Una Aleramo, tante Sibille (ilFoglio, 28 febbraio 2025)
Se ricordiamo ancora Sibilla Aleramo non è tanto per i suoi meriti letterari, ma perché è un’icona, una pioniera, un simbolo. E perché ha scritto un libro, Una donna, diventato una bandiera femminista. Figlia di una casalinga, che venne reclusa in manicomio dopo un tentato suicidio, violentata a 15 anni da un uomo che è costretta a sposare per coprire il disonore, Sibilla – ma ancora si chiamava meno poeticamente Rina – quando decide di separarsi dal marito violento, deve sacrificare la maternità perché la legge non le permette di tenere con sé il figlioletto di 7 anni. La separazione radicale dal piccolo Walter, al quale non le è permesso avvicinarsi e nemmeno scrivergli, è una ferita che l’accompagna per tutta la vita. Di questo parla il nuovo romanzo di Vincenza Alfano (in libreria da oggi) Le Sibille, edito da Solferino. E non solo. Infatti, come indica il titolo al plurale, di Sibille ne sono esistite tante, e continuano a esistere anche adesso che le leggi sono cambiate. Si sente, nella scelta narrativa qualcosa di personale che tocca e commuove, quando l’autrice alterna alla storia vera di Aleramo la vicenda di Emma e di sua madre Costanza, madre scrittrice, infelice nel matrimonio, che inevitabilmente fa pagare alla figlia le conseguenze del suo dolore, delle sue fughe, dei suoi fallimenti.
“Nessuno può pensare di vivere restando intero” medita Emma. “Possiamo salvare solo pezzi di noi e delle nostre storie”. E poi provare a tenerle faticosamente insieme. Anche se essere costrette a rinunciare a un figlio è un’amputazione in certi casi inaccettabile e se non si ha la forza, l’ambizione e anche il richiamo di un altro amore, la sottomissione a un marito-padrone può sembrare l’unica soluzione. Ma anche la scelta rinunciataria ha pesanti ripercussioni sulla vita familiare, come sta a dimostrare l’altra vicenda, quella di Emma. C’è un sotterraneo intreccio fra le due storie, anche perché Emma – su indicazione di una madre incapace di amare, ma a suo modo preoccupata del destino della figlia – è convinta lettrice di Aleramo. Altri nascosti legami li crea la scrittura, di Costanza e di Sibilla, e quella sorvegliatissima e avvolgente di Alfano.
È uno strano doppio romanzo questo, che inevitabilmente mette in gioco, forse persino senza intenzione, riflessioni sul cambiamento più apparente che reale dei tempi. Una volta lasciare la famiglia per seguire la propria libertà da parte di una donna suscitava la riprovazione generale, e la punizione era la messa al bando e la sottrazione dei figli. Oggi che la legge la difende, la donna rischia una punizione ben più radicale da parte di uomini che si fanno “giustizia” da sé. A ogni femminicidio ce ne chiediamo la ragione aberrante con sgomento. Dimentichiamo la potenza della tradizione. Solo nel 1975 la patria potestas che dava pieni poteri al pater familias è diventata dapprima “potestà genitoriale” e poi “responsabilità genitoriale” (grazie alle battaglie femministe). Ma gli esseri umani evolvono con maggiore lentezza rispetto alle definizioni e ai mutamenti sociali, e nel sangue di tanti scorre ancora la certezza di essere in diritto di esercitare la patria potestas fino a uccidere una moglie che se ne va o li tradisce, contando inconsciamente sulla clemenza di una legge che però dovrebbe aver smesso di proteggerli. Che poi le cose non stiano sempre così è tutto un altro discorso…
Però Le Sibille si conclude nel segno della riconciliazione. Non fra uomini e donne, questo no, e la povera Aleramo molto pagò per essere una che “amava troppo”, soprattutto poeti fuori di testa o più giovani di lei. Parlo della riconciliazione fra madri e figli. Sibilla incontra Walter diventato ormai adulto, mentre Emma fa pace con Costanza ritrovandola con un colpo di scena in un posto a suo modo sacro.