riferire il rapporto con i propri genitori. Li mostra quali le apparivano nell’infanzia, e poi, con calcolato contrasto, come sono in età avanzata. Si leggono, allora, pagine davvero impietose. Bastino, tra tutte, queste poche righe: «Vedo due che ho conosciuto giovani, che hanno fatto il bello e il cattivo tempo nella mia vita… li vedo arrancare e zoppicare, incespicare sul pavimento e nelle parole, dire cose senza senso, perdere la memoria». Che farci? Io, vecchio, ho pensato a me e ho avuto una gran paura. Senza con-tare che l’impazienza nei confronti degli anziani, del loro disperato aggrapparsi alla vita, giunge inaspettata da parte di un’autrice che nel 1994 ci aveva dato un bellissimo libro, fra romanzo e reportage, dedicato appunto alla terza età. L’amicizia fra donne e il terzo, il più risolto tema toccato in queste considerazioni del cuore. Vittoria, incontrata per caso dopo un vuoto e un silenzio durati tre anni, diventa l’interlocutrice privilegiata di Tina, una muta e dolce presenza che incalza il suo bisogno di scandalizzare ma per essere assolta e capita. La prima destinataria d’un autoritratto in pubblico nato come sofferta alternativa al romanzo. Alla fine è proprio l’intelligenza analitica dell’autrice molto più che il cuore della protagonista a convincere in queste pagine che raccontano la sconfitta dei sentimenti d’una borghese degli anni 2000.

 

Il Corriere della sera, 23/02/2009

 

 

Al cuore si deve comandare di Pier Mario Fasanotti

 

L’infanzia come combustibile narrativo, il tornare indietro per cercare nella memoria la verifica di un presente doloroso, l’autoanalisi che ustiona ma getta luce su percorsi di vita. Un diario inusuale e raffinatissimo quello di Sandra Petrignani (Dolorose considerazioni del cuore, Nottetempo pagg. 181, euro 14). Pagine scritte da una creatura di confine che procede tra oppressioni familiari e balzi amorosi. Compaiono brani narrativi rimasti incom¬piuti, rimandi ad avvertenze che scuotono l’essere. Come quella di Goethe: Non possiamo essere niente 1’uno per 1’altra, e siamo troppo 1’uno per 1’al¬tra. Un testo coraggioso, il tentativo di sgusciare fuori dalla gabbia della vecchiaia e dare un contorno all’universo con cui si è sempre in credito.

 

Il Giornale del 8/3/2009

 

 

Memorie di una farfalla crudele di Manuela Grassi

 

Confidandosi a Vittoria, amica perduta e ritrovata, la protago¬nista Tina «mette in fila» i fatti della sua vita. Pezzi di romanzi non finiti che, come scheg¬ge di specchio, 1’autrice ricompone per disegnare un’identità di donna. Una seduttrice, leg¬gera come una farfalla ma con un buco nel cuore, «una ferita che duole da quando e nata». L’infanzia borderline, segnata dal rifiuto materno e dall’amore appassionato per un padre-eroe (i genitori sono ritratti anche da vecchi, sofferenti e nemici), e il terreno di cui si e nutrita la «malattia dell’amore» che 1’ha afflitta per tutta la vita. Tina è una vampira gentile, come lo sono gli uomini da cui è fatalmente attratta, controfigure distorte dell’immagine paterna. Il giovane bruno incontrato a 17 anni a Parigi (in un triangolo da.Jules et Jim, con morbosità alla Duras) o1’amante passionale dal cuore freddo, figura moraviana con tocchi tragici che Tina trasforma in un suo doppio. Petrignani ha scritto un romanzo «scandaloso», pieno di un dolore che non lascia indenni. (Manuela Grassi) DOLOROSE CONSIDERAZIONI DEL CUORE – Nottetempo 183 pagine 14 euro

 

Panorama, 5/03/2009

 

 

DOLOROSE CONSIDERAZIONI. Una lunga lettera sulle ragioni dell’amore. Ma la realtà riscoperta è “troppo letteraria”. di Filippo La Porta

 

