Un anno con Virginia Woolf (e Nadia Fusini) Il Foglio 26/11/21

Un anno con Virginia Woolf (e Nadia Fusini) Il Foglio 26/11/21

Virginia Woolf da piccola con la sorella Vanessa

In quel meraviglioso romanzo di Virginia Woolf dal titolo Tra un atto e l’altro c’è un bambino di nome George, che è un tipo solitario e riflessivo. Mentre i grandi parlano fra loro, lui si mette a scavare in giardino e fa grandi scoperte: trova un fiore, trova le radici di un albero, capisce il rapporto stretto fra l’odore della terra, la nascita d’un fiore e l’albero, perché tutto è uno. Ma ecco che «un mostro impettito, orribile, senz’occhi» gli si avvicina agitando le braccia e dice: «George, di’ buongiorno al nonno». Quel bambino, se andiamo a leggere Uno schizzo del passato, si rivela essere l’autrice stessa, Virginia in persona, Virginia bambina che si sentiva un maschiaccio, giocava a cricket, scalava le rocce, si arrampicava sugli alberi e, proprio come George, scavava la terra nella casa al mare, quella di Gita al faro o Al faro che dir si voglia, insomma To the lighthouse, e scavando scopriva la verità, e cioè che «la pianta era parte della terra». E mette via il pensiero perché sa già che un giorno le «sarebbe stato utile». Il giorno verrà dopo molti anni, quando scriverà, appunto, Tra un atto e l’altro.
Questa magnifica scoperta, come moltissime altre, il lettore la fa grazie a Nadia Fusini, che alla scrittrice inglese ha dedicato molte pagine fondamentali e una biografia, e ora ha messo insieme l’affascinante Un anno con Virginia Woolf (Neri Pozza, 400 pagine, 19 euro) che ogni giorno dell’anno riflette su una citazione tratta dalla vasta opera della scrittrice ragionando e mettendo in relazione momenti diversi della sua vita e della sua creazione artistica. E proprio a Fusini io devo chiedere scusa per la storia di Al faro (lei giustamente traduce così il celebre titolo) ma io proprio non riesco a rinunciare alla vecchia musica di Gita al faro, è come per La montagna incantata di Thomas Mann che ora la sua famosa traduttrice, Renata Colorni, vuole assolutamente che chiamiamo La montagna magica
Ma pazienza. Torniamo a Un anno con Virginia Woolf. Il modo migliore di leggerlo sarebbe davvero metterselo vicino al letto e svegliarsi o addormentarsi ogni giorno leggendone una pagina e ricomporre così l’ampio mosaico di intenzioni e di poesia di Woolf, aiutati dalle indicazioni rapide e profonde di Fusini. Ma come resistere? A leggerlo invece tutto insieme come ho fatto io, succede di afferrare e seguire tanti bandoli diversi: il rapporto di Virginia con la letteratura delle donne, quello con la letteratura degli uomini, l’amore necessario e frigidino per il marito, l’amore sensuale per Vita Sackville West, il corpo a corpo con la pazzia, la passione per l’esistenza turbolenta e piena di bambini della sorella Vanessa. Ecco, i bambini.

Nadia Fusini

È questo il primo bandolo che ho colto io, proprio per l’analogia fra Virginia bambina e il personaggio George. E poi mi sono detta che la Woolf, come Simone de Beauvoir, ha sentito in contrapposizione l’avere figli e lo scrivere. Ma in modo diversissimo. Beauvoir ne faceva una condizione di parità con gli uomini per scendere nello stesso campo, quello artistico. Woolf temeva di non potersi permettere di essere madre per le sue precarie condizioni mentali, per quel suo essere sempre sul bordo dello sprofondamento nel buio della follia. E così ha trasformato i libri in figli, sentendone le varie fasi compositive come gravidanza, parto e separazione. Nadia Fusini torna spesso su questo tema, ci fa vedere quanto la scrittrice amasse e osservasse i bambini per poi rappresentarli nell’opera, ma anche per capire l’essenza profonda degli esseri umani. E anche degli animali, come quando – in una lettera a Vita – descrive l’atteggiamento verso i suoi quattro cuccioli di Pinka, la cagnetta che l’amica le ha regalato: «Lei è un campione perfetto dei soliti difetti materni: tutta dedita, devota, premurosa, una vera chioccia». E mi pare che Nadia Fusini sia sulla stessa onda, e noi con lei: «Chi scrive genera, è madre. E il libro è la creatura che partorisce. E il lettore, che lo accoglie, lo rigenera».

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