“Reality” di Garrone (Giudizio Universale, 27/9/12)

“Reality” di Garrone (Giudizio Universale, 27/9/12)

Il nuovo film di Matteo Garrone, Grand Prix della giuria a Cannes, è la storia di un pescivendolo napoletano che, superato un primo provino per partecipare al “Grande fratello” e aspettando una seconda chiamata per prendere effettivamente parte alla trasmissione entra in uno stato di paranoica apprensione fino a perdere la testa confondendo sogno e realtà. La trama, nella sua semplicità, che trae spunto da vicende documentate, assomma due forze: quella descrittiva del realismo e quella morale della poesia. Difficilissimo scegliere il tema televisivo e non restarne invischiati, sporcati. E sceglierlo senza indulgere al grottesco, così interno alla materia e fagocitante. Ma Garrone non è solo un regista geniale, è un vero poeta. Ha l’intuizione creativa di Pasolini (quello di Accattone, La ricotta, Che cosa sono le nuvole) e la padronanza del mezzo di De Sica. In questo caso il De Sica di Umberto D., quello più rigoroso e “politico”. E un pizzico di follia felliniana. Ma non pensate che Matteo Garrone ricorra all’uso di citazioni. No, pensate piuttosto a una vera e propria eredità assorbita e metabolizzata attraverso un sentire assolutamente contemporaneo, addirittura in anticipo – forse – sulla sensibilità comune. L’universo descritto, la pittoresca famigliona napoletana, affettuosa  e truffaldina,  che modella il suo stile sugli show di successo, i più infimi moralmente e culturalmente parlando, non è mai derisa o mortificata dal giudizio dell’autore. E’ viva, complessa, con una sua nobiltà materica e carnale. Nulla è mai caricaturale, e tutto palpita e si spiega nel gesto, nelle parole, nei toni. La gioia e l’illusione, prima, quando il pescivendolo Luciano, sua moglie, i bambini, le zie, la piccola corte dei vicini si esaltano nella favola che sta per compiersi: Aniello protagonista del Grande Fratello con quel che ne consegue di popolarità, ricchezza, capovolgimento della propria esistenza. L’amarezza, l’umiliazione, il rifugiarsi nel rifiuto della realtà, poi.

Matteo Garrone

Ma sarebbe riduttivo leggere Reality come una riflessione sull’oggi, sullo strapotere della tv, sulla volgarità che ci circonda. Credo invece che il punto di vista vada ribaltato: calando un tema universale in una situazione contemporanea Garrone ci mostra la nobiltà che anche il più degradato dei mondi contiene, trova l’umano dentro la sua apparente negazione. E forse indica persino una speranza: neppure il più mostruoso Grande Fratello è in grado di distruggere l’individuo e le sue risorse. In fondo se Aniello resta prigioniero del suo pensiero desiderante, non così la sua famiglia, più solida e sana di quanto si potesse sospettare e forse in grado prima o poi di farlo rinsavire.

Non è elemento secondario al fascino del film il portentoso cast artistico, fatto di attori soprattutto di teatro, dall’indimenticabile protagonista Aniello Arena, capace di tenerissime sfumature di opposti sentimenti, gioia e nera amarezza; all’intensa – anche fisicamente – Loredana Simioli (la moglie); a Nando Paone nei panni dell’amico Michele; a tutti gli altri, bravissimi nel tenere a bada gli eccessi di una gridata napoletanità. E non è da meno il cast tecnico, di cui ricordiamo almeno l’affiatato gruppo di sceneggiatori ormai collaudato accanto al regista: Maurizio Braucci, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, e il direttore della fotografia, Marco Onorato, scomparso improvvisamente e dolorosamente quest’anno, a cinquantanove anni. Belle anche le musiche di Alexandre Desplat, molto discrete e vagamente felliniane nel loro omaggio leggero a Nino Rota.

 

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