Figure della malinconie (L’Unità, 1/6/12)

Figure della malinconie (L’Unità, 1/6/12)

Paesaggio romano di Turner

Nel 1967 Cesare Brandi ricordava in un articolo che «salvare i tratti essenziali del paesaggio italiano, almeno nelle regioni più caratterizzate, è un imperativo non meno rigido della conservazione del patrimonio artistico» e per avere un catalogo esatto della conservazione del territorio suggeriva, non disponendo ancora di Google Maps, di studiare le opere dei pittori fin dal Duecento. Oltretutto le mappe fotografiche di Google rendono a ogni aggiornamento più tangibile la devastazione che avanza, ma non conservano il passato. Questa di «stabilire un catasto del paesaggio, che doveva essere redatto ascoltando la voce del passato» mi sembra un’idea bellissima di cui sono venuta a conoscenza leggendo un libricino affettuoso di brevi saggi sull’arte (la frase fra virgolette è presa da lì). S’intitola Figure della malinconia (Skira) ed è opera non di un critico d’arte, ma di una letterata, Elisabetta Rasy, che fa suo il metodo ingegnoso di Brandi e lo applica a una libera, vagabonda lettura di quadri di vari secoli e autori.

Elisabetta Rasy

Si comincia con una considerazione sulla «luce tenebrosa» di Goya e su quella «problematica» di Turner per arrivare alla moderna elettricità con l’angosciante perdita dell’aura di cui stiamo tutti vivendo oggi, in ogni settore dell’esistenza, le omologanti derive. Così è una vera sorpresa che Rasy ripristini nel saggio finale «Oggetti caduti a terra, abbandonati, dimenticati», proprio la calpestata aura che rende le cose uniche e parlanti. E a compiere il miracolo è un sentimento poco di moda, quello del titolo: la malinconia. La scrittrice la rintraccia in un mosaico antico come in Caravaggio, come nelle immagini di Roma raffigurata con «fulgida malinconia» dai pittori della Scuola Romana, quei Capogrossi, Scipione, Mafai, Pirandello che fissarono per sempre le macerie del dopoguerra. Ma soprattutto la insegue dalle nature morte allo still life, laddove gli esseri umani sono usciti di scena e hanno abbandonato in un sospetto ordine o in devastato disordine su un tavolo, uno scrittoio, in una stanza gli oggetti muti, mortalmente soli.

«Le cose inanimate rappresentate secondo tecniche di vario tipo mostrano una pericolosa tendenza a cadere» osserva l’autrice perlustrando nei quadri avanzi di cibo, lettere svolazzanti e infine ferme sul pavimento, oggetti da toletta vani a conservare la fuggevole bellezza. E persino la presenza di animali vivi, un gatto, un topo che fa fuori ciò che resta d’un pranzo umano, non può che rafforzare la verità della morte, quell’infernale ostinarsi a sopravviverci che hanno le cose, il loro triste sberleffo di fronte al polveroso sprofondare nel buio e nel nulla. E però la malinconia è un sentimento antiquato, quasi avesse dato tutto quel che poteva dare all’arte, alla scrittura, alla musica, e non parliamo del cinema dove i ritmi incalzanti, i tagli rapidissimi, gli aboliti silenzi l’hanno esautorata d’ufficio (tutto è frastuono di convulse colonne sonore, come nella vita, no?) E poi non abbiamo tempo per nulla, figurarsi per la malinconia, che rende meditabondi, lenti, sensuali. Oggi bisogna essere rabbiosi ed erotici. Rabbia e eros sono i nostri stucchevoli, rumorosi compagni.

Natura morta con teschio, di Cezanne

Mi viene allora in mente un altro bel libro appena letto, Qualcosa di scritto di Emanuele Trevi (Ponte alle Grazie): sono d’accordo su tutto con l’autore che torna e ritorna sul suono a vuoto di tanto fare «artistico» contemporaneo (spiegandone lucidamente il perché), ma non sulla conclusione finale, quando pensa: «ma per farcela davvero ci vuole la rabbia», individuando nella rabbia «la vera sostanza del mondo» anche al di fuori dell’arte. La rabbia l’abbiamo sperimentata, non mi pare sia servita granché a darci un’arte degna e rapporti sociali sopportabili. La rabbia fa sì che l’individuo si senta autorizzato a prendere un figlio e buttarlo dalla finestra, acchiappare una donna che vuole fuggire e punirla con la violenza. La malinconia invece ci fa consapevoli di caducità ineliminabile e ci fa capaci di creare, con ciò che esiste, qualcosa che non esiste. Finché un vecchio quadro e quindi l’immaginazione possono persino diventare, nel mondo auspicabile sognato da Brandi, un utile supporto del catasto.

 

 

 

 

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