Sandra Petrignani non ci invita affatto ad andare dove ci porta il cuore, il quale anzi trama spesso contro la nostra felicità e avvelena 1’esistenza. Dolorose considerazioni del cuore (Nottetempo) si presenta come un libro scritto «da sotto le coperte», dunque in uno spazio intimo, casto, quasi protetto, nel quale si e disperatamente sinceri con se stessi. È una lunga lettera di Tina all’amica Vittoria, ritrovata dopo tre anni di separazione. È anche diario esistenziale, autobiografia interiore, dolente meditazione su ciò di cui parliamo quando parliamo di amore. Dico subito che il libro è scritto benissimo. Aggiungo solo che avrebbe potuto essere più radicale nelle conclusioni, come cercherò di spiegare. Ho sempre apprezzato nella Petrignani una miracolosa, solo apparente naturalezza della scrittura, qualità che è invece creazione artigianale lavorata con pazienza. Si pensi solo a come usa il discorso diretto, che quasi scivola spontaneamente dal registro della narrazione: «Hai detto lo so, ma non hai mai fatto commenti. Ho detto che ho capito che cos’e un matrimonio. ”Cos’e” hai chiesto. ”Un’amicizia con una complicazione”. ”Quale complicazione?”…» Si parte dall’infanzia, vero ”combustibile” di ogni scrittore, e di lì all’adolescenza, alla formazione sentimentale, in cui si affastellano domande via via più urgenti: sappiamo di amare solo quando soffriamo per qualcuno? Se un amore finisce vuol dire che non e amore? L’amore e in-conciliabile con l’eros (che sempre separa)? Più ancora della materia auto-biografica e psicologica – la noia del1’infanzia, i genitori che si odiano, la mitizzazione del padre, la concitazione delle feste familiari, e poi infatua-zioni, tradimenti, proiezioni, ménage parigini a tre – è interessante il disegno di un destino (quella cosa di cui si occupano solo chiromanti e romanzieri). E si tratta del destino di una donna ribelle e con vocazione al martirio, risentita verso il mondo e orgogliosamente autarchica, spirito libero (come 1’aria e gli uccelli) ma con vocazione masochista, farfalla lieve che ha paura di posarsi ed essere afferrata. L’io narrante trova poco a poco le ”parole per dirlo”, quelle parole che sfuggono alla madre ormai anziana e svanita. Nell’abbraccio finale con 1’amica ritrovata., e superando ogni belligeranza, sembra cogliere un senso della vita fino a quel momento velato. Non vi è happy end, perche Dio ci ha creato tutti «impropri e rancorosi e inetti». Però dal fondo di una vita semi-sprofondata nelle sabbie mobili cresce il fiore del loto di una contemplazione stupita delle forme ”meravigliose, inutili” delle nuvole: «Godersi lo spettacolo, anche se e uno spettacolo crudele, della pericolosa altezza del cielo». Ricordate Totò in quel sublime cortometraggio di Pasolini: «Ah, straziante, meravigliosa bellezza del creato». Straziante perche la sua promessa non si mantiene del tutto. Accennavo a uno sforzo ulteriore che avrebbe potuto fare il romanzo. Quella incapacità di vivere davvero I’amore, se non per esserne ”devastati”, è una malattia che trascende la psicologia della protagonista, e riguarda le radici della modernità. nasce da un, svalutazione della realtà, considerata insufficiente, «troppo inferiore alla mia abilità fantastica», come dice Tina, e dunque bisognosa di compensazioni, di vertigini. E se la realtà contenesse invece qualcosa che né la fantasia né i sogni contengono? Lei si racconta e racconta continuamente storie, anche solo per ”sopravvivere”. Ma se fosse questa la ”corazza” che la protegge dagli abbracci e dall’esperienza stessa? E come se alla vita si preferisse il racconto della Vita, assai più manipolabile. Perché allora, ci si può domandare, non smettere per un momento di raccontare? Non metto in dubbio il percorso di Tina, la quieta contemplazione del cielo, la registrazione quasi zen della bellezza di ogni oggetto, oltre le intemperanze del cuore. Ma nel momento in cui ce la racconta anche questa scoperta diventa troppo letteraria, autocompiaciuta, e dunque un po’ meno vera. Ne è consapevole?

 

Il riformista, 21/02/2009

 

 

Chi dice amore di Tiziana Lo Porto

 

L’innamoramento è come una malattia da cui è dato guarire. Altro è l’amore, che se finisce vuoi dire che ”non era amore”. Così Tina, protagonista e voce narrante nel nuovo romanzo di Sandra Petrignani, indagine accurata, densa e bella sull’amore e le sue derive. Tina si racconta già a inizio libro come una donna borderline che ricerca la guarigione nella scrittura e nell’analisi. E tra ì due estremi – malattia e guarigione – lascia scorrere una sequenza ben narrata di eventi che ricompongono i pezzi della sua educazione sentimentale. Come definirebbe l’amore? Cercare di rispettare l’altro. Figlio, compagno, compagna o genitore che sia. Quando ci innamoriamo invece vediamo l’altro come una nostra immagine ingigantita. E l’innamoramento, infatti e per fortuna, finisce. L’amore no? Puoi perdere – e anche facilmente – la passione, ma non l’amore. Perché chiamare la sua protagonista Tina? Per Tina Modotti. Una donna che ha sofferto, ma ha avuto una vita spregiudicata, all’avanguardia. Dei nome mi piaceva il fatto che da Tina sia diventata Tinissima.

