Sulla nave di Greenpeace (L’Espresso n.29 luglio ’14)

Sulla nave di Greenpeace (L’Espresso n.29 luglio ’14)

Esercitazione "uomo in mare" (foto Sandra Petrignani)

Esercitazione “uomo in mare” (foto Sandra Petrignani)

A un certo punto sulla Rainbow Warrior III risuona il grido: «Balene, balene». Anzi: «Whales», perché l’inglese è la lingua di bordo e, in generale, la lingua di Greenpeace, che si ramifica in 41 paesi diversi. E’ il primo tour italiano (partito dalla Liguriae intitolato: Non è un paese per fossili) della nuova ammiraglia, varata nel 2011: terza in ordine di tempo, ma la prima a essere stata disegnata e costruita – in acciaio ultraleggero, motore elettrico e un’alberatura che sorregge 1.260 metri quadrati di vele – sulle esigenze dell’organizzazione e per ridurreal minimo il consumo di carburante. Il costo è stato sostenuto da una gigantesca “colletta” fra oltre 100 mila promoter i cui nomi sono scritti fitti fitti in un grande arazzo che troneggia su una parete esterna. Ho accettato il loro invito esclusivo e mi sono imbarcata a Civitavecchia per vederli da vicino questi Greenpeacer, questi Guerrieri dell’Arcobaleno, e li accompagnerò fino a Palermo. Così mi ritrovo anch’io a scrutare il mare a caccia di balene fra la costa italiana e la Corsicadal ponte più alto, accanto alla cabina di comando, insieme al capitano Joel Stewart (nato nel ’55 nell’Oregon) e ad altre persone dell’equipaggio. Avvisto qualcosa, una piccola gobba in affioramento. guardo nel binocolo e vedo una specie di fiocco (la coda del cetaceo) emergere alto sull’acqua prima d’inabissarsi, piegandosi in un inchino leggendario alla nave, che lotta anche in sua difesa. Poi, su un vecchio manuale del capitano, zeppo di foto e informazioni, lo riconosco dal disegno della coda: è un capodoglio, la balena di Pinocchio.

images-1Joel ha l’aspetto di un americano tranquillo in maniche di camicia rimboccate e pantaloni di velluto a coste. Quando gli chiedo dove si trova casa sua, risponde: «Non ho casa. Cioè: la mia casa è una barca a vela, la tengo in Canada». E’ lì che torna quando scende “a terra”. «Sono un po’ estremo» ammette. E’ con Greenpeace dall’89. Prima pescava salmoni con i cargo e ha girato abbastanza gli Oceani per vedere con i suoi occhi i danni del petrolio, il surriscaldamento dell’aria e dell’acqua, la distruzione del plancton, la scomparsa dei molluschi. E così ha deciso di dedicare energie e competenza alla salvaguardia dell’ambiente, perché come sta scritto su una rete montata fra gli alberi giganti di questa nave: Un pianeta di riserva non c’è.

Un po’ estremi sono tutti qua sopra, ufficiali, marinai, volontari che, oltre al lavoro che gli spetta, fanno i turni per le pulizie scrivendo liberamente il proprio nome su una lavagna. In cucina c’è un creativo cuoco ucraino, re del riciclo degli avanzi con risultati gustosi e un giovanissimo assistente spagnolo dai biondi capelli rasta. I piatti sporchi si passano nella bacinella con l’acqua saponata e poi si mettono in una macchina che li sterilizza, così si risparmia acqua. Risparmiare acqua è fondamentale: non più di una doccia al giorno, per favore. Naturalmente si pratica una stretta raccolta differenziata, ma la grande rivoluzione è la pulizia delle acque grigie attraverso i batteri, un sistema innovativo che va costantemente monitorato dai 4 ingegneri a bordo ingoiati quasi tutto il tempo dalla sala macchine. L’equipaggio è di 18 persone in questa parte del viaggio, cominciato con un’azione di arrampicamento nella centrale a carbone di La Spezia che, secondo un rapporto realizzato per Greenpeace dall’Università di Stoccarda, causa oltre 70 morti premature l’anno. Enel, ora ha un nuovo management intenzionato a cambiare radicalmente l’azienda e a chiudere le centrali più inquinanti.

Anne, Joel e Rossano alle vele (foto Sandra Petrignani)

Anne, Joel e Rossano alle vele (foto Sandra Petrignani)

«In genere vinciamo noi, perché ci basiamo su ricerche serissime, appaltate a operatori internazionali non compromessi» sottolinea il trentacinquenne Pierdavide Pasotti, coordinatore dell’attivismo e del volontariato. Nato sul lago di Garda e appassionato di vela da sempre, con l’ambizione di farsi marinaio, ha ora compiti di grande responsabilità. «I rischi sono calcolati. Siamo sempre attentissimi alla sicurezza, dei volontari come di tutte le persone coinvolte». C’è anche lui sul gommone quando, arrivati al largo della Sicilia, si sbarca sulla spiaggia di Mondello, all’alba, per un servizio fotografico destinato a sensibilizzare pubblico e stampa sulle appena decise perforazioni petrolifere fra Gela e Licata. Due giovani volontarie siciliane emergono dal mare coperte di nero: un impasto a base di cioccolata che imita il petrolio.

