Storie di poveri (da l’Unità, 23 febbraio 2010)

Storie di poveri (da l’Unità, 23 febbraio 2010)

Qualche giorno fa a Roma è morta una donna di 48 anni, che veniva dalla Sicilia ed era «senza fissa dimora», un modo politicamente corretto per dire «barbona». E’ finita sotto un treno alla Stazione Trastevere. L’autista del convoglio diretto a Fiumicino se l’è vista improvvisamente davanti e non ha fatto in tempo a frenare. Si chiamava Maria. A Trastevere era abbastanza conosciuta, almeno di vista. Aveva problemi di alcolismo. Hanno scritto che si è suicidata, ma forse non è andata così. Forse era semplicemente confusa per i farmaci che prendeva proprio per arginare la sua propensione alcolica. Adesso è un problema anche farle i funerali perché, essendo poverissima, è stata messa dal Comune in una bara altrettanto povera e quindi non rivestita di zinco e quindi nessuno si prende la responsabilità di trasportarla perché il legno potrebbe trasudare gli umori della decomposizione…

Chiedo scusa per i particolari raccapriccianti, ma la storia di Maria è la storia di tanti. Persone che semplicemente non esistono, o esistono meno di altri, quelli che hanno una casa e i soldi per pagarsi almeno la bara più semplice, ma comunque rivestita di zinco, che costa «solo» 200 euro.

Li chiamiamo accattoni, clochards, barboni, straccioni, allunghiamo un’elemosina, qualche volta, e tiriamo dritto. Che sappiamo di loro? Niente. Persino per i volontari che se ne occupano quotidianamente, persino per chi si fa carico in modo più consistente di uno o dell’altro, non è facile saperne qualcosa, perché per sapere qualcosa bisognerebbe guadagnarne la fiducia, costruire un’amicizia. E non è facile farlo in condizioni di clamorosa diseguaglianza. L’amicizia vuole parità. Poi forse non ne abbiamo neanche voglia.

«La povertà non incuriosisce» mi dice Girolamo Grammatico, detto Giro, sociologo trentenne di Europe Consulting, una Onlus romana che fra le tante attività sociali gestisce il centro diurno Binario 95, alla Stazione Termini, e pubblica il giornale ShaKer che, come Terre di mezzo a Milano, Piazza grande a Bologna, Fuori binario a Firenze, Foglio di via a Foggia e alcuni altri, testimonia la sommersa realtà della vita di strada. «Molti credono che i motivi per cui una persona finisce a vivere in strada siano la dipendenza da alcol e droga e la malattia mentale. Ma non è sempre così. Le ragioni sono tante, a volte sorprendenti. Ho conosciuto un uomo che era benestante, perfino ricco, aveva due ristoranti. Ma dopo la morte della moglie, non ha retto. Si è disfatto di tutto. Una storia tragica e romantica. La morte di una persona cara può portare al rovesciamento totale di un destino».

Giro è un vulcano di idee per promuovere ShaKer, per trovare finanziamenti alle attività, per sensibilizzare la gente. Con un’altra Onlus, CooperAction, promuove «La notte dei senza fissa dimora» (in ottobre) invitando i cittadini a trascorrere una notte con i sacchi a pelo all’addiaccio a fianco dei poveri. Ora ha realizzato un libro, In una sola notte, chiedendo a otto autori impegnati nel sociale (da Nino G. d’Attis a Gianluca Morozzi, da Guglielmo Pispisa a Maksim Cristan, da Gaetano Messineo a Mauro Pettorusso) di riscrivere altrettante storie vere di persone che vivono in strada. Un piccolo libro che costa solo 5 euro (si può ordinare nel sito www.ecedizioni.it sostenendo la causa) che ci aiuta a vedere gli «invisibili» (L’uomo invisibile, per esempio, s’intitola il racconto di Claudio Morici che traccia un catalogo di «casi»).

Se Grammatico non ha chiesto direttamente ai protagonisti, quelli che frequentano i laboratori di scrittura organizzati a Binario 95, e che lui conosce uno per uno, è perché «queste persone non si raccontano volentieri, non hanno dimestichezza con la scrittura o la usano in modo elementare e il libro non sarebbe stato efficace». Vuole essere il primo di una serie a cadenza probabilmente annuale. Riesce a interpretare un mondo notturno, che può essere violento e poetico, a illuminare il disagio, fatto di difficoltà di ogni tipo, degrado, ma anche sogni (come nel racconto di Paola Presciuttini che narra un delirio amoroso capace di trascinare sotto i ponti un uomo respinto).

Mi viene in mente per analogia il recente film di un’artista come Silvia Nono, presentato al Festival di Venezia 2009, Via della Croce, che documenta l’esperimento della casa famiglia per senza-fissa-dimora «S.Alvise», in quella stessa città, attraverso i calvari delle persone che vi sono ospitate. Sono opere, Via della Croce e In una sola notte che cambiano un po’ le cose dentro e fuori di noi. Dopo aver visto il film e letto il libro diventa più difficile imbattersi in una donna seduta sul marciapiede intenta a leggere, con accanto un cappello rovesciato per l’elemosina, o un ragazzone dal viso buono che suona il piffero con i suoi cani accanto, o l’ubriaco che straparla trascinandosi faticosamente, o lo straniero devastato dallo spaesamento, senza cercare di indovinare un destino, un rovescio di fortuna, un amore disgraziato, persino una scelta di vita pagata a caro prezzo, senza insomma finalmente «vedere» gli invisibili e sentire inaccettabile l’ingiustizia che permette una divaricazione così estrema fra chi ha troppo e chi niente.

Come Maria, finita sotto un treno in una gelida, piovosa notte invernale, sono tanti i vagabondi che spariscono da un giorno all’altro: a volte sono sparizioni violente, muoiono di freddo, di botte, sono vittime di incidenti o di veri e propri attentati la cui dinamica resta oscura. Altre volte spariscono nel nulla,inghiottiti dalla stessa invisibilità e noncuranza in cui erano stati avvolti da vivi, randagi e non amati da nessuno.

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