 

Io donna, supplemento a La Repubblica, 24/01/2009

 

 

Petrignani, i dolori di una seduttrice Due amiche e il racconto di amori dolci e devastanti di Renato Minore

 

Un incontro casuale, un’amica ritrovata dopo anni di separazione “per futili motivi”, come può capitare nei rapporti tra donne; e così la cinquantenne Tina si racconta all’amica Vittoria, per lei raccoglie e seleziona i fatti della sua vita, come tanti anelli dispersi di una collana. Una confidenza continua e avvolgente, procede per illuminazioni, ricordi, emozioni, riflessioni che scorrono così come si affastellano gli eventi della sua esistenza in una dolorosa ricerca di identità. Come in un nastro di «fredde osservazioni della mente e dolorose considerazioni del cuore» che è l’imprinting della scrittura – appassionata e analitica insieme – di Dolorose considerazioni del cuore (Nottetempo, 182 pagine 14 euro), il nuovo romanzo di Sandra Petrignani. E’ un discorso quello di Tina, metaforicamente avviato dal caldo rifugio di una coperta che tira in ballo un’intera esistenza, con le sue schegge impazzite, le sue storie, le sue distruzioni improvvise, liberamente attraversata come sotto lo sguardo di uno psicoanalista (che a un certo punto compare ma dice formule nel loro tecnicismo convenzionali e prevedibili). Lei è una nata bordeline che continua a scivolare tra amori e amicizie, pronta a farsi colpire e a restare tramortita. «Ci sono amori dolci e amori devastanti. I miei erano devastanti, riuscivo a far sì che lo fossero anche quando non lo erano. Dovevo essere infelice, era la mia modalità, almeno sino al giorno in cui sentiamo che dobbiamo sopravvivere, uscire dall’incantesimo»: così si confessa ripercorrendo il catalogo di conquiste sentimentali ed erotiche. Dall’incontro con il giovane intellettuale e amico fraterno a Parigi a 17 anni vissuto in un clima alla Jules e Jim (e inutilmente rincorso trenta anni dopo) al «fratello crudele di tanti amori passati» rivissuto nella «perfezione malata» di un intellettuale abbastanza sadico, che aggiunge al racconto una storia di cupa ossessione erotica pressoché autonomamente sviluppata. Una seduttrice «leggera come una farfalla» che è stata da sempre segnata dal rifiuto materno e dall’amore appassionato per un padre quasi eroe: il concime di cui si è nutrita «la malattia d’amore». Che l’ha colpito da sempre: dall’infanzia vissuta tra esclusioni, dolori, incomprensioni, agli anni centrali della giovinezza e alla maturità conquistata anche attraverso la consapevolezza di sé e del rapporto con i genitori che tornano nel racconto, in pagine pietosamente crudeli e amorevolmente dilanianti, ormai anziani e bisognosi di assistenza: «Vedo due che ho conosciuto giovani, che hanno fatto il bello e il cattivo tempo nella mia vita, li vedo arrancare e zoppicare, incespicare sul pavimento e nelle parole, dire cose senza senso, perdere la memoria». Un percorso analitico avvolto in forma narrativa che la Petrignani pare racchiudere in una domanda e in una risposta legittima: «C’e qualcosa di più importante della vita? Il modo di viverla, probabilmente». E se la vita di Tina sembra annaspare alla ricerca di quel “modo”, la scrittura della Petrignani nel ritratto di Tina avvia un percorso di conoscenza tra confessioni e sentimenti impietosamente illuminati, con una leggerezza dal tratto quasi adolescenziale e minimale. Così l’io che scrive scopre che l’io di Tina- il suo personaggio- non ha fondamento né continuità: non può che registrarne una dolorosa inconsistenza nei cui scarti e nelle cui afasie si muove con l’agilità e la strategia di un’anguilla. Come chi, per meglio capirsi e capire il mondo adulto in cui s’aggira e soffre, debba ancora rifugiarsi sotto il soffice manto di una coperta

 

Il Messaggero del 4 marzo 2009

 

 

Dolorose considerazioni del cuore di Giorgio Montefoschi

 

È vorace e, da bulimica, vomita ogni boccone. Così nella testa non le resta nulla. Nel cuore c’e un buco, una ferita che duole da quando e nata, una voragine che nessuno ha riempito, perche nessuno l’ha mai vista». Con queste parole, crude e inappellabili, Tina, la protagonista del romanzo di Sandra Petrignani, descrive se stessa quando era ragazza. Il romanzo è scritto in forma di lettera a un’amica,Vittoria, incontrata dopo tre anni. Ma al suo interno, contempla brani di altri romanzi non conclusi, nei quali la protagonista-scrittrice ha continuato a indagare su quella voragine e su quella ferita, in poche parole sulla sua turbinosa vita. Qual è il ritratto che si ricompone da questa operazione che mette insieme tante tessere separata come quelle di un puzzle? È presto detto. Da una parte abbiamo le ragioni, o perlomeno i tentativi di spiegare le origini de1 vulnus infantile: e queste stanno non solo nel mancato affetto dei genitori, bensì in una specie di dolore esistenziale, che ha origine con la nascita. Dall’altra, vediamo il disordinato, bulimico e impossibile tentativo di colmare quel vuoto con l’amore. A conti fatti, decisamente superiori sono le pagine che toccano 1’aspetto più profondo de1 malessere psicologico. Anche perché il rapporto mancato e rimpianto con i genitori è un rapporto che il trascorrere del tempo ha condotto a un’altra soglia, quella del loro deperimento fisico e mentale. Insomma, ha condotto padre e madre davanti al buio della morre. Senonché questo buio e questa angoscia non possono non toccare Tina. Una donna matura che sembra aver rinunciato a certe chimere e certi stereotipi dell’amore totale e invece, forse riluttante, è costretta a scoprire nel suo cuore il sentimento della pietà. È lì che Sandra Petrignani, sorprendendo se stessa, raggiunge gli esiti più convincenti.

