Intervista a Sandra Petrignani (di Morgan Palmas, dal sito “Sul Romanzo”)

Intervista a Sandra Petrignani (di Morgan Palmas, dal sito “Sul Romanzo”)

Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinata alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.

 

Sandra Petrignani
Sandra Petrignani

Ho cominciato a “scrivere” prima di saper scrivere. Prima di andare a scuola, voglio dire. Inventavo poesiole per le feste, che poi recitavo ai parenti in piedi su una sedia. Inventavo piccole storie tremende che tenevo per me. Questa attività fantasticante, che poi col tempo si è trasformata in scrittura, mi ha salvato la vita. Ero sola e molto infelice, la compagnia di me stessa con questa attività creativa mi consolava.

Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?

 

Equidistante. Nessuno dei due elementi prevale sull’altro. È un processo misterioso quello artistico: l’inconscio s’incarica della cosiddetta ispirazione, suggerisce immagini e parole. La razionalità mette ordine, lega, costruisce una storia e uno stile.

Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.

 

Non chiamerei stile le abitudini di scrittura. Comunque, per quel che mi riguarda non ho un metodo. Scrivo quando ne ho voglia, ma qualcosa finisco con lo scrivere tutti i santi giorni, o quasi. Fosse anche solo un articolo, una lettera (sia pure in formato e-mail), pagine di diario. Quando lavoro a un libro, non penso ad altro, anche se faccio passare giorni e giorni senza scrivere una riga. Le cose si devono sistemare da sole, voglio dire che devo avere l’impressione che il libro si stia scrivendo da sé. Eppure lavoro sempre tanto. Soprattutto nella preparazione. Posso ragionare su un’idea per anni. E anche quello è scrivere per me. Poi vorrei dire una cosa su questa leggenda di Moravia che scriveva tutte le mattine “cascasse il mondo”. Gli piaceva dare questa immagine di sé. Forse sì, si metteva al tavolo svogliatamente, nel corso della mattinata, se non aveva altro da fare… A me, che ho avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo un po’, dava sempre l’impressione di essere molto felice di fare altro che scrivere. Era così nonchalant, disponibile, annoiato. Era fantasticamente superiore al suo essere uno scrittore.

Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?

 

Non ho nessuna mania, mi pare. Posso scrivere ovunque. Preferisco naturalmente un tavolo, una sedia comoda e un computer (Mac, se no mi blocco), ma in casi disperati posso tornare a carta e penna. Mi piace avere intorno i miei animali, cani e gatti che ogni tanto “disturbano”. Mi piace sentire la vita intorno, qualcuno nell’altra stanza. Non chiuderei mai fuori mia figlia (che poi è un figlio) come faceva Simenon. Sono più il genere Jane Austen, pronta a interrompere perché bisogna lavare l’insalata o ricevere l’idraulico. Non ho verso ciò che faccio un atteggiamento reveranziale, anzi mi fanno un po’ pena quelli che ce l’hanno. Ci sono cose molto più importanti al mondo della letteratura, fossi pure Philip Roth.

Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?

 

Una volta Doris Lessing mi disse che gli autori amati sono i veri genitori di uno scrittore. Ecco, penso che abbia ragione. Mi sento figlia degli scrittori che ho molto amato e non solo per i libri che hanno scritto, ma proprio per le persone che sono state, luci e ombre. Per carattere non sono una che “sputa” e nemmeno una che adora. Il mio libro “La scrittrice abita qui”, che è un viaggio nella vita e nelle case di sei/sette grandi scrittrici del ‘900, dalla Yourcenar a Karen Blixen, non è un percorso di adorazione, ma una ricerca del quotidiano nella loro esistenza, quel quotidiano che ha nutrito umilmente la loro arte. Ho amato molto un libro di Marguerite Duras che s’intitola “La vita materiale”, fatto di meditazioni e ricette, ricordi e notazioni, liste della spesa e confessioni. Mi piacciono i libri strani, quelli che è difficile classificare. È raro che mi piaccia un romanzo. In genere i romanzi tradizionali mi annoiano. Non credo di aver mai scritto un romanzo vero e proprio. Insomma, per dire che nel tempo certe relazioni con gli scrittori che si amano cambiano, ma non cambia un certo orientamento.

L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?

 

Purtroppo la società letteraria non esiste più. Ci sono scrittori che riescono a essere amici fra loro e si frequentano. Io ho diversi amici fra gli scrittori, e due di loro sono fra i miei migliori amici. Sento la mancanza del gruppo, come esisteva una volta, quell’incontrarsi al caffè a parlare di letteratura, cinema, quadri, ma pure della sciatica o del raffreddore. Ho fatto in tempo a conoscere alcune grandi personalità di quel mondo che non esiste più, e ne provo spesso nostalgia.

Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?

 

I desideri c’entrano poco, mi pare. Ripeto: scrivere mi ha salvato la vita, e mi fa molta compagnia. Ma se ci sarà un’altra vita, dopo questa, non vorrei tornare a scrivere. Vorrei poter fare qualcosa di meno narcisistico.

La ringrazio e buona scrittura.

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