VICINI DI CASA (racconto estivo sull’Unità 15/8/11)

VICINI DI CASA (racconto estivo sull’Unità 15/8/11)

Ogni dieci minuti usciva nel giardino e gridava disperata: «Picchio! Picchio!». Ma Picchio non ricompariva. Aveva rinunciato ad andare in spiaggia per la preoccupazione e non riusciva nemmeno a concentrarsi sui libri. Se quella bestia dispettosa non spuntava fuori, il pomeriggio era bruciato. Finalmente un tipo attirò la sua attenzione dalla rete che divideva le proprietà, una bella faccia maschile spuntò sopra i gelsomini e disse: «Picchio è un gatto immagino».
«Sì, l’hai visto?»
«Sta dormendo sul mio letto».
«Bianco e nero?»
«Bianco e nero»
Matilde non aveva ancora capito se quel tizio nella voce avesse un tono di rimprovero, comunque si giustificò: «E’ l’unico gatto al mondo che non sa usare la gattaiola. Sai com’è, ho chiuso porte e finestre perché ho acceso l’aria condizionata… e Picchio non sa entrare in casa attraverso la gattaiola. Sa uscire, ma non sa rientrare. Un mistero».
«Forse non gli piace l’aria condizionata».
«Lo cerco da un’ora».
«Io ti ho sentito gridare solo adesso. Sono uscito a fumare una sigaretta. Tengo la musica a palla e non ti sentivo».
«Sì, lo so che tieni la musica a palla». Ora una punta di rimprovero l’aveva insinuata lei nella voce, ma solo una punta perché non voleva infierire, dopotutto quello aveva ospitato il fuggiasco; in un altro momento se lo sarebbe mangiato.
«Vai poco al mare» osservò, mentre lo seguiva attraverso il giardino, riprendendo il filo di un ragionamento che era partito proprio dall’orrenda musica tum-tum. Se ne sentiva perseguitata gran parte dei pomeriggi. Per questo chiudeva tutto e accendeva l’aria condizionata di cui avrebbe fatto volentieri a meno, oppure se ne scappava in spiaggia ribaltando le proprie abitudini: aveva sempre preferito farsi il bagno la mattina presto prima dell’arrivo delle folle.
«Devo lavorare» rispose lui filando a spegnere la musica. “Percettivo però” pensò grata Matilde. «Non riesco a scrivere senza l’eccitazione di una musica ad alto volume» continuò, e forse era un modo di scusarsi.
Inevitabilmente Matilde chiese meravigliata: «Lavorare?»
«Sì, scrivo. Devo consegnare un romanzo entro la fine dell’anno e sono solo a metà».
Lei lo squadrò: «Ah, sei un TQ!» e Riccardo si chiese se era una valutazione sulla sua età, trentasei anni, oppure un modo per fargli sapere che era interessata agli scrittori Trenta/Quarantenni, anzi magari aveva già letto qualcosa di suo e ora gli avrebbe chiesto il cognome che nelle presentazioni avevano saltato.
«Conosci il movimento dei TQ?» sondò. Intanto si erano seduti sul letto e accarezzavano Picchio che ronfava imperturbabile.
Matilde ridacchiò: «Anche mio padre è uno scrittore. Questa casa è sua» indicò col mento la proprietà confinante. «Sere fa era qui con gli amici con cui adesso è in barca e parlava di voi, dei TQ: io veramente non seguo la letteratura contemporanea». Gli disse il nome del padre. Riccardo lo conosceva, ma non aveva letto niente di lui.
«Lo immaginavo» replicò la ragazza. «La generazione di mio padre vi legge solo per demolirvi, e voi non leggete altro che i vostri coetanei. Così almeno sostiene lui». E rise di muovo. “Malignetta” pensò Riccardo: «E tu?» le domandò.
«Io mi sono fermata a Tolstoi. Studio medicina, ho fretta di laurearmi. Dei viventi ho letto solo Dominique Lapierre, temo».
Ora Riccardo era così stupito che sembrò scandalizzato: «Dominique Lapierre? Quello della Città della gioia
«Sì, è vicino ai miei interessi».