 

Io supplemento settimanale femminile al Corriere della sera del 14/3/2009

 

 

Petrignani, mélange di biografie di Massimo Onofri

 

Che romanzo è Dolorose considerazioni del cuore? Leggo a pagina 149: «Il segno comune di questi giorni è il ritorno al passato, come dovessi riallacciare antichi nodi, scioglierne altri. Vecchi manoscritti, amiche ritrovate, diari recuperati». Ecco: per quanto non si possa non parlare di romanzo, la scrittura impegna qui una materia spuria e di diversa provenienza. E spuria, aggiungo, anche perché lavorata, non senza residui, in una direzione evidentemente – e dolorosamente – autobiografica, con 1’avvertenza, però, che letteratura e memoria, quando procedono in concorso, lo fanno sempre a fini fraudolenti, barando: «Il passato lo ricordiamo come ci pare, lo sistemiamo nella nostra biografia come meglio ci conviene. Lo raccontiamo agli altri, o nei romanzi, con molta libertà». E, allora: che romanzo é questo di Sandra Petrignani? Ci sono quella specie di lettere scritte da sotto le coperte, che Tina, la protagonista, indirizza all’amica Vittoria: perduta senza un perché, e senza un perché, ritrovata. C’è 1’Autobiografia di una bordèrline in cui Tina, alla luce d’una feroce introspezione ritorna all’infanzia e al difficilissimo, penoso rapporto coi genitori, ora anziani e sofferenti, provando finalmente a schiodarsi dalle croci della sua nevrosi. Ci sono i vent’anni della giovinezza venturosa e libertina di Tina, segnata dalle linee d’un triangolo amoroso parigino – insieme a Yann e Jean-Brice -, per arrivare a capire d’essere stata soltanto la ricca posta d’una. partita crudelmente e irresponsabilmente maschile. C’è il romanzo incompiuto e a quattro mani, scritto con Yann: per tornare a inter-rogarsi, dopo tanti anni, d’un amore forse mai nato, d’un altro perduto o solo impossibile. C’è la maturità d’amori volatili e impersonali, ossessivamente reiterati: per arrivare sulle oscure e ottuse ragioni del sesso, alla verità più scorticata e scandalosa, ontologicamente incestuosa si direbbe, come recitano le pagine intitolate Addio fratello crudele. Con una casta e fin quasi serena postilla: «Per questo chi fa dell’amore il suo centro deve sottrarsi all’eros che separa e consuma». Tina è una che ha sempre amato le parole. Le parole sono la sua unica bussola. Ma cosa possano le parole di fronte a un padre seduttore e così alto da scalare? Davanti a una madre insensibile e distratta, perennemente umiliata? Che cosa possono di fronte a due genitori malati che si odiano? Di fronte a una vecchiaia sordida e disarmata così lontana da quegli indici di saggezza e dignità che la tradizione classica e ciceroniana ci ha consegnato? Che cosa davanti all’opaca. e indecente eloquenza dell’amore? Forse nulla, o quasi nulla: se non il traguardo, qui ed ora, d’una struggente, quasi placata, finitezza. E la convinzione che più della vita, conta forse il viverla. Del resto: «C’è qualcosa importante della vita? Il modo di viverla probabilmente».

 

L’avvenire 21/01/2009

 

 

Tina, che cammina sul ciglio dell’esistenza di Valeria Parrella

 

C’è una virtù, nei libri che la possiedono, che non lascia mai il lettore indifferente, a prescindere dall’esito e dalla trama: la sincerità. Questa traspare da ogni parola di Dolorose considerazioni del cuore, titolo scelto da Sandra Petrignani (foto) e tratto da un verso di Eugenia Ginzburg che le affiancava e metteva in antitesi alle ”fredde osservazioni della mente”. Sincerità non vuol dire autobiografia o verità: significa che la Petrignani instaura, con l’espediente della confessione a un’amica ritrovata, con un discorso alla Camus recitato da un caldo rifugio tra le coperte, un rapporto diretto con il lettore, che si trova tirato in un’esistenza intera, fatta di frammenti, di costruzioni e distruzioni progressive. Quella di Tina: una donna che, agli occhi di chi è ”allineato”, é nata ”borderline” e continua a camminare sul ciglio degli amori e delle amicizie, pronta a farsi colpire e affondare, ma che ottiene l’insperato risultato di far sentire tutti nelle stesse condizioni, con una specie di disarmante richiesta di assoluzione e aiuto che le si accorda senza dubbio, qualora la si accordi anche a se stessi.

