Diario di una candidata allo Strega (Il Fatto, 19/6/18)
E siamo sul pulmino, in un clima da gita scolastica, veniamo dal Festival Letteratura di Salerno diretti a I luoghi della scrittura di San Benedetto del Tronto. Due delle varie tappe di un tour (ci porterà anche a San Pietroburgo) in cui sono coinvolti i candidati al Premio Strega che da dodici sono ora ridotti a cinque, tre donne e due uomini (avevo scritto “maschi”, ma D’Amicis e Balzano, qui sul pulmino, mi dicono che discrimino. E allora sia: “uomini”). Da quando è scattata la candidatura, la mia vita (e suppongo, dalle loro corse e dai loro aggiustamenti di orario, ritardi e capriole per essere presenti, anche quella degli altri) è tutto un prepara la valigia, disfa la valigia, parti, torna, riparti, mentre il cellulare squilla in continuazione. È la casa editrice che informa: tizio ti vota, tizia non ti vota, quell’altro dice sì, poi dice no, poi forse. Corri corri. E si confondono i treni, e ci si ritrova a Perugia mentre si doveva essere a Firenze. E ci si chiede se è proprio questo il compito di uno scrittore, questa disponibilità a essere presenti su un palco, a esporsi. Quattro anni chiusa a scrivere un libro per poi essere proiettata in un universo collettivo e scanzonato, dove siamo incredibilmente tutti rivali e tutti amici in fila di posizionamento in cinquina: Helena Janecezk, con La ragazza con la Leica (Guanda); Marco Balzano con Resto qui (Einaudi); io con La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg (Neri Pozza); Lia Levi con Stasera è già domani (e/o); Carlo D’Amicis con Il gioco (Mondadori). Ci siamo stipati sul pulmino in compagnia di Luca, giovane autista tatuato, che ci racconta come ha fatto a perdere cento chili diventando bellissimo (ma non chiedetemi di più, perché mi sono subito distratta); del Magister Stefano Petrocchi, vale a dire il direttore della Fondazione Bellonci, colui che ha il polso delle cose, ma che se ne sta arroccato fra gentile riserbo e paterno incoraggiamento della truppa; e infine, last but not least, della problem-solver Serena. Più tardi ne imparerò anche il cognome (Ferraiolo), ma per tutti lei è Serena e basta, dolcemente indispensabile.
Adesso non immaginatevi fra noi sorrisi stiracchiati, frecciatine e colpi bassi, non andate a ripescare quella vecchia canzone di Francesco De Gregori in cui si dice di scrittori «ipocriti e gelosi come gatti» (Poeti per l’estate, 1985). Ma no. Noi ci siamo solo studiati un po’, quando ancora eravamo in dodici. Poi ci siamo confrontati per stendere un comunicato unitario in difesa di una politica d’accoglienza trovando un non facile accordo («firmano grandi appelli per la guerra e la fame», aiuto!) e ora siamo in cinque e tocca andare d’accordo. Tocca dimenticare che, mentre noi civilmente parliamo in pubblico dei nostri libri, alle nostre spalle ferve un accanito lavoro editoriale che mira a conquistare voti, a rubarseli l’un l’altro, a spostare preferenze in un sistema “politico” che col valore o disvalore dei libri, a questo punto della partita, ha poco a vedere. È la tessitura sapiente delle relazioni a vincere, delle garanzie reciproche e, per fortuna – ogni tanto – anche dei diversi gusti letterari. Lo Strega è sempre stato così, anche ai tempi della “mia” Ginzburg e della sua grande generazione.
Intanto noi siamo qui sul pulmino e simpatizziamo. Con Helena siamo andate a comprare abbronzanti sperando ci scappi un bagno al mare fra un incontro e l’altro. Con Marco giovane padre (come mio figlio) ci conosciamo da tempi non sospetti e gli ho persino prestato l’unica matita disponibile, dentro al pulmino, nascosta nella mia borsa (speriamo me la restituisca. Abbiamo entrambi l’abitudine di sottolineare i libri. Ora lui sta leggendo Gli aquiloni di Romain Gary e io Selva oscura di Nicole Krauss). Con Carlo scopriamo che conosce mio marito da quando era ragazzo e lavorava con lui alla RadioTre di Enzo Forcella! Ma dimmi tu… E con Lia è tutto molto facile. Lia è una donna diretta e comunicativa dall’alto dei suoi splendidi ottantacinque anni. Siamo contenti tutti quanti che i giovani abbiano scelto lei per il loro Strega. Ci è sembrato il miglior segno di intesa fra generazioni distanti.
Eppure siamo competitors, come si dice. Anche qui sul pulmino, e anche se la parola ci fa ridere quando ce la buttiamo addosso l’un l’altro. Ma siamo pure gente di mondo, sempre come si dice e sempre sul pulmino. Gente che conosce le regole del gioco, e gente che però ama De Gregori e finisce perversamente a canticchiarsi in testa quella canzone: «Vanno a due a due i poeti verso chissà che luna… sognano di vittorie e premi letterari, pugnalano alle spalle gli amici più cari….» Ahi ahi, speriamo proprio di no.