Ritratto di signora (Immaginazione 328, marzo-aprile ‘22)

Ritratto di signora (Immaginazione 328, marzo-aprile ‘22)

Ginevra Bompiani

Ho conosciuto Ginevra Bompiani nella metà degli anni Ottanta e l’ho sempre collegata a un’impressione di luce. Anche quando è ispida, e sa esserlo fortemente, non perde una sua caratteristica di luminosità. Forse la pelle chiara, i capelli a caschetto che erano biondi e ora bianchi, gli occhi celesti, il sorriso infantile e sempre pronto, come certi bronci improvvisi quanto rapidi. O forse quel suo voler andare sempre a fondo delle cose, quel non lasciar mai correre, quel pretendere costantemente di “fare luce”.  E ora, leggendo il suo nuovo libro, La penultima illusione (Feltrinelli, 320 pagine, 19 euro), ne ho un’ulteriore conferma, perché lei c’è tutta in piena luce in questo racconto autobiografico e lo dice a chiare lettere: «A me piace battermi». Le piace battersi per le grandi idee (grandi illusioni luminose) come nel privato, con gli amici, quando non la pensano allo stesso modo. Lei deve far luce e spiegarsi e cercare di vincere la battaglia delle idee.

Fin da piccola era così. Basta guardarla nella foto della copertina in cui si vede il grande Valentino Bompani, suo padre, intento a fare un solitario con le due figlie accanto, ancora bambine, e mentre la più grande guarda tranquilla le carte, Ginevra ha da ridire con la piccola mano chiusa a pugno e le sopracciglia increspate. Ce l’ha con una mossa del padre che non condivide?  Quel padre geniale e prepotente ha molto spazio nel libro, ma non giganteggia. A giganteggiare è la luminosità della scrittura e la forza delle parole che si agglomerano in frasi come questa: «Così pure la vita, la nostra vita, appartiene a due tempi, che non sono il passato e il presente, ma l’eterno presente del nostro passato e il remoto passato del nostro presente».

E il futuro? si potrebbe chiedere. Il futuro, penso, è proprio l’illusione del titolo, sempre penultima. Stavolta a dare il là alla narrazione c’è un’illusione di maternità incarnata in una nuova avventura («Non voglio raccontare la mia intimità, ma la mia avventura» dice infatti l’autrice): quella della difficile convivenza con una giovane somala, di cui diventa tutore, chiamata nel libro semplicemente con l’iniziale del nome, N. Nell’incontro scontro con la ragazza si sviluppa una complessa meditazione sul senso o nonsenso dell’esistenza, sulle differenze abissali fra i diversi destini, fra i ricordi di una vita privilegiata da una parte e quelli – dall’altra – di qualcuno spossessato di tutto, e che tutto deve imparare controvoglia e per cui anche la necessità di imparare e adattarsi si rivela un ulteriore spossessamento.

Quando si legge il libro, soprattutto un libro così personale, di qualcuno che conosciamo, si mette in gioco qualcosa di particolarmente emotivo. Perché a tratti proviamo la gioia festosa di un riconoscimento (quella volta, quella città, quella casa, quell’episodio) a volte la sorpresa dell’inaspettato. Per esempio, ignoravo che fra le tante avventure di Ginevra Bompiani ci fosse quella di essere stata una delle fondatrici di Rivolta Femminile con le due Carle, Lonzi e Accardi, ed Elvira Banotti, nel 1970. «La donna è l’altro rispetto all’uomo. L’uomo è l’altro rispetto alla donna. L’uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna a più alti livelli» diceva il manifesto del gruppo…

E ignoravo le sue tante imprese umanitarie sul campo: la Bosnia, l’Africa, l’illusione di creare biblioteche nei deserti… Invece a un’altra avventura, quella editoriale di nottetempo, da lei fondata con Roberta Einaudi nel 2002, ho preso parte anch’io con un romanzo pubblicato nel 2015 (Dolorose considerazioni del cuore) e ricordo perfettamente il clima di generale laboriosa amicizia che vi circolava e che ritrovo fra le pagine. Così come riconosco l’autrice nell’autoritratto di una donna «combattuta fra la natura guerriera e la bambina spaventata». Confesso che le nature troppo guerriere mi mettono in allarme, ma ora mi è più chiaro perché nei miei rapporti con Ginevra ha sempre vinto invece un senso di fiducia e di stima e di simpatia: ed è proprio grazie alla bambina spaventata che sotto sotto si avverte in lei. Ed è molto bello quando l’intelligenza non dimentica l’infanzia.

Adesso mi dico che ho trascurato mille fatti contenuti in questo ricchissimo libro. La quantità di persone eccezionali, viste da vicino o addirittura vicinissimo, che vi vengono raccontate o le riflessioni sulla maternità mancata. Ma concludo con una riflessione che mi ha toccato particolarmente e di cui condivido tutto lo strazio: «Porto sulle spalle la sofferenza delle cose… Per me che ho vissuto tanto da sola, i morti, i fantasmi, le cose sono presenti come gli animali che si aggirano per casa. Forse è questa, ancora oggi, la mia forma di religione».

FacebooktwittermailFacebooktwittermail
No Comments

Post a Comment