 

Grazia 26/01/2009

 

 

Libro del giorno: Petrignani, la vita tra amore e paura di Paolo Petroni

 

Un libro sul passato che non passa e la difficoltà di superarlo, un libro per liberarsi dei genitori, ma, alla fine, un romanzo d’amore, che dalla paura arriva a una riconciliazione con la vita e la scoperta della possibilità del suo sbocciare, in qualsiasi momento. Questo nuovo romanzo di Sandra Petrignani comincia con la protagonista al riparo, sotto le coperte del proprio letto, impaurita, anche se speranzosa, e finisce all’aria aperta, a Trastevere, con un abbraccio forte e lungo che è una sorta di ”sospensione idillica”. Leggendolo poi pare di poter dire che, certe volte, la scrittura femminile esiste, fatta di confessioni, di messa a nudo di sentimenti, e soprattutto di una leggerezza espressiva adolescenziale che guarda proprio ai sentimenti con occhi non cresciuti, di chi, anche da adulto, intimorito, si rifugia appunto sotto una coperta come faceva da piccolo, per proteggere l’autocommiserazione e l’autolesionismo. II racconto inizia con un incontro casuale e con la decisione della protagonista di chiamare un’amica comune, di quelle di sempre, con cui invece, per un fraintendimento, per non si sa bene cosa, i rapporti si erano improvvisamente troncati, senza rancore, ma inesorabilmente. Ma se le radici sono forti, basta poco per ritrovarsi come non fosse accaduto nulla, per riprendere a chiacchierare con la confidenza di sempre. Specie se, nel frattempo, si è cercato di fare chiarezza su se stessi, visto che è solo volendosi bene che si può anche voler bene. Lei si sente un elefante, anche se gli altri la vedono come una farfalla, pensava di voler diventare una quercia, da betulla qual’era, ma il problema vero, al di là dei vomiti,e delle manifestazioni fisiche, era il suo buco nel cuore. Le ’dolorose considerazioni del cuore’ sono quelle che ripercorrono e spiegano come possa essere malato l’amore: ”Ci sono amori dolci e amori devastanti. i miei erano devastanti, riuscivo a far sì che lo fossero anche quando non lo erano.” Dovevo essere infelice, era la mia modalità”, almeno sino al giorno in cui sentiamo che ”dobbiamo ¬sopravvivere, uscire dall’incantesimo”. Ogni libro, probabilmente, è una sorta di percorso di conoscenza di sé per l’autore, e certi, come questo, sembrano esserlo esplicitamente, perché propongono un percorso analitico del protagonista, ricostruito in forma narrativa, tanto che quel che convince meno è proprio quando entra in scena lo psicanalista, con le sue affermazioni semplicistiche e inutili. Così si procede per illuminazioni, per ricordi, emozioni e riflessioni legate alla narrazione di fatti, e, non a caso, tutto ha un suo culmine nel rapporto con i genitori, la madre distante e il padre troppo amato, ormai vecchi e bisognosi di assistenza. E la soluzione in una domanda e una risposta: ”C’è qualcosa di più importante della vita? II modo di viverla, probabilmente”. (ANSA).

 

ANSA 23/01/2009

 

 

Quando i genitori ti segnano la vita Sandra Petrignani ha scritto Dolorose considerazioni del cuore. Un romanzo forte, toccante. Lidia Ravera l’ha letto e qui ci racconta la sua commozione di Lidia Ravera

 

