Vita e arte di Paola Agosti (L’Immaginazione 338, nov-dic. ’23)

Vita e arte di Paola Agosti (L’Immaginazione 338, nov-dic. ’23)

All’interno del libro autobiografico di Paola Agosti Itinerari. Il lungo viaggio di una fotografa (Postcart, 240 pagine, 30 euro), curato da Federico Montaldo, c’è un album Kodac intitolato I miei amici fotografi che ritraggono Paola in anni che vanno dal 1970 fino a oggi in compagnia degli amici che fanno il suo stesso mestiere. Mi sono all’inizio soffermata su questo perché vi ritrovo la “mia” Paola, la ragazza sorridente e magrolina dalla fitta frangetta bionda e i capelli lisci a sfiorare le spalle che ho conosciuto all’inizio degli anni Ottanta e che è rimasta sempre identica a sé stessa, sempre magrolina, sempre sorridente, con lo stesso taglio di capelli, il carattere diretto e coinvolgente. Ma devo dire che poi, leggendo tutto il libro, l’ho riconosciuta ancora di più nelle immagini che ha scattato e che accompagnano la sua autobiografia quasi fossero (come ha osservato Liliana Lanzardo nella prefazione) didascalia cronologica della sua vita. Insomma è il segreto delle esperienze realmente artistiche questa confusione fra vita e opera, e Paola Agosti non sfugge alla malia. La diretta affettuosità del suo carattere è una cosa sola col modo naturale di inquadrare e fermare il tempo delle sue fotografie, che ritraggano persone famose o individui qualunque, donne, uomini o animali, cani in particolare, sua grande passione. Insomma Paola è una di quelle persone che sanno sempre «conservare l’infanzia dentro di sé» come disse il suo amato Bruno Munari, il che significa «conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare».

Figlia del torinese Giorgio Agosti, magistrato e protagonista della Resistenza, e di madre milanese, Nini Castellani, traduttrice di forte spessore intellettuale, Paola è cresciuta a Torino in un ambiente borghese nel senso migliore del termine e, come scrive lei stessa, «aperto, laico e colto». Una famiglia che l’ha sempre sostenuta e incoraggiata nelle sue scelte anticonformiste e le ha lasciato la libertà di trovare sé stessa, già giovanissima in giro per il mondo e con una macchina fotografica a tracolla. Una famiglia, al contempo, che fin da piccola l’ha messa in contatto con l’intellighenzia torinese del dopoguerra, vanto della nostra cultura, e da cui ha anche senz’altro imparato a trovarsi a suo agio con le più distanti classi sociali e i più autorevoli intellettuali, scrittori, politici, artisti del mondo.

Borges e il suo gatto in una celebre foto di P. Agosti

Così si sfoglia un album di fotografie memorabili, da Salvator Allende nel 1970 che scherza col suo pastore tedesco, alto quasi quanto lui, al cieco Jorge Luis Borges che dieci anni dopo dalla poltrona si sporge incuriosito al rumore dei contorcimenti del suo gatto Beppo sul pavimento. E, accanto alle immagini, i ricordi di Paola che con Allende fa amicizia proprio grazie al comune amore per gli animali e con Borges stabilisce un immediato rapporto di simpatia che si replicherà in altri incontri nel corso del tempo.

E poi c’è la storia: quella dei vinti (Immagine del mondo dei vinti s’intitolava un suo intenso libro fotografico del 1978 sulla fine della civiltà contadina in Piemonte) e quella dei vincitori, da Fidel Castro a Umberto Agnelli, vincitori che qualche volta diventano gli sconfitti, come Gheddafi e Aldo Moro. E proprio a proposito di Gheddafi ecco un altro ricordo indimenticabile dell’incauta fotografa che lo sta immortalando, ma non si accorge – mentre indietreggia cercando l’inquadratura – che una jeep lanciata a tutta velocità sta per investirla. E cosa fa il terribile dittatore libico? Si protende verso di lei togliendola «prontamente dalla strada». Proprio come un generoso passante qualsiasi.

Paola Agosti

Benedetti archivi e benedetto in particolare quello di Paola Agosti, ben documentato nel suo libro, che a tenere in ordine l’immenso materiale prodotto ha imparato presto, fin dai primi passi come fotografa professionale. Scrive giustamente Matteo Di Castro, nella postfazione, che i fotografi si dividono in due categorie: quelli che hanno la pazienza di tenere in ordine l’archivio e quelli che abbandonano il frutto del loro lavoro al caos. Paola, grazie al cielo, appartiene alla prima, meno numerosa schiera che s’impegna da una parte «a dare forma, tenere in forma, i lavori già fatti – dice Di Castro – ma è anche l’erede di una tradizione sociale e culturale attrezzata ad accogliere, custodire, tenere in ordine, la memoria culturale». Perché è sicuramente questo, alla fine, che Agosti intende fare, quando si occupa di femminismo o di altre rivoluzioni, quando si piega amorosamente su un cane o osserva le rughe di un contadino, quando coglie l’insieme di un’assemblea operaia a Mirafiori o l’intimità di una coppia argentina che balla il tango: conservare la memoria. Di un’epoca storica come di un’emozione, singolare e collettiva.

 

 

 

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