Parigi-Los Angeles o dell’inciampare (Domani, 13 giugno 22)

Parigi-Los Angeles o dell’inciampare (Domani, 13 giugno 22)

Caterina Venturini

Forse è solo perché sono due libri usciti contemporaneamente e dunque li ho letti insieme, saltando dall’uno all’altro, e perché conosco le autrici e le stimo, e perché tutte e due le autrici, Eleonora Marangoni e Caterina Venturini, hanno forti rapporti con altri paesi. Per tutto questo mi sono sembrate due opere curiosamente sorelle? Parlo di Paris, s’il vous plaît (Einaudi, 195 pagine, 18,50 euro) dell’una, e di Quchi. Quello che ho ingoiato (e/o, 265 pagine, 18 euro) dell’altra. Sorelle diversissime, ma che sotto sotto qualcosa in comune ce l’hanno. Pure le città che raccontano, e con cui hanno dimestichezza per i casi delle loro vite, non potrebbero essere più diverse: Parigi e Los Angeles. Per non parlare della personalità: agli antipodi come il colore dei capelli, la romana, bionda Eleonora potrebbe perfino essere considerata un po’ sofisticata, una che se la tira insomma (è solo timidezza, secondo me); dove Caterina, nata in provincia (ad Amelia, in Umbria), è bruna e diretta, travolgente, ma solo – credo – per tenere a bada l’insicurezza.

 

 

Eleonora Marangoni

Insomma, il fatto è che con questi due libri, fra autobiografia e romanzo, memoir e storie di radicamenti sradicati, si rivelano in modo contraddittorio e bizzarro, rivelando al contempo uno stile molto femminile di stare al mondo. Già le copertine sembrano parlarsi e farsi l’occhietto: in Paris c’è un cameriere che inciampa, mentre gli altri camerieri del gruppo vanno spediti alla meta; in Quchi c’è una ragazza che ride, ma leggendo scopriremo che è il riso amaro di una che non fa che inciampare. E lo stesso titolo Quchi altro non è se non la sigla della frase che segue, quello che ho ingoiato (vale a dire una serie di umiliazioni) e non è tipico dei francesi (ci spiega Marangoni) il loro «amore quasi ottuso per gli acronimi»?

E qui le similitudini potrebbero dirsi concluse, se non che, certe volte, le divergenze finiscono col dirigersi verso una medesima direzione. E la direzione che sicuramente hanno in comune queste due interessanti scrittrici è quella di cercare (e trovare) nuove strade per narrare storie che coinvolgono, nutrono, insegnano. Da entrambe s’impara qualcosa. Per esempio una flânerie narrativa leggendo Marangoni, che fra le due è la più introversa, e dunque risolve l’interiorità in osservazione esterna: dalle buone librerie alle lavanderie a gettone, case abitate e passaggi in quelle altrui, magari famose, fra Proust e Diderot, da Perec a Modiano, scorribande inconcludenti per la città e fatti personali, amori e partenze, dichiarazioni di poetica: «La mia era una devozione verso cose minuscole che vedevo nel mondo e che avrei voluto catturare e custodire attraverso le parole». E cosa c’è di meglio per farlo, per catturare le cose, minuscole o meno, di redigere elenchi, liste, cataloghi? Liste di tutto, purchè un tutto parigino: scale scricchiolanti di legno e moquette polverose, codici per aprire i portoni, situazioni, alberi, fiori, caffè. Con l’aiuto di una tecnica carica di sorprese, la vecchia cara tecnica delle libere associazioni. Così la Kim Novak della Donna che visse due volte suggerisce la regola d’oro del flâneur (o della flâneuse che dir si voglia, ma esiste?): «Da soli si può andare in giro, in due si va sempre da qualche parte», questo spiega Kim Novak a James Stewart. Ed Eleonora capisce al volo e ci racconta cosa combina davvero il flâneur a spasso per Parigi.  Non è un bighellone e non è un vagabondo, ma uno che si perde nella città – rigorosamente solo – per osservare e riflettere. Proprio come fa lei per scrivere questo libro. Sempre pronta a ripartire e riparare in Italia o chissà dove, ma a un solo scopo, poter tornare, tornare a Parigi. Perché «questa città mi ha insegnato di me più di quanto non mi abbia svelato di lei». Le ha insegnato soprattutto, dice, a «lasciar scorrere» e più che un posto dove si svolgeva la sua vita Parigi è stata per lei «un luogo che ha educato il mio sguardo».

Cos’è invece Los Angeles per Caterina Venturini, o per la protagonista Carla Longhi di Quchi (stessa pronuncia dell’inglese cookie, suo biscottino/madeleine tanto per restare in zona proustiana)? Ma poi, come dice la stessa Venturini, che anche nel corso di una stessa pagina passa con disinvoltura dalla prima alla terza persona: «Carla/che sarei io»… Insomma si gioca molto in questo “chiamiamolo romanzo” ad andare avanti e indietro non solo fra continenti, ma anche nelle identità e nel tempo, il tempo della lontana infanzia dove si è formata una Carla rinunciataria che nel corso degli anni molla carriera, amici, parenti, Europa per andarsene in America. Ed è così negativa sulla nuova geografia che si rifiuta di imparare bene l’inglese, tanto per annoverare un nuovo fallimento. Il tutto raccontato con estremo amarissimo umorismo, uno sguardo alla Coscienza di Zeno e uno al Philip Roth del Lamento di Portnoy. Riferimenti fortemente maschili, anche per lei, come per Marangoni. Ce n’è pure un terzo, molto forte. Carla legge a un certo punto Il sergente nella neve di Rigoni Stern e si sente «in marcia nel gelo di ciò che non è stato compiuto, al termine di ciò che non è stato compreso».

Una strada di Parigi

Ecco cos’è Los Angeles per lei, la fuga dal «cazzeggio, virtù tipicamente italiana, quel dolce far niente tutto nostro che gli americani hanno chiamato “dolce vita”, una sorta di flânerie da seduti. Nemmeno lo sforzo francese di chiacchierare camminando».

Il libro è pieno di queste considerazioni fulminanti, che fanno sorridere a denti stretti, considerazioni che s’intrecciano nei dialoghi di Carla con la sua analista, di Carla – che è una scrittrice di scarso successo – con la sua (insopportabile) agente. E così l’impressione è anche qui di fare i flâneurs, ma non solo in giro per Los Angeles. In giro nelle delusioni di cui è piena la vita, e non solo quella di Carla.

Con un unico punto fermo, che ritrovo nell’una (Venturini) come nell’altra (Marangoni). L’amicizia. Persino quando gli amici se ne sono andati, per inesorabile malattia l’amica del cuore di Caterina, suicidandosi un grande amico di Eleonora. Concludo con lei, Marangoni, che nemmeno l’amicizia basta se non impedisce a un amico di farla finita, e però «al tempo stesso è tutto quello che abbiamo».

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