Lady Diana avrebbe 6O anni (Bio’s Magazine luglio agosto 2021)

Lady Diana avrebbe 6O anni (Bio’s Magazine luglio agosto 2021)

Lady Diana

Era bellissima, ma di una bellezza che non schiacciava le altre donne. Era di quelle belle che non ci si sentono, perché la loro immagine interiore è un guazzabuglio di insicurezze e delusioni. Gli occhi azzurri rivelavano un’ansia costante, la paura continua di non essere all’altezza. E non voglio dire all’altezza del destino eccezionale che le era capitato in sorte, un destino da fiaba; voglio dire all’altezza della vita tout court, perché lei quegli occhi velati e incerti, che sembravano sempre chiedere perdono, li aveva anche prima di sposare Carlo d’Inghilterrra e di diventare Sua Altezza Reale. Li aveva anche da piccola, quando voleva fare la ballerina, ma era già troppo alta. La Diana amata dal popolo, la Diana regina dei rotocalchi raggiunse poi il metro e settantotto. Avrebbe potuto fare la modella, l’idossatrice. Ma lei non voleva fare la modella.

La cosa che voleva Diana Spencer, figlia di visconti, discendente di una famiglia fra le più antiche e prestigiose del Regno, era essere amata. Non lo vogliamo tutti? Sì, ma le donne di più. E, fra le donne, alcune lo vogliono più delle altre, alcune si ammalano se non sono amate da chi hanno scelto e le ha scelte, alcune ne fanno l’unica ragione significativa della propria esistenza. Diana era fra queste. La gente, che seguiva le sue vicende strombazzate dai media – avidamente o con noncuranza – lo sentiva. E per questo la amava, quasi a compensarla di quel che la vita le aveva sottratto. Ma a lei non serviva a niente, anzi, tutta quella curiosità, quella vicinanza di estranei, quell’adorazione nei suoi confronti le ricordavano forse, per contrasto, ciò che le mancava: l’amore dell’unico dal quale avrebbe voluto essere “vista”, stimata, ricambiata. Almeno per molti anni. Poi, invece di rassegnarsi, fece prevalere la parte vendicativa e indipendente del suo carattere e l’amore andò a cercarselo fuori dal Palazzo.

Diana con Carlo d’Inghilterra

Ma procediamo con ordine. È una deliziosa diciassettenne Diana, timida e sportiva (campionessa di nuoto e di tuffi) quando s’invaghisce del “ragazzo” di una sua sorella più grande, Sarah. Quel ragazzo, che ha tredici anni più di lei, è il principe di Galles. Il tempo passa, Sarah e Carlo scoprono di non essere fatti minimamente l’una per l’altro, mentre l’adesso ventenne Diana è, dietro la sempre attiva timidezza e gli occhi da cerbiatto, una fanciulla assai decisa in materia sentimentale. Sogna un destino fuori dalla norma a risarcirla dell’infelicità infantile attraversata, sente di avere la stoffa per essere un giorno regina. E Carlo è pressato dalla famiglia perché sposi una brava ragazza di rango. Eccola lì, perfetta sotto ogni punto di vista: attraente, adorante e aristocratica. Carlo le propone il matrimonio. Lei non aspettava altro. Basta col lavoro di baby-sitter e di maestra d’asilo (appartenere a un’antica famiglia, ma sgangherata, come la sua non vuol dire non doversi dare da fare per la sussistenza. Siamo in Gb mica in Italia…) I bambini le piacciono, e di più l’idea di averne di suoi. E di più l’avventura straordinaria di vivere una di quelle favole che da sempre abitano i suoi sogni.

Che fosse davvero innamorata di Carlo, oltretutto, nessuno l’ha mai messo in dubbio. E non era così sprovveduta da ammettere, come aveva fatto sua sorella pubblicamente, che se Carlo invece di un principe «fosse stato uno spazzino» non avrebbe mai e poi mai pensato di sposarselo. Bella, semplice, apparentemente malleabile, disposta a imparare i cerimoniali di corte e il complesso protocollo di Buckingam Palace, andava a genio anche a Elisabetta e a Filippo, persino all’esigentissima Regina Madre. Si era scelta, come anello di fidanzamento, uno zafiro da dodici carati circondato da quattordici diamanti. Poteva una futura regnante prendersi qualcosa di appena più modesto?

Intanto il mondo intero, ma soprattutto quello femminile, fra invidia e desiderio di stare al suo posto, s’innamorava di Diana Spencer possima principessa di Galles, che aveva in fondo un’aria da ragazza qualunque con quell’espressione di una che non crede a ciò che le sta accadendo, una che, persino il giorno delle nozze in mondovisione, sembra pensare: «Ma guarda cosa mi è capitato. Proprio a me!» Questo esprimevano i suoi occhi, con una sfumatura di senso di colpa nelle iridi brillanti. Nemmeno dentro il regale vestito da sposa dismette quello sguardo da orfanella; e nelle foto ufficiali la vedi abbarbicata, come spaurita, a tre bambine che le fanno da damigelle. Persino dentro la carrozza d’altri tempi (i tempi delle fiabe appunto) lei saluta il popolo come scusandosi, come se si stesse domandando stupefatta «che ci faccio qui?»