«Torno a cercare un punto di equilibrio fra due poli: le fredde osservazioni della mente e 1e dolorose considerazioni del cuore». Così finisce il conciso, malinconico e affascinante romanzo Dolorose considerazioni del cuore (edizioni Nottetempo), in cui Sandra Petrignani, giornalista ma soprattutto scrittrice, rivolgendosi a una amica ritrovata dopo una di quelle separazioni «per futili motivi» che spesso segnano i «rapporti fra donne», racconta le età della sua vita. Lo stile è quella intensa e lieve, crudelmente sincero, delle confidenze: quando, a tarda sera, davanti a una persona che senti simile e dalla quale quindi non ti devi difendere, getti la maschera delle tue adulte sicurezze e ti liberi dei tuoi pensieri su te stessa. Parli, e il passato prende forma: l’infanzia, pullulante di adulti spietatamente distrattî che non si accorgono mai di niente, né dell’angoscia al primo giorno d’asilo né del desiderio d’essere vista da un padre seduttivo e assente o amata da una madre triste, tutta gelosia e sconfitte. La giovinezza, occupata da amori voraci ma intercambiabili, perché unificati da quella unica, urgente funzione: riempire un vuoto, medicare la ferita dell’infanzia. E finalmente, con la maturità, che è il punto di vista del libro, il presente: un deserta di straziante bellezza. L’io narrante, 50enne, si trova a dover gestire, comprendere e sopportare la vecchiaia degli dei che hanno ferito la bambina del passato, condizionando la ragazza e la donna. La madre è quasi demente, il padre, ancora lucido, recita una forza che sta scomparendo. La compassione, come un amore finalmente reale, illumina di vera poesia pagine di puntiglioso rea-lismo. A costringere Dolorose considerazioni del cuore in una categoria alla moda, si potrebbe parlare di ”autofiction”, dove gli scrittori, mescolando verità e invenzione, parlano di sé fuor di metafora. Ma Petrignani, come Lalla Romano prima di lei, evocando il suo dolore particolare arriva dritta a1 nostro, universale. E, molto razionalmente, ci commuove. Anche perché è una donna?

 

Donna moderna n.4 – 28/01/2009

 

 

Petrignani: Assolutista, paranoide: la ferita sempre aperta di una donna C’è una tigre nella gazzella di Giovanni Tesio

 

Io ho due case, due cani un gatto, un figlio grande e due matrimoni, ma entrambi alle spalle. È in sintesi estrema il consuntivo di una vita, dietro cui si nasconde tutto il resto, che è molto di più. La protagonista dell’ultimo romanzo di Sandra Petrignani, Dolorose considerazloni del cuore (nottetempo, pp. 184, €14), è una donna che si confessa a un’amica – ritrovata dopo tre anni di separazione – a cui scrive “da sotto le coperte”, come da un “rifugio” da una “capanna”, da una sorta di grembo protettivo. La Petrignani continua il suo scavo dentro il bisogno d’amore che ci attanaglia e che – così sentenziava il Flaiano citato net romanzo precedente, Come fratello e sorella – “non può nascere che dall’oscuro desiderio che è in noi stessi di ripetere le sconfitte infantili”. Esattamente quanto nel resoconto della narrante Tina all’ amica Vittoria diventa: “L’infanzia è il combustibile degli scrittori, anche quando sembrano parlare d’altro”. Tra dichiarazioni, ricordi, sedute psicoanalitiche, intrichi affettivi, confessioni dolorose, confusioni sentimentali, desideri arditi, sbilanciamenti e mascheramenti plurimi, turbe alimentari (bulimia e anoressia in bilico), le figure di un padre-eroe e di una madre succuba, giunte a penosa vecchiaia in una reciproca sordità, il resoconto procede quasi per salti, in una sintassi ansimante. Assolutista. paranoide, “una tigre chiusa dentro una gazzella”, Tina scrive la storia o 1’autobiografia (come dice lei stessa) “di una borderline», di una donna difficile e contraddittoria, abitata da immagini contrastanti e “infestata dal l’insicurezza, sempre in cerca di risarcire una ferita aperta. Che tuttavia finisce par trovare un fantasma di saggezza, l’ombra lieve di una complicità recuperata, di un’amicizia da accudire, di un punto in cui sostare. Per una nuova partenza che sappia finalmente accogliere il possibile vantaggio della sua imprescindibile e vitale imperfezione.

 

Tuttolibri, supplemento a La Stampa, 21/02/2009

 

 

Libri: Dolorose considerazioni del cuore di Nicoletta Tiliacos

 

