DIARIO 2014, 20 novembre

DIARIO 2014, 20 novembre

Sembrava una presentazione come un’altra: un giovane critico (26 anni, accidenti a lui) ha scritto un pregevole libro, Giorgio Manganelli. Amore, controfigura del nulla. Prefazione Francesco Muzzioli, editore Artemide. Paolo Di Paolo e io eravamo stati chiamati a parlarne alla Casa delle Letterature, a Roma. Ma è stato qualcosa di più di una presentazione: un caldo stringersi intorno alla figura grandeggiante del Manga (come lo si chiamava nell’ambiente letterario), un affastellarsi di ricordi che ha toccato l’apice quando, vedendo fra il pubblico Anna Lapenna, moglie di un altro grande scrittore che non c’è più, Luigi Malerba, e amica di Manganelli, le abbiamo dato la parola. Le sue capacità affabulatorie, i suoi aneddoti hanno contribuito a evocare in carne e ossa l’autore che stavamo celebrando, avvicinandolo alla comprensione e alla simpatia di chi non ha potuto conoscerlo.

Quello che segue è il canovaccio del mio intervento. Avevo preso qualche appunto prima di andare all’appuntamento. Come mi succede regolarmente, ho poi seguito un altro filo raccogliendo gli umori e le suggestioni del momento. Ma va bene così, la sostanza è la stessa. Anche io, come Anna, mi sono lasciata andare ai ricordi. Mi sorprende ogni volta quanto le persone abbiano voglia di ascoltare queste memorie sui nostri scrittori scomparsi, su un tempo passato, piuttosto diverso da quello di oggi, in cui le relazioni fra intellettuali erano parecchio più complesse e stravaganti, meno “educate” se vogliamo dire così. Ma insomma,  eccolo qua:

Giorgio Manganelli

Giorgio Manganelli

Da dove comincio. È difficile parlare di Manganelli, ed è difficile non per motivi concreti o esistenziali, ma per un problema di lingua. Si ha la sensazione di non potersi muovere nello stesso spazio linguistico, da lui abitato con tale forza suggestiva da togliere la parola a tutti gli altri che provano ad avventurarvisi. Ricordo quando lo conobbi, seduta nel suo salotto per intervistarlo. Già al telefono mi ero sentita perduta, al cospetto delle sue erre rotolanti, del suo forbito, ironico interrogarmi. «Perché lei vuol fare una cosa simile?» mi aveva chiesto. Devo aver balbettato una risposta sciocca. Solo per pietà della misera ragazza spedita da un giornale nella tana del leone, ha acconsentito. Poi si sarà subito pentito e avrà avuto voglia di liberarsi di me quando ha sentito squillare il campanello. Perché era nervoso e voleva sottrarsi. Via il registratore, via la penna. «Inventi!» impose. «Inventi la supposta intervista con un sedicente Manganelli… »

La copertina del libro di Giorgio Biferali

La copertina del libro di Giorgio Biferali

Invece poi andò tutto benissimo, e nacque qualcosa di simile a una piccola amicizia. Intuii immediatamente di avere di fronte un uomo disperato che di quella disperazione aveva fatto ironico martirio, costruzione sagace ed estrema di un immenso labirinto letterario. Lui era così, barocco e dottissimo, parlava con la perfezione della lingua usata nei libri. Disse che ormai si annoiava perché i libri gli venivano fuori belli e pronti e non poteva più divertirsi a lavorarci, a limarli.

Dunque ora potete capire meglio la mia ammirazione per questo altro Giorgio, Biferali intendo: la compostezza, la mano ferma con cui ha saputo interpretare il Manga, l’adesione che non smentisce la distanza. Quella calda comprensione con cui ha saputo andare subito al centro delle cose, al cuore di una scrittura che nella sua perfezione, nei suoi arcaismi, nei suoi inconfondibili suoni, nei suoi ripiegamenti retorici altro non è che un grido, persino romantico, leopardiano, lo svelamento dei nostri tanti risibili inganni. Lo dice subito, Biferali, a pagina 24: «E’ proprio su questa tematica che intendo focalizzare il mio scritto, il sillogismo di amore e assenza».

Giorgio Biferali

Giorgio Biferali

Da quel momento non dà pace alla sua preda elusiva. La rincorre, la stana. «Il libro è altrove» afferma Manganelli. No, il libro è sempre e comunque qui, è un testo e come tale si può interpretare. Siamo noi a non esistere, nella nostra fasulla concretezza, noi che abbiamo perso subito tutto nascendo, un regno, una postura forse, un sentimento del Vuoto e del Nulla, unici spazi abitabili e degni della nostra infinita disperazione, della nostra crudele condanna. Quella di vivere, di amare per giunta. «Io sono morto e seguito a morire» cita alla fine Biferali da Tommaso Landolfi trovando emozionanti parentele fra due scrittori pur così diversi. Questo giovanissimo critico con questo suo libro, che ha del miracoloso in un paese dove vai in libreria a chiedere Manganelli e ti invitano a fare lo spelling (mi è successo!), ha scritto un’agevole, seria e utilissima introduzione all’opera di uno dei più grandi e colpevolmente negletti autori italiani.

 

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