E in mezzo il fiume (da Il Foglio, 13 luglio 2010)

E in mezzo il fiume (da Il Foglio, 13 luglio 2010)

A Roma scorre un fiume, ma non è detto che il romano se ne accorga, scrive Sandra Petrignani nel suo libro che, a partire dal fiume di Roma, un po’ racconta un po’ intervista un po’ riflette un po’ ricorda un po’ osserva un po’ percorre. Il fiume a Roma è presente ma nascosto, indispensabile ma discreto. La sua rive gauche, Trastevere, in realtà è a destra, perché il fiume scorre da nord a sud, a differenza della Senna che solca la Francia da sud a nord. Per ricordarsi del fiume, a Roma, per non superarlo “zoccolando” in ciabatte senza pensare alle guerre combattute lungo le sue sponde, non basta guardarlo. E’ lì, ma è come se non ci fosse. E’ lì, ma è stato domato dagli argini. E’ lì, ma sembra infischiarsene delle armi di chissà quale battaglia e delle monete antiche che ancora custodisce. E’ lì, ma non ha più nulla della belva dormiente che allagava i piccoli porti che sorgevano sulle sue rive, regalando a Trastevere l’anima del marinaio. Per ricordarsi il fiume, a Roma, bisogna essersi prima innamorati di Roma.
Solo allora si potrà capire il vagabondo che si è perso a un certo punto della sua vita, dopo gli studi in Svizzera, e ora ciondola nei vicoli pensando che ammazzarsi è peccato ma se qualcuno ti ammazza in fondo male non fa. Solo allora si potrà capire la scrittrice che, camminando da piazza Trilussa a piazza Venezia, ha l’impressione di passare, con una barchetta, dal golfo placido alle onde furiose di macchine e motorini. Solo allora si sentirà la nostalgia delle vecchie sigaraie, della spezieria nascosta, di quel centro città che non ha l’arroganza del centro città, del rumore di carrozza sul sanpietrino (sostituito ora dalle rotelle del trolley da turista). C’era, a Trastevere, la legge crudele che permetteva di vessare l’ultimo milanese arrivato fino a completa sottomissione alla vita del quartiere. C’era l’attrice regale con i suoi cani. C’erano la bottega e lo scantinato da concerto; Pasolini e Bertolucci, Pivano e Moravia, i giovani squattrinati e i nuovi ricchi pronti a sfrattare i vecchi abitanti, Lidia Ravera da giovane e le prostitute anziane, l’oste e le comari della piazza. Il poeta e il piccolo delinquente, l’americana pazza e le ragazze che dal Gianicolo salutavano i carcerati.
Se poi con l’autrice si attraversa il ponte – uno dei tanti ponti, non prima di averli guardati da sotto durante una passeggiata in bicicletta – ci si ritrova “di là”, nel centro-centro che per un po’ continua ad assumere un’aria trasteverina oltre l’isola a forma di nave dove oggi sorge l’ospedale. Non si sa quale storia sia vera, per l’isola e per i vicoli del ghetto di cui i Mattei custodivano le chiavi. Non si sa quale storia sia vera per la sinagoga che, nella luce della sera, sembra “un grande paralume”. Ognuno lungo il Tevere racconta la sua storia, e l’autrice non ne scarta nessuna, neanche il pettegolezzo sul nobile scapestrato che per amore cambiò il volto alla fontana delle Tartarughe. Di là dal fiume c’è una ferita, dicono i romani di nascita e d’adozione che non sopportano i tavolini di Campo de’ Fiori, di là dal fiume svettano cupole e, più a sud, imperversano i registi. Ostiense e Testaccio, i ricordi di Ozpetek e lo strascico sessantottino di Moretti, il gazometro e la rosticceria. Da quel “di là” non si può che tornare “di qua”, nella Trastevere profonda che fa a gara a sentirsi più “noantra” di quella oltre la piazza e in fondo si sente sola come la vecchietta che preferiva la fame e la miseria a quell’isolamento forzato nel mare di ubriachi più soli di lei. E alla fine, seguendo Sandra Petrignani, ci si incapriccia del giro in bus a due piani; dove forse suona meno strana la storia del Papa irritato per il suono scomposto delle campane (da cui nacque l’abitudine del cannone romano di mezzogiorno).

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