Tina se ne sta. nascosta sotto le coperte, in uno di quei giorni che le fanno sentir voglia soltanto di un rifugio lontano da tutto, Da quella specie di capanna, così simile a quelle che i bambini costruiscono proprio con le coperte, per giocare ai nomadi o ai naufraghi, scrive all’amica ritrovata, Vittoria. Tina, sempre lei, attraversa a lunghi passi ponte Sisto, a notte fonda, nel freddo ”secco e profondo” di un febbraio romano. Un brandello di vita all’apparenza insignificante, che all’improvviso le fa provare, come mai prima le era accaduto, la certezza di aderire del tutto – testa, cuore, corpo – alla propria esistenza: ”Sono questa cosa qui”, si dice Tina, e crede per questo di riconoscere i segni di una piena Felicità. Tina parla a Vittoria per ritrovare qualcosa di se stessa, per far coincidere la donna sopraffatta sotto le coperte con la donna spavalda che attraversa il ponte e si ama come non mai. Tina parla a Vittoria e le racconta della propria vita nei tre anni della loro lontananza. Provocata forse da motivi futili, dagli inciampi nei quali si arenano anche le amicizie più tenaci, ma dei quali non importa più cercare le colpe. Fa pensare allo scioglimento pri-maverile dopo una lunga glaciazione, questo libro di Sandra Petrignani, nato dal dialogo tra i pensieri protetti ”sotto le coperte” e la spietata e spudorata ”autobiografia di una borderline”. Due linee di narrazione che si alternano e alla fine si confondono nella successione dei quindici capitoli. La protagonista e io narrante è sempre Tina. Non e una donna dalla doppia personalità: quel doppio registro le è necessario per prendere le giuste distanze dalle cose e per fare i conti con una ferita antica. Una ferita profonda, nella quale la sua educazione sentimentale si è trovata costretta e plasmata come sabbia bagnata nelle formine. La ferita originaria e la paura – la certezza – di non essere stata mai davvero amata da sua madre. Una donna angosciata e distratta, troppo occupata a sentirsi inadeguata e dunque incapace di vera attenzione per la propria bambina, se non nella forma episodica di un’ansia distruttiva, colpevolizzata e colpevolizzante: ”Non ero portata per la candivisione – scrive Tina – ero portata per le forti emozioni. Chi avrebbe dovuto insegnarmi la tenerezza, non ne sapeva nulla e nulla ne sapevano gli uomini che piacevano a me”. Gli uomini di Tina: dai primi ragazzi dell’adolescenza ai molti amanti che non sanno di dover fare i conti con 1’attaccamento da lei provato per un padre ”dolce e terribile’”, archetipo maschile inarrivabile. L’adorato ”mein papa” dl Tina, il grande seduttore amato da tutti, l’uomo in fuga, il maschio elusivo e imprendibile. Il riferimento della bambina, che soltanto con lui si sente precariamente pro-tetta, quando c’e. L’uomo misterioso che forse, in guerra, ha ucciso, perché era nel1’ordine delle cose. Ricordi familiari lontani e frammenti di vita recente rimandano gli uni agli altri, mentre il gelo si scioglie e le vite si spogliano. Si rivela, nel racconto, la provvidenziale e scandalosa nudità delle cose: quella dei corpi che raggiungono la verità della vecchiaia (i corpi dei genitori, la loro memoria che vacilla e si sottrae al mondo reale) e quella delle relazioni. C’e un amore crudele, perfettamente nudo nella ferocia e nei moventi, incapace di giustifi-carsi se non nel desiderio di annientamento, che fa pensare alla scontro tra due meteoriti nel vuoto dell’universo. Se ora Tina può parlarne, se può raccontare tutto a Vittoria e a se stessa, è perché da quella e da altre malattie è guarita: è guarita scrivendo. Ora è pronta ad accogliere 1’abbraccio della madre malata, che finalmente le dice: ”Ho solo te”. Tutto trova quiete nel grande disegno che contiene il ”piccolo disegno delle nostre vite”.

 

Il foglio, 25/02/2009

 

 

al circolo dei lettori di Torino – il 7/04/2009 di Augusto Romano

 

