“Vi perdono” di Angela Del Fabbro (dall’Unità di mercoledì 7 ottobre 2009)
«Anestésico sedante hipnòtico por uso veterinario. Lo verso nel bicchiere, rimetto il flacone nella scatola e la scatola nello zainetto. Verso il Cointreau nell’altro bicchiere, mentre di là sento solo un bisbigliare composto e ogni tanto la voce di lei che dice, appena più percettibile: “Su tesoro, non fare così”».
Tenetevi forte. La citazione è tratta da un libro (Vi perdono, di Angela Del Fabbro) che uscirà a giorni, da Einaudi Stile Libero. Vi inchioderà alla poltrona, vi strazierà, vi irriterà, e nemmeno per un momento per le due tre ore necessarie ad arrivare in fondo penserete: è un romanzo, è solo invenzione. No, per tutto il tempo la storia vi sembrerà così verosimile da non lasciare dubbi: è tutto vero, è terribile, ma allora succede così e io non ne sapevo niente… Ci sono creature nel mondo (in Italia!) che possono fare un mestiere come quello di Miele, la protagonista, che prendono un aereo, vanno in Messico a procurarsi medicinali veterinari per uccidere senza sofferenza i nostri animali, solo che tornano, bussano alla porta di chi le ha chiamate, invocate, supplicate, fanno suonare una musica d’addio (scelta dal malato), lasciano il bicchiere sul comodino, intascano 5 mila euro e chiudono dolcemente la porta…?
Poi, finita la lettura la riflessione. Speriamo di no, speriamo che questa storia avvincente non diventi soltanto la scusa per continuare a dividersi, a scannarsi su un diritto o un non-diritto, una legge che c’è e non c’è, non ci sarà, sarà un pastrocchio e via dicendo. Speriamo che possiate leggerla per quello che è, una magnifica storia, che affonda i denti dentro la carne ferita di una questione attualissima, il diritto o meno a una «buona morte», l’interrogativo delicato su «fino a che punto possa arrivare la libertà umana».
Io ho le mie idee su questo, molto nette. Credo, come un personaggio del libro, che bisognerebbe potersi persino suicidare nel modo più dolce possibile, senza rischiare di fallire o soffrendo come dannati, morire – se è la nostra decisione – con l’aiuto delle istituzioni e dei medici insomma. Ma queste sono le mie idee e capisco che a molti possano suonare blasfeme.
Un romanzo, invece, se è un bel romanzo, non è mai blasfemo. Angela Del Fabbro, nom de plume di un’autrice trentaduenne, romana, che vuol conservare l’incognito forse solo per un ben orchestrato lancio di scandalo e mistero intorno al libro, o forse perché davvero corre il rischio della lapidazione nel clima arroventato del nostro scenario politico sui problemi bioetici, ha inventato qualcosa di veramente nuovo: un’eroina, una serial killer a fin di bene, senza nessun orpello romantico, ma fortemente radicata nella realtà contemporanea della sua generazione. Un rapporto spezzato con la madre, morta fra gli spasimi di una sofferenza fisica senza rimedio, relazioni sentimental-erotiche con palestrati sciapi o uomini sposati, tanto di sinistra quanto incapaci di prendersi responsabilità e trattare una donna senza relegarla in fantasie da cinema porno. Colpisce e innamora questo personaggio femminile così autentico, sprofondato in una solitudine che per raccontarsi ha bisogno dei fondali marino-amniotici di un rapporto pericoloso e ossessivo col mare (Miele è una nuotatrice compulsiva). Quando poi ha l’impressione di poter avere finalmente una relazione profonda con un uomo-padre a cui lei, date le circostanze, si trova in qualche modo a fare da madre, verrà respinta ancora una volta. I tempi non sono maturi per relazioni adulte fra i maschi e le femmine.
«”Senta, io sono nelle sue mani. Mi dica come procediamo. Non ho molta pratica. È la prima volta che muoio”. “Si comincia con le domande” dico, senza reagire alla battuta. La prima volta le battute si sprecano. Si gioca per non essere giocati. “Lei mi faccia delle domande e io cercherò di risponderle”». Il ping-pong dei colloqui fra Miele e le sue vittime-pazienti sono uno degli elementi forti del romanzo. Secchi, controllati come la protagonista che deve stare attenta alle parole che usa per non ferire e per mantenersi neutra. Lei è un’accabadora (per usare il titolo di un altrettanto straordinario romanzo, di Michela Murgia, diversissimo da questo eppure contiguo), un angelo sterminatore, è una samaritana, è una specie di infermiera finale, è una persona che deve farsi invisibile e aspettare fino all’ultimo che la persona «nelle sue mani» possa tirarsene fuori. E’ un gatto che gioca col topo, ma con la speranza che vinca il suo avversario. C’è sempre una sensazione di bilico in tutta la storia: la serial killer è lì a compiere il suo lavoro, che è stato commissionato dalle sue stesse vittime, ma può essere fermata in ogni momento. Forse lo spera persino. Però non deve sbagliare le parole, come le dosi che somministra, per non suggestionare minimamente l’«avversario» in questo terribile gioco di vita e di morte che la snerva e la consuma.
E’ un personaggio piuttosto sconvolgente questa Miele che si misura col dolore e l’orrore delle esistenze più provate. L’autrice ridisegna con lei il personaggio-donna nella letteratura italiana: dura, caparbia, sicura di sé e fragilissima, fa un lavoro che non le piace, ma che le serve a sopravvivere e le dà l’illusione di placare i suoi personali fantasmi e di essere persino utile socialmente. Per ritrovarsi, alla fine, in un deserto di consapevolezza che la isola e la sconsola, tagliata fuori persino dalla vita leggera, pettegola e affettuosa della sua migliore amica.
E’ un personaggio pieno di pietas, che sa perdonare, lo dichiara il titolo. Un perdono che, una volta di più, è ambiguo e di confine, come tutto il libro. Lei perdona i mercanti di anima che hanno ingannato sua madre morente, ma insieme (forse) chiede perdono per quello che fa, o semplicemente di essere viva in mezzo alla morte che semina. Chiunque si nasconda dietro il nome Angela Del Fabbro: complimenti.
Aurora
Iniziato ma non finito in casa.
me lo sono portato in giro perchè, queste sono giornate, difficili per me.
Per forza di causa maggiore dovevo spostarmi.
L’ho finito per strada un’ora fa.
Non sono all’altezza del commento che ho appena letto, condivido ogni parola.
Sono , tra l’altro infermiera,come tale ho potuto assistere mia madre che per coincidenza è morta come la madre di Miele, nel romanzo.
La sua camera da letto era trasformata in una sala di terapia intensivao io intornio a quel letto facevo tutto perchè non morisse ho persino prolungato di un giorno la sua morte (non era più vita) Riuscendo a posizionarla con l’aiuto di sua sorella in modo tale che l’acqua non le impedisse di respirare
Oggi, quando ci penso provo un dolore vivissimo, vorrei poter chiedere mille volte scusa a mia madre.
Brava Angela Del Fabbro
Sandra Petrignani
La vita ci mette di fronte, a volte, a prove molto superiori alle nostre forze. Oggi poi, la medicina ci dà la possibilità di tentare l’impossibile, e non è facile sottrarsi. Un grande abbraccio. Sandra
marco
il romanzo, sono d’accordo con te, è molto bello, uno dei più belli chre io abbia letto quest’anno. Complimenti anche a te, che sei riuscita a renderne perfettamente il senso