Ricchezza e povertà in 2 romanzi (Imm. 335, maggio-giugno 2023)

Ricchezza e povertà in 2 romanzi (Imm. 335, maggio-giugno 2023)

Ho fra le mani due romanzi che affrontano un tema di grande attualità. Se però lo riassumo come “ricchezza e povertà” sembra subito vecchio. Perché in qualche modo parlano del contrasto fra chi ha tutto e chi niente. E del bisogno di chi ha tutto di fuggire dalle sue sicurezze e affrontare, attraverso gli occhi, forse bricconi, dell’altro (quello che non ha niente) una nuova dimensione di vita.

Uno s’intitola Memorie di un infedele (Bompiani, 250 pagine, 17 euro) e l’ha scritto Sebastiano Nata. L’altro, L’attimo presente (Mondadori, 180 pagine, 19 euro), è di Angelo Roma. Oltre a essere scrittori, appartengono entrambi al mondo manageriale di grandi aziende. Da qui forse la comune ispirazione. E dalla stanchezza.

Stanchezza per un mondo protetto e sempre meno rassicurante, un mondo in realtà sempre più precario nei suoi risultati e nelle presunte rassicurazioni che dovrebbe fornire. Il protagonista di Memorie di un infedele si chiama Tommaso Alfieri, «guarda la sua vita e si rende conto di averla sprecata». È stato operato di prostata e l’esito potrebbe non essere dei migliori. Potrebbe non esserci tanto futuro davanti. A che serve a questo punto aver fatto carriera, aver accumulato capitali? La famiglia si è spezzata, via i figli per le loro strade, via la moglie innamorata di un altro. Brilla solitaria una tremenda consapevolezza: «Per anni mi sono identificato con i soldi che ho messo da parte. Di quell’interminabile stagione della mia vita che ancora mi definisce, sembra non sia rimasto nient’altro. Io sono i quattrini che ho accumulato. E un tale essere odioso vorrei ridurlo in cenere». Così Tommaso si accorge degli “altri”, gli altri che non sono più i colleghi costretti in una strenua competizione o i capi schiaccianti e malfidi, né tanto meno i faticosi ed esigenti familiari. Gli altri che non aveva mai preso in considerazione prima. Gli altri poveri, bisognosi di tutto. Li scopre in un complesso personaggio femminile, l’albanese Jolanda, che vive in un campo nomadi ed è l’incarnazione dell’ambiguità. E con Jolanda, che foraggia generosamente, crede di stabilire un rapporto affettivo, mentre l’altra – molto meno sognatrice di lui – lo sfrutta quanto più può. Forse giustamente, è la riflessione del lettore. Fra i due mondi non c’è conciliazione. E chi appartiene a quello sfavorito lo sa molto più lucidamente. A Tommaso non resta che commuoversi con le armi della sua condizione privilegiata: con l’arte, ad esempio. Belle le pagine sulla Pietà Rondanini, l’ultima grande opera, rimasta incompiuta, di Michelangelo. Eccola, finalmente, la vera commozione. Ecco un profondo, sincero turbamento del cuore. Perché non accettare che le cose stiano così?

Non sono sicurissima che queste fossero le intenzioni dell’autore. Ma a me piace interpretare il suo libro in questo modo. E del resto sono una lettrice, non un lettore. E la mia sensibilità resta, lo confesso, abbastanza estranea a certe ossessioni, decisamente maschili, come alla tentazione di imporle del protagonista del secondo romanzo citato, L’attimo presente, dove si muove Massimo Palazzi, «laurea con lode in Business Management, MBA alla Stanford University» che un bel giorno dice «adios» al suo grande successo e molla tutto per ritirarsi nella masseria dei nonni nella campagna di Ostuni, in Puglia, illudendosi «di trovare Dio in un filo d’erba». Palazzi divide sommariamente la gente in due categorie, «quelle che trovano la propria gratificazione esistenziale in ciò che fanno e quelle che trovano la propria gratificazione esistenziale in ciò che quello che fanno consente loro di ottenere o di raggiungere». Lui appartiene di sicuro alla seconda. E sa decisamente ciò che vuole. Finché non s’imbatte nella piccola Sarah, scampata all’affondamento di una barca carica di clandestini. A quale categoria appartiene la bambina? A quella che, sola, può davvero dare una lezione.  Non basta cambiare scenario per cambiare se stessi, per cambiare vita. «Ogni essere umano si porta dentro una festa e una tragedia».

E forse va bene così. Anche se non basta. Né alla vita, né alla letteratura. È semmai l’inizio di un percorso, che dentro un libro – almeno dentro un romanzo tradizionale come viene concepito oggi un romanzo tradizionale – proprio non ci sta.

 

 

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