La mia rubrica su Moby Dick, “Camera con vista” (Liberal, 25/6/11)
Non è detto che un grande successo sia sempre una benedizione. Prendiamo Vercors, lo scrittore francese autore di un racconto leggendario, Il silenzio del mare, ambientato durante la Resistenza e divenuto per gli oltre settanta paesi in cui è stato tradotto il simbolo dell’intransigenza come virtù, del silenzio come arma contro il collaborazionismo. Aveva quarant’anni nel ’42 quando in clandestinità fondò les Editions de Minuit e pubblicò quelle 96 pagine, che De Gaulle avrebbe fatto paracadutare, in francese e in inglese, sopra l’Inghilterra, per stimolare le truppe all’eroismo. Vercors era il nome di una montagna dove si nascondeva da partigiano, ma il suo vero nome suonava Jean Bruller e fin lì si era distinto come seduttore, elegantone e illustratore. Per conquistare una ragazza, che non ne voleva sapere di lui, pubblicò da giovane il suo primo libro umoristico, 21 Ricette pratiche di morte violenta, con divertenti disegni a corredo, in cui si descrivono svariati e fantasiosi suicidi. L’ha riproposto adesso in italiano, e l’anno scorso in francese, la valorosa piccola casa editrice bilingue Portaparole, nota ai proustologi perché si dedica, fra l’altro, a pubblicare testi su Proust e che ha in catalogo diversi titoli di Vercors. Non il suo libro leggendario, però, solidamente presente nel catalogo Einaudi nella bella traduzione che ne fece Natalia Ginzburg. E’ il solo titolo einaudiano di questo autore nonostante la lunga carriera, dopo la guerra. Vercors, infatti. pubblicò ancora molto, soprattutto narrativa e libri storici, ma rimanendo intrappolato in quell’unico racconto che gli aveva dato la celebrità. E tutta la vita soffrì del sentirsi emarginato dalla società letteraria parigina.
Così mi trovo a sfogliare con curiosità e sorpresa Le mariage de Monsieur Lakonik e Frisemouche fait de l’auto, pubblicati anche questi da Portaparole e creati da Vercors, anzi da Bruller, precedentemente al Silenzio del mare, in un’altra vita si potrebbe dire, lontana dall’impegno e dalla politica, anzi totalmente disimpegnata. Sono avventure lievi e divertenti, vagamente surreali, dove tutto finisce sempre per il meglio. Il segno grafico ricorda certi personaggi del Corrierino dei Piccoli. Se non fosse scoppiata la guerra e avesse continuato a chiamarsi col suo vero nome, forse Vercors non sarebbe mai nato, l’umanità avrebbe un capolavoro di meno e lui sarebbe stato più felice. Perché, vivendo fino a novantanni, ha avuto tempo di macerarsi nei rimpianti e nel rincrescimento. Intanto arrivò Jérôme Lindon con i suoi soldi a scippargli nel dopoguerra la casa editrice dove avrebbero pubblicato i nouveaux romanciers e Samuel Beckett e Marguerite Duras… Poi ci fu la sua rottura con i comunisti nel ’56, e fu fra i firmatari nel ‘60 del Manifesto dei 121 contro la guerra d’Algeria. Non contento, ad aggravare il suoi rapporti col PCF, pubblicò un durissimo pamphlet, P.P.C. (vale a dire: Pour Prendre Congé) in cui faceva una spietata autocritica e si congedava non solo dal Partito, ma dalla politica nel suo insieme. Del resto, dopo aver visto con i suoi occhi l’azzeramento delle libertà individuali in Unione Sovietica durante un viaggio che, proprio nel ’56, aveva fatto con Yves Montand, Simone Signoret e Gérard Philippe, uno spirito anarchico e sorridente come il suo non avrebbe potuto continuare a definirsi comunista. Ma il Partito francese, come quello italiano o forse peggio, non era tenero con i dissidenti e lo condannò all’emarginazione culturale.
Vercors (non riuscì più a liberarsi dello pseudonimo) continuò a scrivere romanzi e biografie, saggi, testi teatrali, racconti, ma non fu più capace di coagulare intorno a sé l’interesse e il sostegno dell’intellighenzia cui apparteneva di diritto. Ne soffrì parecchio, dicono i biografi, ma fino a un certo punto se, cinquant’anni dopo le 21 Ricette pratiche di morte violenta, avendo ormai uno stabile e felice rapporto coniugale, decideva di dare alle stampe 101 Ricette di morte lenta, in cui suggerisce i modi di prolungare il più possibile la vita, godendosela prima di tutto a tavola.
Non potrebbe esserci vicenda editoriale più istruttiva di quella che ha rappresentato Il silenzio del mare: un libro nato in fretta e a caldo, per inaugurare le clandestine Editions de Minuit in attesa dei testi di autori più famosi, pubblicato inizialmente in 350 copie, che si trasforma in un long-seller letto e apprezzato da generazioni anche molto lontane sentimentalmente dai fatti narrati. Anzi si può dire che nella distanza si coglie meglio la complessità dei comportamenti dei personaggi, appiattiti inizialmente su una lettura favorevole solo all’intransigenza verso il nemico. Ma, come recita il titolo di un recente “manuale” stampato dalla Giulio Perrone editore e composto dallo stesso Perrone con lo scrittore Paolo Di Paolo: I libri sono figli ribelli. Sottotitolo: “Tappe e segreti dell’avventura editoriale”. Disamina interessante, e ricca di aneddoti, di un lavoro in cui la sorpresa ha una parte importante e che fa entrare in quel sommerso retrobottega di «noie, paure, arrabbiature, soddisfazioni», grandi produttrici di adrenalina, pane quotidiano di ogni editore. Com’è strutturata una casa editrice, i criteri con cui si scelgono i libri, i vari ruoli di chi vi lavora all’interno o come collaboratore, la promozione e il settore commerciale, la correzione dei testi e la creazione di eventi… Ma non ci s’illuda che tanto tecnicismo possa mettere al riparo da fiaschi clamorosi o garantire qualche fantastico successo. Tutto cambia e oggi lo strapotere delle grandi concentrazioni, la loro indubbia possibilità di condizionare il mercato con potenti meccanismi pubblicitari e di distribuzione rende sempre più dura la vita dei piccoli editori. Eppure questo I libri sono figli ribelli riesce a spiegare la follia e la determinazione di chi continua imperterrito, con la forza delle idee, a opporre all’industria un artigianato oggi molto più smaliziato e ricco di nuove risorse. E il bello è che, per quanto un grosso editore abbia più facile gioco a imporre un autore con un forte battage pubblicitario, oggi come ieri il caso di un imponderabile Silenzio del mare che conquisti tutti con la sola forza del suo esistere, sia pure in poche copie e presso un editore di nicchia, è un piccolo grande miracolo possibile. E uno dei motivi, come ci spiega il “manuale sui generis” uscito da Perrone, per cui la professione editoriale resta tanto elettrizzante.