Scrittori librai (L’Immaginazione 327)
Due fra i libri che ultimamente mi è piaciuto di più leggere sono stati scritti da librai. Giovanni Spadaccini – «libraio d’occasione» quarantenne di Reggio Emilia – ha scritto per Utet Compro libri anche in grande quantità (185 pagine, 16 euro). Nadia Dalle Vedove (Alfabeto Nina, edito da Italo Svevo, 222 pagine, 17 euro) è nata a Como nel 1973, si è trasferita da Milano a Trieste, ed è anche lei una libraia di riferimento della città.
Forse mi sono piaciuti tanto perché parlano di libri e di scrittori, forse perché leggendo ci si trova a casa, immaginando case piene di libri, forse perché nella scrittura dell’uno come dell’altra i libri escono dall’immobilità della propria natura di oggetto e prendono vita, anzi vite, tante vite diverse e inaspettate, sono autonomi, ma sono anche specchi di chi li racconta. Tutti e due questi librai, fra l’altro, non corrono dietro alle novità. Come scrive Nadia: «Uno dei momenti più emozionanti del mio lavoro è trovarmi di fronte alla biblioteca della vita di una persona…Credo che non riuscirei più a trattare solo libri nuovi proprio per l’infinità dei tesori che ancora posso scoprire e che scopro ogni giorno». Giovanni, insieme alla moglie, ha aperto nel 2010 la libreria Libri Risorti (il nome glielo ha suggerito un amico scrittore, Antonio Moresco), e questo vuol dire che compra intere biblioteche dismesse, per una ragione o per l’altra, e poi li rivende nella sua bottega. Ma prima li accarezza, li apre, li guarda, li ascolta, li annusa. «Libri freddi, gelati, ghiacciati da decenni. Libri dimenticati, o forse solo accumulati». E dentro trova tanti segni di vite vissute che non sono la sua: biglietti d’amore, fiori secchi, appunti, vecchie cartoline, fotografie. Ma scopre una cosa terribile: che «il più delle volte questo carico di bellezza viene dal male». Sì, i libri che compra e che spesso sceglie a colpo d’occhio riconoscendoli dalle coste impilate negli scaffali «vengono dalla morte e dal dolore, dalla rabbia, dall’inimicizia e dal bisogno di oblio verso una persona, o dalla disperazione e dalla delusione per la vita». Le persone si sbarazzano dell’ingombro di librerie ereditate a volte ignari di quello che hanno rappresentato per la persona che è morta, a volte infastidite perché non sanno che farsene e rappresentano solo un problema. Non contrattano nemmeno, felici che i libri tolgano il disturbo il più rapidamente possibile.
Nasce dalla morte, ma di una persona cara, la madre – che è la Nina del titolo – anche il libro di Nadia Dalle Vedove, un memoir in cui il rapporto coi libri è centrale come la scoperta, durante un trasloco, che – guarda caso – la sua libreria è piena di racconti dedicati alla morte di una madre. E del resto sono tanti gli scrittori e le scrittrici che hanno sentito il bisogno di confrontarsi con questo tema. Poi è anche vero che «sono i lettori a completare le storie e a far diventare ogni libro una storia unica e diversa». Perché i libri parlano, ma non una sola lingua, parlano ogni volta la lingua di quel preciso lettore che è entrato in sintonia profonda con essi. Ecco, ora mi è chiaro, precisamente chiaro, il motivo della mia personale sintonia profonda con questi due autori. Abbiamo lo stesso rapporto con gli oggetti-libro, li consideriamo dei medium che ci mettono in contatto con anime perdute, lontane, diverse. È l’unico modo che abbiamo, leggere, di entrare nella testa, nel cuore, nella personalità di un altro essere umano. Sentire con lui. Vedere il mondo con i suoi occhi che diventano i nostri.
Sono naturalmente tantissimi i titoli citati in Compro libri come in Alfabeto Nina, e tanti sono ovvi, nel senso che è facile amarli, consegnati già alla classicità – come Kafka, ricordato più volte da entrambi, per dire, e come si fa a non adorare Tolstoj, si potrebbe vivere senza? – ma poi ecco, nel libro di Nadia, la Blonde di Joyce Carol Oates e in quello di Giovanni, il Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi. Due contemporanei, scrittori che si sono misurati e la Oates continua a misurarsi, perché è viva mentre Tabucchi no, con le difficili sorti del romanzo di oggi, e proprio di Tabucchi Spadaccini fa sua una lezione, davvero indimenticabile: «Cerca di diventare tu stesso l’oggetto di quelle storie, ma senza narcisismo, senza quella inutile vanagloria che gli scrittori s’appuntano al petto. Sta’ lontano, a distanza, e poi rituffati dentro. Apri la porta di casa e falli entrare, tutti quei fantasmi smarriti che hai incontrato». Allora, per concludere, ho una ragione in più per consigliare la lettura di questi due libri, perché sia Dalle Vedove sia Spadaccini non hanno scritto per appuntarsi medaglie, ma per incontrare fantasmi smarriti e, ragionando con loro e di loro, hanno saputo raccontarli.