ADDIO A ROMA, inizio quarto capitolo

ADDIO A ROMA, inizio quarto capitolo

Morante Moravia a Capri

Morante Moravia a Capri

Li chiamavano Morante Moravia come fossero un unico individuo, ma non potevano avere due temperamenti piú distanti. Alberto, nato il 28 novembre del 1907, da famiglia alto borghese – il padre, ebreo non praticante, era architetto – con il suo primo romanzo, Gli indifferenti, nel ’29, ha un grande immediato successo. Inquieto, poliglotta, a lungo sofferente per una tubercolosi ossea contratta da piccolo che lo lascerà zoppo, lavora come giornalista culturale e stringe importanti amicizie; a Capri frequenta Curzio Malaparte, in Toscana Bernard Berenson e la sua cerchia internazionale. Gli piace viaggiare, non solo per lavoro. Nei primi anni Trenta, quando l’Italia è un paese provinciale, dalla mentalità ristretta e moralista, lui è a Londra con Carlo Levi alla scoperta di Joyce ed è ammesso, grazie alla presentazione di Berenson, nel gruppo esclusivo di Bloomsbury che poi descriverà in un articolo come «un’aristocrazia annoiata e adulata», d’impressionante intelligenza ma sterile, che intrattiene scarsi contatti con la realtà della gente comune. Partecipa ai ricevimenti esclusivi di Lady Ottoline Morrell fra lord e scrittori prestigiosi, Virginia Woolf e Elizabeth Bowen, Eliot e Yeats, Forster e Huxley. La Woolf legge The Indifferent Ones appena pubblicato in inglese, e poi, quando verrà a Roma, nel maggio del ’35, tenterà di migliorare l’italiano ripetendo intere frasi del libro in originale durante il viaggio.

Addio a Roma, tascabileElsa è nata da madre maestra elementare, ebrea, il 18 agosto del 1912, ed è cresciuta in una famiglia bislacca, piena di tensioni, nel quartiere operaio di Testaccio, fra i piú poveri e popolari della città. Ha due fratellie una sorella; è la primogenita, e su di lei, ancor prima che sugli altri, grava il peso di un segreto familiare rivelato solo nell’adolescenza: tutti e quattro i piccoli Morante non sono gli del padre Augusto, istitutore in un riformatorio, che soffriva d’impotenza o forse non gli piacevano le donne, ma di uno “zio”, un amico di famiglia, impiegato alle Poste, che qualche volta dorme da loro e fa di cognome Lo Monaco: finirà suicida nei primi anni Quaranta dopo aver messo su una famiglia regolare con altri gli. Il talento di Elsa si rivela precocemente, e anche il suo carattere dispotico, quando per gioco inventa filastrocche e un giornalino fatto a mano costringendo i fratelli in ruoli secondari. A diciotto anni comincia a scrivere per i bambini sul Corriere dei Piccoli, e dopo qualche tempo se ne va di casa dove le liti con la madre, le scenate, le urla sono diventate intollerabili. Vive di lavoretti e di espedienti in camere ammobiliate, tenta delle coabitazioni. Finché mette su un appartamento tutto suo in via del Corso, verso piazza Venezia. Il fratello Marcello l’ha descritto cosí: «Di quella casa mi piacque tutto: la luce, la posizione, la camera con il letto d’ottone, lo studio-salotto in cui lei sapeva cosí bene accoppiare il rigore stilistico con la fantasia; guardando il suo tavolo potevo per un attimo immaginarla nella sua attività creativa, nalmente libera dalle schiavitú familiari». Marcello è attratto da un oggetto che non era comune trovare nelle case private: il cestino della carta straccia, «davvero grazioso, cosí fiorito e civettuolo».

Morante Moravia nella loro casa romana

Morante Moravia nella loro casa romana

Moravia e Morante s’incontrano nel 1936. È probabile che a presentarli fosse stato un amico pittore, forse Giuseppe Capogrossi, che sarà testimone alle loro nozze. Moravia, che diceva di sé: «conoscevo tutti e tutti mi conoscevano», ha sempre molto amato gli artisti. Di Guttuso fu buon amico, e con Toti Scialoja divise una casa estiva ad Anacapri per diversi anni. «La compagnia dei pittori mi piace per lo stesso motivo per cui preferisco la pittura alla letteratura» diceva in modo un po’ paradossale, ma acuto. «Hanno sempre qualcosa al tempo stesso di artigianale e di creativo, mentre lo scrittore che non sia geniale è spesso un piccolo borghese. Insomma, il pittore è sempre artista, lo scrittore solo qualche volta». Cosí è probabile che si siano conosciuti in un ambiente di pittori che anche Elsa frequentava assiduamente. Per lei è un colpo di fulmine preparato dalle molte notizie che già aveva su di lui scrittore affermato. Il destino luminoso di Moravia rappresentava tutto quello che desiderava per sé: potersi mantenere con la letteratura, essere stimata dalle persone che stimava, uscire dal senso di umiliazione e solitudine che l’accompagnava costantemente. Lui è attratto dalla sua dolcezza «smielata, la dolcezza ingannevole dell’innamoramento» dirà col senno di poi, e dalla stravaganza di quella ventitreenne diversa da tutte le altre. Ha molti capelli bianchi, nonostante la giovane età (se li tingerà in seguito), gli occhi viola miopi e trasognati, un viso largo da gatta, un corpo molto femminile, aggraziato. E poi Elsa fa qualcosa che lo colpisce ed erotizza: gli fa scivolare in mano le chiavi di casa.

…………..

FacebooktwittermailFacebooktwittermail
No Comments

Post a Comment