Dipingere la luce (Il Foglio 13/1/23)
Essere separato dalla mamma, ecco cos’è per Marcel Proust “l’idea di miseria”. E non solo da piccolo, quando in celebri pagine della Recherche aspetta (lui o il suo alter ego narrativo, poco cambia) il bacio della buonanotte – conteso al padre – che contiene il senso della vita. È ben più grande l’eroe quando dalla madre si allontana per la prima volta insieme a un’amatissima sostituta, la nonna, che lo porta in vacanza a Balbec fra irresistibili fanciulle in fiore. Eppure il tormento della separazione è sempre grandissimo, prodromo di un distacco definitivo e indicibile.
Quante volte ci è stato raccontato Proust e la sua dipendenza di figlio, e quante volte siamo stati lui, o il suo personaggio bambino, in attesa spinosa di quel bacio che tarda ad arrivare, di quel bacio che comunque riconsegna velocemente alla solitudine e alla perdita, quando la madre adorata chiuderà la porta dietro di sé consegnando il figlio alla sua insuperabile individualità. E in quanti altri modi ci è stato raccontato questo autore inesauribile. Perché, come ha scritto una volta per tutte Virginia Woolf nel saggio Fasi della narrativa, le relazioni nel mondo di Proust non sono solo fra le persone «ma col tempo, col cibo, con gli abiti, gli odori, con l’arte, la religione, la scienza, la storia, e mille altri influssi». Fra gli altri influssi ci sono quelli potentissimi dei colori. E Proust. I colori del Tempo s’intitola il seducente saggio di Eleonora Marangoni che, scritto già durante i suoi studi universitari parigini, fu pubblicato una prima volta otto anni fa da Electa e ora torna (con Feltrinelli) sull’onda del centenario della morte del narratore francese (18 novembre 1922) che tanti libri in suo onore sta proponendo ovunque.
«Nella Recherche il colore non è importante in quanto viene raccontato, è importante perché egli stesso racconta» scrive l’autrice, che a Proust et la peinture italienne aveva già dedicato un saggio (Michel de Maule, 2011). Il suo libro è un’appassionata passeggiata fra le pagine proustiane alla ricerca non solo dei tantissimi riferimenti diretti ai colori, ma – in modo ancora più potente – divagando fra esempi pittorici (presenti come illustrazioni) che in qualche modo Marangoni ricollega a Proust in un complesso gioco di echi e di luci futuri che Proust non avrebbe potuto immaginare. Ogni capitolo è intitolato a un colore, ogni colore rimanda a pagine e a citazioni della Recherche, ma anche ad artisti lontanissimi da quell’opera geograficamente o cronologicamente. Eppure quando Marangoni cita una frase di Hopper (illustrata dal bellissimo quadro Sun in an empty room): «Tutto quello che voglio fare è dipingere la luce del sole sulla parete di una casa», sta ripentendo il mantra di ogni scrittore o artista che metta al primo posto lo stile rispetto alla trama, o la visione rispetto al disegno. Come scrive Alessandro Piperno (autore fra l’altro per Mondadori del recentissimo e coinvolgente Proust senza tempo) in un’affettuosa introduzione al libro di Marangoni: «Uno scrittore pensa per immagini. E difficilmente tali immagini sono in bianco e nero». Di che colore è allora il Tempo, protagonista principale della Recherche? E’ verde, dice l’autrice «colore sfuggente e in qualche modo spietato», il verde associato «al gioco e al destino». Non come il rilassante blu, che Nabokov esalta: «Che felicità nel blu. Non ho mai saputo quanto blu potesse essere il blu». Il giovane Marcel ne scopre le qualità lenitive proprio nel viaggio verso Balbec, sul treno che lo allontana dalla madre: è il blu della tenda contro il finestrino a consolarlo, la prospettiva del blu che cancella «tutti i colori su cui i miei occhi si erano posati dal giorno della mia nascita…» (Sandra Petrignani)