«T’interessa l’India?»
«M’interessano gli ultimi» Matilde sospirò. Era un sospiro conclusivo valutò Riccardo. Ora avrebbe ripreso il gatto e sarebbe sparita in casa sua, murata dentro la sua aria condizionata. Non trovò di meglio, per trattenerla, che lanciarle un’esca al volo: «E tu in barca non ci vai?»
Gli puntò in faccia due occhi enormi: «Non so come si possa andarsene in giro per il Mediterraneo, pieno dei cadaveri di quei disgraziati, cenando a champagne».
Riccardo si sentì in dovere di prendere le parti del padre: «Beh, è Mediterraneo anche questo. Il bagno non te lo fai mai?»
«Hai perfettamente ragione» rispose secca lei afferrando Picchio. «Infatti non vedo l’ora di laurearmi e andarmene».
«Andartene dove?» Riccardo inavvertitamente aveva gridato e lei rimase sconcertata col gatto in braccio, incerta se congedarsi o replicare. Alla fine affermò: «Penso che Picchio abbia fame».
«Dove vuoi andare? In India?» insisteva lui carezzevole.
«Beh, sì. Dove c’è bisogno, insomma. Il mio sogno, veramente, è lavorare con Gino Strada. E allora, appena mi sarò laureata, ho ancora due esami adesso a settembre… Poi parto, vado in Inghilterra a fare un corso di economia aziendale. Sai, è più facile per un medico che sappia anche tenere i conti di un ospedale essere accettati da Emergency. Sono molto selettivi, non se ne fanno niente di volontari impreparati…» Aveva parlato tutto d’un fiato e ora se ne sarebbe davvero andata.
«T’invito a cena» decise lui.
Non ordinò champagne, ma un buon bianco per accompagnare il pesce, che piaceva a tutti e due. «Vedi, abbiamo trovato un punto di contatto» scherzò Riccardo riempiendole il bicchiere. Matilde era silenziosa. Allora parlò lui. Parlava e beveva senza freni attingendo alle sue riconosciute capacità di sedurre, corteggiare, mettersi in mostra. Le raccontava il suo libro, un po’ poliziesco un po’ parodia, mimava divertendola i colloqui fra i personaggi, spostava la saliera, le bottiglie, le posate, i pezzi di pane sulla tavola come fossero le marionette della sua storia, che era una storia complicata ed esilarante. Le rivelava con nochalance che dopo l’uscita il suo romanzo sarebbe diventato un film, aveva già ceduto i diritti a un regista fra i più interessanti del cinema italiano, suo amico, cui la trama era piaciuta molto, ed era in trattative con la televisione per farne una serie in dodici puntate in cui i suoi protagonisti sarebbero stati al centro di nuove avventure nello stesso spirito del libro.
«Ah, sì» lo interruppe lei «mio padre dice che voi scrivete romanzi per arrivare al cinema e alla tv, perché non è la letteratura che v’interessa, ma i soldi e la fama che circolano intorno a un film». Riccardo non si offese, non l’aveva sentita maligna, stavolta. L’aveva sentita innocente, vera. E, sempre parlando, sfrenate fantasie gli correvano in testa, su un piano parallelo dove Matilde non sarebbe riuscita a lavorare per Emergency, perché si sarebbe innamorata di lui e sarebbe diventata la sua compagna e l’avrebbe aiutato ad ancorare le sue storie alla vita e lui avrebbe scritto un grande romanzo pieno di umanità, di verità, di realtà.
«Vuoi proprio partire per l’Inghilterra dopo la laurea?» le chiese con gravità quando erano al dolce.
«Sì» disse lei.
«E Picchio?»
«Me lo tiene mio padre».
«Ama i gatti tuo padre?»
«Veramente no, è anche un po’ allergico. Ma ama me».
Riccardo ebbe un lampo di genio e una luce mefistofelica gli passò nello sguardo: «E se te lo tenessi io?»

FacebooktwittermailFacebooktwittermail
No Comments

Post a Comment