«Ci confondono con i pirati, ci danno dei terroristi» aggiunge Luca Iacoboni, atletico ventiseienne romano con laurea in Economia ambientale ed Erasmus a Madrid. «Ma noi ci distinguiamo da sempre per l’ispirazione non-violenta, per chiarezza nelle motivazioni e competenza». Ha partecipato anche lui ad azioni spettacolari, vestito da orango e portando in giro balene gonfiabili. «Ma quel che conta sono i risultati sempre più eclatanti; quel che conta è il mondo bellissimo della gente di Greenpeace, gente pulita e motivata». Dopo 7 anni da volontario è diventato responsabile delle campagne per l’energia rinnovabile e l’efficienza energetica, una nuova figura che affianca il collaudato Andrea Boraschi (Energia e Clima) «perché lui si occupa del sistema energetico sporco e immorale da distruggere, io propongo le alternative». Le elenca, preparatissimo.

Coda di capodoglio

Coda di capodoglio

Qui sono tutti preparatissimi. Hanno lauree e specializzazioni, o anche solo brevetti, ma di quelli presi in Olanda o in Inghilterra, riconosciuti a livello internazionale. Greenpeace li aiuta a orientarsi, ripaga le spese di studio quando poi ce la fanno a diventare di ruolo dentro l’organizzazione (le assunzioni avvengono per bando e in totale trasparenza). A bordo ci sono anche un padre e un figlio in questo viaggio che toccherà, nei prossimi due mesi, la Grecia e Israele per risalire l’Adriatico fino a Trieste. Un padre e un figlio che a terra non si vedono mai e sono felici di questa occasione per stare insieme. Si chiamano Phil e Brook Dunn, canadesi, 53 e 24 anni, il padre viene dalla Marina americana, dice che è stata proprio la paternità a fargli venire voglia di consegnare un pianeta pulito alle prossime generazioni. Durante la festicciola di compleanno di Emma Briggs, giornalista australiana, attivista e climber, sposata col marconista Gianluca Morini, detto Gionni, che non abbandona quasi mai la sala radio (l’ha disegnata lui, come ha realizzato l’elettronica del ponte di comando e il sistema di antenne della Rainbow Warrior) Phil intreccia intorno al polso e alla caviglia del figlio due braccialetti di corda. Sulla griglia cuociono verdure, carne, tofu per i vegetariani, pannocchie. Si beve sangria e la solita birra. Però nessuno suona, perché l’orchestrina, che prima c’era, è rimasta senza batterista, sbarcato a Civitavecchia.

«E senza batteria che orchestrina è?» si chiede Caterina Torresani, figlia di un marmista, bresciana ventinovenne che vive a Oslo, laureata in Spagna, Erasmus in Chimica farmaceutica, imbarcatasi come aiuto cuoco, ora «mozzo», vale a dire che sa fare ogni tipo di manutenzione. Ma ama soprattutto le ronde notturne: «Star di vedetta, insomma, controllare che tutto funzioni, che non ci siano perdite, che niente voli». Un giorno diventerà ufficiale, l’ha deciso. Ma la vita sentimentale «è disastrata. Chi è disposto ad aspettare 3 mesi che torno per soli 3 mesi e riparto?» Si chiacchiera in varie lingue, ci si distende a osservare le stelle che così in alto mare sono fitte fitte, strepitose. «Guardo Brook nelle interazioni che ha con gli altri, lo vedo a suo agio» commenta Phil con gli occhi brillanti nel buio. «E’ attento e abile nel lavoro, gli piacciono le vele, mentre io preferisco i motori. E’ proprio un bravo ragazzo. Ne sono orgoglioso».

imago-share-01Ragionano così i Greenpeacer: non in termini di carriera, ma di desiderio. Fare qualcosa che ti faccia sentire bene, a contatto con la natura, rischiando in prima persona, ma per un compito alto e urgente. Magari non escludono di fare esperienze di navigazione anche in altre realtà come il pesarese Rossano Filippini che parla perfettamente sette lingue, ha fatto già diverse volte il giro del mondo e si è comprato una fattoria in Portogallo «perché lì la vita costa meno e il paese è molto, molto onesto». Studia per diventare ufficiale e intanto è quello che lavora di più, mai fermo. Lo chiamano Rosso, ma senza nessuna allusione politica. «Vivo con 500/600 euro al mese, e vivo bene. Mi sono pure comprato casa senza fare debiti. Si può ridurre di parecchio i consumi ed essere felici». O il trentenne Nazareth Sanzini, che i genitori hanno chiamato come un famoso calciatore, ma al quale del calcio non frega niente e che a 20 anni si era arruolato in Marina e ora sogna di diventare capitano su questo veliero meravigliosamente tecnologico, e sa che anche se accetterà ingaggi su navi commerciali, tornerà sempre qui, «perché le navi di Greenpeace hanno un cuore». O l’australiana Emily Johnston, antropologa, che quando scende a terra si rifugia nelle Blue Montains in una casetta isolata e si occupa del Parco Nazionale. O l’olandese Hettie Geenen, primo ufficiale e psicologa cinquantatrenne, che vuole lucidamente «salvare il mondo» attraverso la cooperazione di Greenpeace e altre Ong e che nei tre mesi che alterna alla navigazione vive col marito in una house-boat a un’ora (di bicicletta) da Amsterdam. O la ventisettenne danese Anne Jensen, terzo ufficiale, che ha assaggiato con altri 29 attivisti, la durezza del carcere in Russia, durante una recente missione nell’Artico, ma ha potuto superare la terribile esperienza perché ha «sentito di avere una grande organizzazione alle spalle che non l’ha mai lasciata sola».

Le generazioni si mischiano, il vecchio spirito fricchettone del 1971, anno della fondazione, convive dentro Greenpeace con l’efficienza odierna. Ma i suoi militanti non cambiano, idealisti e concreti, mai come ora inverano l’antica profezia dei pellerossa cui devono il nome: «Verrà il giorno che uomini di ogni razza si uniranno come guerrieri dell’arcobaleno per lottare contro la distruzione della Terra».

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