Riflettendo su Kafka: un’idea da lettrice (Immaginazione 342, agosto ’24)
Il 3 giugno si è celebrato il centenario della morte di Franz Kafka, che era nato a Praga il 3 luglio 1883 ed è morto nel 1924, un mese prima di compiere quarantun anni. La quantità di commemorazioni, convegni, trasmissioni radiotelevisive, gadget e nuovi libri critici usciti è davvero impressionante. Nemmeno Marcel Proust, il cui centenario dalla morte è ricorso nel novembre di due anni fa, ha avuto tanta attenzione. Ma Kafka è entrato nei cromosomi, nella pelle della gente, giovane e vecchia, come una maledizione o una conferma, la sua nera figura, allampanata, un po’ spettrale, è lì a ricordare il non senso di tutto, una forma di ilare, persino spensierata (perché sapeva essere spensierato) inettitudine alla vita. Certo, anche la madeleine proustiana è diventata di uso comune: sappiamo tutti, pur senza aver letto la Recherche, che il sapore di un biscottino o la forza di un’immagine siano sufficienti a riportarci in mente ricordi rimossi. Ma che basti la parola “kafkiano” per dare l’idea di un’indecifrabile minaccia o di un’incapacità di vivere, nella totale ignoranza magari di quel che fu la reale esistenza di chi l’ha ispirata e ignorandone persino totalmente l’opera, è davvero sorprendente.
Passano gli anni e la malia non viene meno, anzi si direbbe che i nostri tempi confusi e violenti, sull’orlo di vari abissi (la minaccia di una terza guerra mondiale, la catastrofe climatica, il ritorno di diffuse tendenze dittatoriali), si trovino in particolare sintonia con la sensibilità “kafkiana” e forse persino con l’irrisolta vita del grande di Praga. Lui che, non essendo riuscito a portare a termine nessuna delle sue opere, desiderò in punto di morte soltanto di sparire e non lasciare traccia, tanto meno letteraria. E infatti impose all’amico di una vita Max Brod (che per fortuna non lo fece) di distruggere tutto, ma proprio tutto quello che non aveva ancora pubblicato. Cioè la parte più consistente dei suoi racconti e romanzi, e poi c’erano i Diari e le Lettere: voleva venisse distrutto tutto. E ora diari e lettere sono invece parte consistente della sua opera, perché è impossibile separare in Kafka letteratura e vita. E questo è forse un motivo potente dell’interesse e dell’amore che da una generazione all’altra continua a suscitare, l’impressione che dietro il Joseph K. del Processo o dietro all’agrimensore K. del Castello ci sia l’autore in persona, col suo senso d’impotenza verso la schiacciante burocrazia, la propensione a essere vittima di un meccanismo incontrollabile, l’esclusione da un sistema di cui si vorrebbe far parte. Il grande tema di Kafka è infatti lo scacco. Tema che riguarda ogni esistenza umana. Ma soprattutto, direi, quella maschile.
Più rifletto su Kafka, infatti, e più mi sembra un autore che coinvolge soprattutto un pubblico maschile. Evidentemente ne incarna potentemente le paure, che riassumerei in una grandiosa paura di castrazione. Ho sempre pensato che la sensibilità femminile si salva dall’idea dello scacco totale, grazie alla sua missione materna. La possibilità di dare la vita, di formare col proprio corpo il corpo di un’altra creatura è talmente forte e miracolosa che diventa sufficiente, anche se poi non si realizza in concreto, a salvarci da un senso di completa, inaccettabile mancanza di scopo perché ci restituisce a un divenire naturale. E comunque ecco, sfoglio i titoli di tutti i libri usciti a proposito di Kafka ultimamente e ho ancora una volta la conferma di una forma di “disinteresse” femminile, le studiose che se ne sono occupate sono un numero infinitesimale. In Italia mi pare nemmeno una: il Saggiatore ha concluso in maggio la traduzione della monumentale biografia in tre volumi di Reiner Stach; le edizioni Orthotes propongono un imprescindibile saggetto di Felix Guattari, Sessantacinque sogni di Franz Kafka e altri scritti; due autori italiani si confrontano col praghese in due interessantissimi libri: Mauro Covacich con Kafka, per La Nave di Teseo, e Giorgio Fontana col suo Kafka. Un mondo di verità, pubblicato da Sellerio. Non trovo studi critici o biografici firmati da donne. Senza contare il passato. Dall’imprescindibile Praga magica di Angelo Maria Ripellino allo splendido Kafka di Pietro Citati all’altrettanto affascinante K. di Roberto Calasso… Sarà un caso? Riflettiamoci.