Padri e figlie (L’Immaginazione, gennaio-febbraio 2016)

Padri e figlie (L’Immaginazione, gennaio-febbraio 2016)

PetriQuanti racconti e quanti romanzi esistono sul tema «padri e figli» e quanti sull’analogo «madri e figlie», i rapporti probabilmente più problematici… Mi pare che, invece, sulla relazione «padre e figlia», ci sia al confronto molto poco. Me ne sono chiesta la ragione leggendo il libro di Romana Petri Le serenate del Ciclone, uscito di recente per Neri Pozza. Un librone, 590 pagine, sulla figura di un padre d’eccezione, per esuberanza, bellezza, voce, irruenza. Non a caso era soprannominato Ciclone. Si tratta, infatti, del celebre bass-bariton e attore Mario Petri, scomparso precocemente nel 1985. Romana aveva solo vent’anni. E siccome la conosco, ho preso il telefono e l’ho chiamata per dirle che il suo romanzo mi è piaciuto e mi ha commosso. Ma soprattutto per confrontarmi con lei su questa storia che di libri sui padri e le figlie ce ne sono pochini e, eventualmente, per farne l’elenco insieme. Anzi gli elenchi, a cominciare dai maschi che hanno scritto sui padri. A lei vengono subito in mente due autori della nostra generazione, Edoardo Albinati col suo Vita e morte di un ingegnere e il Valerio Magrelli di Geologia di un padre. Poi ci guardiamo indietro ed ecco là Italo Svevo, Coscienza di Zeno è chiaro, e – come si fa a dimenticarsene? – La lettera al padre di Kafka. Umberto Saba ce lo mettiamo o no? Saba che il padre lo conobbe solo a vent’anni e che, in Autobiografia, lo chiama addirittura «assassino»: però questa è poesia, noi per il momento restiamo sui romanzieri. Allora mi ricordo di uno dei più bei romanzi di Philip Roth, Patrimonio, in cui la vecchiaia del padre è raccontata con una spietatezza e insieme un affetto sterminati. Trovare altri testi a simile altezza è difficile, ma l’elenco è comunque lungo.

Romana Petri

Romana Petri

«In genere quando un autore maschio sceglie questo tema è per una resa dei conti col genitore» dice Romana. E forse, penso io, accade lo stesso quando una donna scrive sulla madre: o è un ritratto affettuoso per riscattarla o, ancora una volta, una resa dei conti. Penso a Madre e figlia di Francesca Sanvitale, a Sido di Colette a Autobiografia di mia madre di Jamaica Kincaid, a Mia madre è un fiume di Donatella Di Pietrantonio: anche questo elenco è lungo. Penso al padre e alla madre di Gita al faro di Virginia Woolf e alla coppia di genitori di Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, ma con Romana decidiamo che non vale, quando padre e madre si presentano in coppia è un’altra cosa. Torno al punto: i padri e le figlie, invece? Non prendiamo in nessuna considerazione quella agghiacciante novella di Boccaccio con un padre che per gelosia uccide l’amante della figlia e poi lei si uccide col cuore dell’amato sul cuore; Tancredi e Ghismunda s’intitola. Visti da figlie edipiche i padri sono eroi, non assassini. Romana cita Tutta mio padre di Rosa Matteucci, io Ritratto in piedi di Gianna Manzini. Talvolta anche le scrittrici parlano dei padri per riappacificarsi. Ma non è il caso di Romana.

Mario Petri nel 1957

Mario Petri nel 1957

«No, non è il mio caso» dice. «Il nostro è stato un rapporto burrascoso, ma viscerale. Io, in realtà, non volevo tanto parlare di mio padre, un uomo indubbiamente problematico, ma semplicemente riprendermelo. Perché più il tempo passa e più mi manca». Così ne ha riscritto la biografia, in terza persona per tutta la parte in cui lei non esisteva ancora, in prima persona la seconda. Se resa dei conti c’è, è verso un altro personaggio, uno che quel padre troppo amato ha fatto soffrire, ha addirittura “ucciso” secondo l’interpretazione che dei fatti dà la scrittrice. Perché secondo lei ne ha logorato la sensibilità, rovinato la carriera, ferito irreparabilmente le strutture psichiche. Si tratta di un grande direttore d’orchestra, di cui non dico ora il nome per non guastare una delle tante incandescenze di questo romanzo pieno di celebrità. Mario Petri è morto di ictus a sessantre anni. Ripercorrendone la storia, Romana attraversa anche la Storia, dal fascismo alla guerra, al boom economico al ’68, e attraversa gli ambienti diversissimi che lui ha frequentato, dall’infanzia e giovinezza perugine alle successive conquiste del mondo dello spettacolo in un rutilante susseguirsi di amori rocamboleschi e di scontri bellicosi. Fino al grande incontro della vita, fino al Grande Amore. Un po’ di maiuscole sono concesse a questo romanzo che mette in scena l’Opera e le sue regine, Giulietta Simionato, Maria Callas, e persino la figlia di Tolstoi che con la lirica non c’entra, ma con i grandi padri sì.

Quando Mario Petri la incontra, prima di salutarla le chiede quale fosse stato il danno più grosso di avere un simile papà. «La rovina della mia vita sentimentale… Nessun uomo ha mai retto al suo confronto». Allora Mario domanda: «E lei gliene ha voluto?» La risposta è stupenda: «Per così poco?»

 

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