Diana con Grace di Monaco

Vuole la leggenda che, un giorno del 1981, appena sposata, a una festa ufficiale Diana, che aveva sbagliato abbigliamento ed era disperata, venisse rincuorata da Grace di Monaco invitata al ricevimento. Grace aveva notato che la bionda principessa, tutta agitata, non sapeva più nemmeno tenere in mano la borsetta ed era sull’orlo delle lacrime. La trascinò in bagno con sé e le diede qualche dritta come una che in simili situazioni c’era già passata e sapeva ormai come destreggiarsi. Nelle foto di quella occasione Grace guarda Diana con simpatia, Diana ha sempre lo sguardo perso verso il marito intento a parlare con qualcun altro… È impressionante che poco più di un anno dopo, la principessa di Monaco morisse in un incidente d’auto, come sarebbe accaduto un giorno del 1997 anche alla sua giovane amica.

Il pubblico si nutre di leggende, di ipotesi, di fantasie, e delle sofferenze degli altri. Soprattutto quegli altri che sembrano in modo tanto sproporzionato benedetti dalla sorte. Ma per Diana Spencer è stato diverso: il meccanismo per cui la persona famosa viene idolatrata e insieme odiata si è inceppato. «Diana era una di noi» dicevano piangendo gli intervistati di quella folla immane e sinceramente addolorata che, dopo la sua morte, bloccava il traffico per lasciare fiori, disegni, doni, messaggi intorno alla residenza londinese di Kensington Palace. Anche in questo nome c’è inevitabilmente il ricordo di una fiaba, Peter Pan: e dove altro poteva abitare Diana se non nei giardini di Kensington in cui, secondo J. M. Barrie, i bambini se «cadono dalle carrozzine quando la bambinaia guarda da un’altra parte» si perdono, ma per ritrovarsi tutti nell’Isola-che-non-c’è?

Carlo d’Inghilterra non ha mai avuto il fisico dell’uomo fatale, e nemmeno il carattere. Non ha ereditato il prestigio di sua madre, né la simpatia del padre. Non risulta che brilli per cultura. Gli piace il gardening (ci ha anche scritto su dei libri) e ha raggiunto ragguardevoli risultati solo sul campo di polo e nella (odiosa) caccia alla volpe. Si diletta dipingendo ad acquarello. Però, è un principe, e più grande di Diana per età, e lei cercava un padre, anche, nel compagno della sua vita. Aveva avuto un’infanzia turbolenta, con i genitori che si separano che lei ha solo sette anni. Va a vivere con la madre, poi il padre ne ottiene la custodia. Ma si sposa con una donna che ai figli non piace e a lei non piacciono loro… Anche di questo si nutre la sua leggenda: dei tradimenti dei genitori che si riverberano sui figli. E del tradimento di Carlo, innamorato di una donna tanto meno bella di Diana. Così, quando poi Carlo e Diana divorziano, e lei ha raccontato a tutti la propria depressione, la bulimia, la fredda anaffettiva atmosfera di Buckingam Palace, la seduzione del suicidio…tutti si schierano dalla sua parte, i popoli di mezzo mondo sono con lei. Lei che accarezza i bambini poveri, lei che, elegantissima e con quell’indelebile sorriso sconfitto sul volto, viene presa per mano da Teresa di Calcutta. Lei che, finalmente, un bel giorno sembra aver trovato l’uomo giusto. Ma l’uomo giusto è sbagliatissimo agli occhi della famiglia reale che non ne può più di Diana e degli scandali che suscita. Si è andata a innamorare, stavolta, di un egiziano, un musulmano, Dodi Al-Fayed, imprenditore e playboy (figlio di un milionario, ça va sans dire).

Con Dodi, l’ultimo amore

Ed è con lui che muore. Così, anche non fosse stato un grande amore, lo diventa per meriti di sacrificio: il sacrificio di due splendidi amanti, ricchi e spericolati. È il 30 agosto del ’97, sabato. Diana e Dodi sono a Parigi. Sono stati a cena al Ritz di Place Vendôme. Salgono, insieme a una guardia del corpo, sulla Mercedes guidata da un autista.  Sono spiati, inseguiti, tallonati – come sempre – da fotografi e giornalisti. Percorrono la riva destra della Senna, hanno fretta di arrivare a casa, di fare l’amore probabilmente. Forse Dodi chiede all’autista di accelerare, per sottrarsi alle moto che si accostano in continuazione, ai flash insopportabili. È mezzanotte. Imboccano il tunnel sotto il ponte dell’Alma. Improvviso lo schianto contro il tredicesimo pilastro della galleria. Si salva solo la guardia del corpo: l’unico ad avere la cintura di sicurezza allacciata. Dodi e l’autista muoiono sul colpo. A Diana la sorte peggiore: viene liberata faticosamente dalle lamiere ancora viva. Ma solo per morire due ore più tardi in ospedale.

Il mondo si sveglia il 31 agosto in delirio per la notizia. Si fanno ipotesi terribili: che Diana sia stata eliminata dai servizi segreti britannici. Che sia stata la corona inglese a volerla morta perché un eventuale figlio arabo, fratellastro dell’erede al trono, sarebbe stato disdicevole… Fatti strani, voci, dicerie si moltiplicano intorno a quel malaugurato incidente. Le indagini non portano a niente.

Ma intanto la morte violenta, la morte giovane (ha solo trentasei anni Diana ed è madre di due figli, William e Harry di quindici e tredici anni) viene a coronare il mito. E lei, chiunque fosse sul serio nel segreto del suo cuore (quel cuore che l’incidente le aveva spostato nella parte opposta del corpo) resterà per sempre la ragazza tradita nei sentimenti, la ragazza “come tutte”, che aveva perso la scarpetta al ballo perché un principe potesse rintracciarla. Ma non per renderla felice «per tutta la vita»: per tradirla, invece, e distruggerla. E noi, incantati da un idolo, ce la siamo raccontata così, continuiamo a raccontarcela così. Che male c’è dopotutto?

 

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