Il commissario letterato (Imm. 345 febbraio ’25)
Dico subito che non sono un’esperta di romanzi polizieschi. Mi sono fermata a Simenon. C’è stato un periodo, nella giovinezza, in cui non potevo vivere senza un Maigret da leggere. E comunque, più che la trama, la ricerca dell’assassino e le solite cose dei gialli, a me piaceva (e mi piace tuttora nel ricordo) l’atmosfera sonnolenta e il grigio dominante dei paesaggi, fossero le strade di Parigi o la più profonda provincia francese. Mi piaceva l’umanità mediocrissima che Simenon sapeva raccontare, fatta non solo di possibili criminali, ma di ipocriti fedifraghi, avidi opportunisti, finti amici, parenti serpenti. Mi piaceva il fumo della sua pipa, la sovrapposizione che facevo sul personaggio con l’incarnazione italiana di Gino Cervi che lo interpretava in indimenticabili sceneggiati televisivi.
Questo lo scrivo non per giustificarmi (ognuno legge quello che vuole, soprattutto ai nostri giorni), ma per scusarmi con gli scrittori di libri polizieschi che oggi si sono moltiplicati e fra i quali io non conosco nemmeno gli esempi più celebri. Però uno sì. Si chiama Marco Vichi e il suo commissario è Franco Bordelli, noto protagonista di sedici fortunatissimi libri pubblicati da Guanda. Ho due ragioni per questa eccezione: Vichi è un mio amico e poi non scrive soltanto romanzi gialli. Non solo: il commissario Bordelli mi è stato subito simpatico perché è un lettore forte. E va pazzo, udite udite, per una scrittrice in particolare. Si contano sulle dita di una mano – a voler abbondare – gli scrittori che mettono in cima alle loro preferenze altri scrittori ma di sesso femminile. E, aggiungo, che la passione di Bordelli non si chiama Elsa Morante – che sarebbe troppo facile visto che è l’unica romanziera italiana largamente riconosciuta anche da un pubblico maschile – bensì la molto meno frequentata Alba De Céspedes, per quanto ultimamente si è tornati a scoprirla grazie alle riproposte del suo editore di sempre, Mondadori, ma anche del ricercato, elegantissimo Cliquot.
Sì, Bordelli è un convinto lettore di De Céspedes, come del resto il suo autore, e ne parla fra un’indagine e l’altra con cognizione di causa. Un commissario lettore con gusti per niente banali. Un commissario tenero, capace di innamorarsi, amico degli animali (ha un grosso cane bianco molto indipendente, come il suo padrone che non segue rigidamente le regole per arrivare a concludere un caso in apparenza irrisolvibile) e che mantiene un dolcissimo rapporto fantasmatico con l’amata madre, morta ma sempre capace di ispirarlo. Nel recente Meglio di niente, però, Alba passa fra le pagine rapidamente per lasciare il posto a un’altra passione letteraria del Bordelli, Erich Maria Remarque. Ora mi rendo conto che non posso – trattandosi di un romanzo poliziesco – continuare a trattenermi sulle letture di questo commissario. Dovrei entrare nella trama, parlare di inseguimenti, ipotesi, pericoli e scoperte decisive. E in questo nuovo libro fra l’altro le piste sono più d’una. Già, perché Bordelli, per quanto ormai in pensione, si trova a risolvere per vie traverse (il lupo perde il pelo ma non il vizio) non uno ma tre casi contemporaneamente: un testamento riscritto (da lui! a fin di bene); un furto di quadri; e il mistero di un costruttore accoltellato.
Ma certo approfondire le dinamiche di questi casi sarebbe rivelare troppo e coi polizieschi non si fa. E poi sinceramente io preferisco tutto il resto, le relazioni che Bordelli ha con le persone, amate o detestate, certi suoi atteggiamenti strampalati (i discorsi con il teschio di Geremia, i suoi lettori sanno di che parlo), le dolcezze della sua vita, come passeggiare per l’Impruneta, sulle colline di Firenze, sognare di avere un figlio con la compagna più giovane da lui salvata anni prima da uno stupro. E poi ci sono i racconti, quelli che dentro il romanzo, in questo come in altri, si fanno a cena gli amici della Confraternita, amici che non sono tutti esattamente “brave persone”, ma va bene così. E questo perdersi in racconti nel racconto è un’altra caratteristica di Vichi e denuncia la sua passione per il genere breve. Fra l’altro, in contemporanea con Meglio di niente è uscita una piccola raccolta di storie, che definirei lapidarie per il finale sempre sorprendente. Titolo Racconti brevi, editore MagdalenA, illustratore Giancarlo Caligaris. Costruiti su dialoghi serrati e percorsi dalla stessa vena tenera che è la cifra per me vincente nel talento di questo scrittore, proprio perché contende il campo a una spesso necessaria violenza e all’impeto del giustiziere Bordelli. I miei preferiti? Il ladro, Lo stesso sguardo e Qui c’era una casa che mi ha fatto venire in mente una vecchia canzone di Guccini, Un vecchio e un bambino, che “si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera”. Ricordate?