una donna che ha superato la mezza età e, in modo capricciosamente sincopato, parla di sé e del proprio passato a un’amica. Sotto la cruda luce dei riflettori compaiono, scompaiono, tornano a comparire una madre assente, distratta, assolutamente non rispecchiante, delusa dalle scarse attenzioni del marito, e un padre narciso e seduttore, che illude e poi delude la figlia. Genitori prima giovani e poi vecchi, visti allora nella loro miseria, nella corruzione della carne e della mente, che Tina – questo è il nome della protagonista – affronta con fastidio e distacco, salvo qualche raro momento di tenerezza. L’altra struttura portante del monologo di Tina sono gli amori, che in gioventù si connotano per una spiccata seduttività che copre la mancanza di autentici slanci, e approdano nell’età matura a una relazione senza sbocco. In ogni caso, relazioni amorose inesistenti, volta a volta giocate sul registro del cinismo o su quello di un pathos tanto più gridato quanto meno ispirato dalla realtà dell’altro; caso mai, una esaltazione senza oggetto, un desiderio di fusione che si sa impossibile e che diventa una droga distruttiva e autodistruttiva. Se l’amore è scambio, qui ci troviamo agli antipodi. Del resto, la nostra Tina preferisce il racconto, l’affabulazione, la realtà corrotta, rifatta, imbellettata, alla vita. Prima ho ricordato La tana di Kafka. Ora mi vengono in mente le Memorie del sottosuolo di Dostoevski. E’ in quei testi che vanno rintracciati i modelli esemplari della storia di Tina. Con il che siamo giunti al secondo livello del romanzo, che potremmo chiamare il livello della riflessione clinica e della diagnosi. Svariati capitoli del libro sono intitolati Autobiografia di una borderline. L’io narrante, che è accompagnato dalla figura alquanto sbiadita di uno psicoanalista, si interroga sulla propria patologia e risponde: border line. Se accettiamo il gioco, non sembra dubbio che la protagonista presenti numerosi tratti di marginalità, e specialmente una sindrome narcisistica molto marcata. Quando vi ho raccontato, anche se in modo sintetico, la trama della confessione di Tina, avrete notato che ciò che manca a questa donna è la capacità di nutrire sentimenti, di avere pietà, indulgenza, empatia, capacità di perdonare e di accudire. Asserragliata dentro il passato familiare, il suo sentirsi vittima la autorizza a essere crudele. Malgrado i tanti rapporti, Tina è sola, murata in se stessa, priva di relazioni col mondo. Riconosciamo qui la fragilità dell’Io; l’incapacità di reggere le frustrazioni; il bisogno fusionale che, inappagato, si converte improvvisamente in attacchi furibondi contro l’oggetto d’amore; la freddezza del cuore; il distacco; la costante scontentezza; la rabbia che copre la disperazione. Dice Tina: “Dovevo disfarmi dell’amore che provavo, perché altrimenti qualcun altro avrebbe distrutto me.” E’ forse per questo che mi sono ricordato de La tana di Kafka. Tina dice anche: “Sono sempre in credito d’affetto con l’universo, è l’universo a non amarmi abbastanza.” E lo psicoanalista, in uno dei rari interventi, commenta: “Si sopravvive indossando una corazza che non fa passare nulla, che difende dalle aggressioni, ma anche dagli abbracci.” Sebbene, come dice, “murata in infinite solitudini” – o forse proprio per questo – Tina non rinuncia a incarnare un ruolo eroico – e sia pure di eroe perdente o, ancor meglio, di eroe negativo – e così orchestra una grandiosa rappresentazione retorica, giocata prevalentemente su i toni del sentimentalismo e della indulgenza verso se stessa, cui fa da controcanto la facile musica della frivolezza mondana. Sta di fatto che Tina è chiusa nella sua solitudine, in un universo straordinariamente angusto, in una sorta di cupa o irridente autosufficienza claustrofilica. Il mondo non si affaccia mai nei suoi occhi. Credo che qui la signora Petrignani abbia colto un tratto fondamentale che caratterizza il soggettivismo esasperato non solo di un personaggio ma di una società che si crede libera ed è solo confusa, anomica, priva di identità e di riferimenti. Il romanzo classico – tanto per dire, Anna Karenina, che pure è un romanzo di passione amorosa – metteva sempre in scena la tensione tra il dentro e il fuori, tra l’individuo e la società, tra norma e trasgressione; anzi, di quella tensione si nutriva. In questo libro, la società non esiste più, non c’è tensione verso un possibile trascendimento, non c’è dialettica ma solo regressione. Si è come si è, e questo basta. E’ merito dell’autrice aver colto, nell’apparente svagatezza dei toni, la misura di questa tragedia. I due livelli che ho brevemente esaminato integrano quella che potremmo definire la dimensione “mondana” di questo romanzo. Mi è parso però di rintracciare un terzo livello, nel quale la dimensione “mondana” lascia il campo alla dimensione “mitica”. Si tratta del livello che chiamerò gnostico. In esso fa la sua comparsa il tema della caduta. Allineo qui tre brevi frasi della protagonista. “Nascere è stata la morte, la separazione […] Siamo stati gettati nudi e soli all’inferno.” E poi: “E’ più facile girare le spalle verso un nuovo sogno che scendere a patti.” E infine: “Non potersi mai fare davvero compagnia[…] [Siamo] gettati nell’universo, solo precariamente legati alla terra.” Il pensiero gnostico, fiorito più o meno all’inizio dell’era cristiana, pur nelle sue molteplici diramazioni concorda nella credenza che il mondo sia stato creato da una Potenza malvagia e che sia perciò il regno del male. Ci si salva soltanto se – cosa quasi impossibile – si riesce a uscirne, a recuperare la scintilla divina che in esso si è smarrita. Altrimenti, si resta murati in quell’inferno che è la vita. Mi sembra che questa sia la Weltanschauung, la visione del mondo che questo libro tanto efficacemente illustra. In essa sembra echeggiare la frase di James Joyce: “La storia è un incubo da cui cerco di destarmi.” Sono un lettore ma non un critico, e dunque a malapena oso aggiungere qualcosa sui meriti dell’Autrice. Che a me paiono evidenti. Ella ha infatti vinto la scommessa di mimetizzarsi pienamente dentro la vampiristica protagonista, di mimarne i tic, le inflessioni verbali, vorrei dire le posture; di scavare dentro quell’anima guasta e infelice e di restituirne le vibrazioni; di costruirle intorno con molta sapienza delle situazioni significative. E così di inventare un personaggio, che è anche l’immagine di un mondo. A me resta il ricordo di un romanzo insieme brillante e melanconico, e di un personaggio che, pur nella sua sgradevolezza (anzi, a motivo di questa), muove l’umana pietà.