Ombre sul lago (IlFoglio, 17/3/23)
Forse chi è nato in una grande città non lo avverte, ma basta appartenere alla provincia, a un piccolo borgo, ed è subito chiaro. Si è figli dei genitori come di un luogo, e quel luogo, se abbiamo avuto un forte rapporto con la sua geografia, i suoi abitanti, la sua lingua o dialetto, ci resta dentro e ci forma, persino quando ce ne siamo allontanati da piccoli. Io, per dire, ho avuto una madre napoletana e un padre umbro, sono vissuta dopo i sei anni a Roma, a Roma ho studiato e Roma è sempre stata, ovunque abbia messo le tende nel tempo, la mia città di riferimento. Però sono nata a Piacenza, dove non ho nemmeno un parente, ma dove ho vissuto la mia prima infanzia. E mi sento figlia del Po e della pianura, della neve che allora ammantava gli inverni, e della nebbia, nebbia densa come non ne ho mai vista altrove.
Ho ripensato a tutto questo leggendo una frase di Andrea Caterini nella prefazione a un piccolo libro di parole e immagini, Stradario sentimentale (Oligo ed., 75 pagine, 15 euro) di Francesco Permunian con foto di Pino Mongiello. La frase è questa: «Non c’è narratore italiano che come Permunian riesca a farci percepire quanto i luoghi che abitiamo siano non già lo scenario di una narrazione o di un immaginario ma lo spazio in cui il nostro stesso carattere si forma». E così questo Stradario (sottotitolo: del lago di Garda e del monte Baldo) è insieme un racconto di viaggio e l’autoritratto di uno scrittore che su quel lago vive da molti anni finendo per somigliare alla sua dolcezza ossessiva come ai suoi impervi anfratti. Tanto che non riesce a staccarsene quando scrive. (Anche nel suo recente Elogio dell’aberrazione, pubblicato da Ponte alle Grazie, c’è il Garda e «la volatile consistenza dei sogni fatti all’alba»). È il bello di Permunian dare corpo a sogni e fantasmi «che si agitano e schiamazzano… Tra la ragione e la follia». Ma torniamo allo Stradario dove un viaggio concreto, con un compagno in carne e ossa, il fotografo Mongiello, lo costringe ad affrontare la luce del giorno in un randagismo domestico (ha fatto per anni il bibliotecario a Desenzano e vive tuttora da qualche parte su queste sponde). Così si muove fra Sirmione e Malcesine, incontrando cari spettri, come Maria Callas che qui «vide nascere e sfiorire il suo amore per Giovanni Battista Meneghini»; come Goethe che ne parla nel suo Viaggio in Italia; come Kafka che nel golfo di Riva ambientò Il cacciatore Gracco; come Lawrence che a San Gaudenzio, «un pugno di case immerso tra vigne, olivi e cipressi», visse con Frida, l’amore della sua vita, per qualche mese del 1912.
Fra tanti spettri ce ne sono anche due personali. La loro storia arriva improvvisa, intensa e inattesa, quanto proposta rapidamente, a volo d’uccello, senza approfondire. Perché così è il dolore lontano negli anni: un abbaglio che coglie di sorpresa a una curva, all’imbocco di un sentiero. Sono una madre, insegnante, Ada Sandri, e la figlia dal nome dantesco, Maria Beatrice, compagna di università dell’autore a Padova e poi sua moglie. Si stagliano solitarie in mezzo a un gruppo di altre insegnanti del dopoguerra fra bambini bisognosi di tutto, costretti a studiare nel gelo e nella più nera povertà, generose, altruiste e disperate di non poter fare altro che insegnare, per attrezzare quei piccoli a una vita migliore, o almeno alla sua speranza. Purtroppo scomparse entrambe fra la primavera e l’estate del 1982 (Permunian aveva trentun anni). Non sappiamo cosa sia accaduto, una malattia probabilmente, ma le vediamo anche noi, madre e figlia, «avvolte nella stessa identica luce solare: Ada sulla strada di Lumini e Beatrice lungo quella di San Michele» mentre da una sponda all’altra del Garda, quella veronese e quella bresciana, si scambiano «un estremo e tenero saluto». Succede a volte che uno scrittore, come questo figlio del lago col suo Stradario sentimentale, affidi la parte più segreta di sé a un libro apparentemente secondario dandogli però così un posto privilegiato nella sua opera.