succedeoggi.it CAMERA CON VISTA 4/5/13

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Jeremy Irons

Jeremy Irons

Andare al cinema attratti dal nome di un certo attore è qualcosa di disdicevole, forse. Ebbene lo ammetto: sono andata a vedere Treno di notte per Lisbona, di Bille August, indifferente alle stroncature che ha totalizzato, non giustificata dall’aver letto il romanzo omonimo di Pascal Mercier da cui è stato tratto (tradotto da Mondadori) perché sapeva troppo di best-seller preconfezionato. Sono andata a vedere il film solo perché interpretato da Jeremy Irons. E dire che trovarlo in tv nei panni di Alessandro VI, il padre di Cesare Borgia, era stato un duro colpo. Mai ruolo fu più sbagliato: Irons è un convincente nevrotico dei nostri giorni, nulla c’entra con l’efferatezza truculenta di un secolo eccessivo come il 1400 (anche la patologia va storicizzata). Ma insomma per me Irons resta pur sempre quello che mi ha preso il cuore una volta per tutte nei panni di Charles/Mike in La donna del tenente francese di Karel Reisz, nonostante due tremendi basettoni ottocenteschi che gli avevano incollato sulle guance. O quello di Tradimenti di David Jones, in cui interpreta il personaggio molto contemporaneo di uno che è l’amante della moglie del suo miglior amico; film tratto da una commedia di Harold Pinter, autore ad Irons particolarmente congeniale. Ma dove davvero è indimenticabile, anche perché sdoppiato nei due gemelli Beverly e Eliot Mantle, è in Inseparabili di David Cronenberg e poi eccolo languidissimo nel Danno di Louis Malle…

images-2Certo sono passati gli anni e gli anni passano anche per gli uomini belli e per i grandi attori. In Treno di notte per Lisbona – che non è un gran film, hanno ragione i critici – fa la parte di un uomo privo di appeal, invecchiato, noioso (lo dice proprio il suo personaggio: la moglie l’ha lasciato perché è un uomo noioso) e per giunta con una montatura di occhiali antidiluviana che aggiunge impaccio a una sua apatica maniera di stare al mondo. Ebbene a quest’uomo, però, succede qualcosa di inaudito: salva una ragazza che si vuol buttare giù da un ponte a Berna e da lì, in modo davvero poco credibile, pigro e abitudinario com’è, cambia vita. Per una serie di coincidenze che non sto a riassumere, finisce sul famoso treno per Lisbona e in questa città carica di storia e di tristezza farà incontri struggenti, pieni di significato riattraversando le pagine tragiche della dittatura salazariana fino alla Rivoluzione dei garofani.  Naturalmente non sarà mai più lo stesso e magari troverà pure qualcuno (potevamo dubitarne?) capace di cogliere in lui la sepolta segreta bellezza. Segreta fino a un certo punto, perché Jeremy è pur sempre se stesso e per quanto sia così bravo da dismettere completamente il fascino inquietante che generalmente emana, qualcosa ne conserva anche in questo film flaccidino. Ma di che è fatto, poi, questo fascino? Vado a guardarmi su You Tube una serie di interviste televisive: mi colpisce il modo che ha di fare lo spiritoso restando serissimo, e poi una certa dolcezza femminile nei movimenti, e lo sguardo: enigmatico, sfuggente. Come la sua storia matrimoniale con un’attrice conosciuta da giovane, Sinéad Cusack, che dura da trentaquattro anni con molta elasticità. Intanto Jeremy si fa vedere in giro con altre innamorate, e gira pure la voce di una sua presunta omosessualità. Vai a capire. Ma è così importante? Quel che conta per una star è il suo potere incantatore, resistente al tempo e ai personaggi – anche sgradevoli – cui deve dare spessore. Quando nel ’97 si è calato nell’Humbert Humbert della Lolita di Adrian Lyne, malgrado dovesse sostenere lo sbilanciatissimo confronto con quel capolavoro che ne fece Stanley Kubrick nel ’62, è riuscito a farci dimenticare tutta la patinata idea di cinema del regista e a infondere al memorabile personaggio un’umanità inquieta e dolente, che forse è la sua anche nella vita.

O forse no. Anche se penso di sì.

 

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