Immaginazione 309 (gennaio-febbraio 2019)

Immaginazione 309 (gennaio-febbraio 2019)

Eleonora Marangoni

Sono nella giuria di un premio, il Neri Pozza, che la casa editrice dedica a romanzi inediti. Possono partecipare illustri sconosciuti come nomi famosi, purché non con testi di genere. Vince, insomma, un romanzo-romanzo di qualità, che è proprio qualcosa sempre più difficile a trovarsi. La grande stagione del romanzo è stata, come sappiamo tutti, quella ottocentesca, voce della nuova società borghese che vi si rispecchiava con le sue grandezze e le sue miserie. Il Novecento l’ha sabotato (il romanzo) in vari modi, dilatandone enormemente però, in compenso, i confini. E oggi? Oggi si naviga a vista e in piena libertà, tutto è concesso (purché un libro “venda”, purché riesca a imporsi e farsi notare nella miriade di proposte che invadono il mercato in numero assurdamente superiore alla domanda).

Marcel Proust

Ma davvero tutto è permesso? A giudicare dalla stragrande maggioranza di romanzi che si somigliano fra loro, o somigliano a qualcosa che è già stato scritto in passato molte volte, e al numero minimo – in mezzo a essi – di opere dalla struttura e dalla lingua audaci, impreviste, “sporche” (ovvero non rivedute e corrette da editor normalizzanti), si direbbe che ai romanzieri si richiede non la libertà, ma appunto l’omologazione, la piattezza, la prevedibilità. La sorpresa, in questi prodotti chiamati romanzi contemporanei, è relegata tutta all’intreccio, al plot, alla storia insomma, cui si chiede di essere il più possibile estrema. Estrema, eppure rassicurante nel suo svolgersi secondo un itinerario narrativo replicante della modalità “inizio, svolgimento, fine”. E nello svolgimento devono succedere un sacco di cose (tradimenti, divorzi, morti, nascite, omicidi), ma nessun capovolgimento – mai – delle aspettative del lettore.

Dato questo quadro, il problema è scovare nei testi (soprattutto in un premio letterario) una qualche infrazione alla regola, la bella sorpresa di una voce capace di aggiungere una novità significativa al fiume in esaurimento del romanzo e dire qualcosa di vero sull’esistenza, in un mondo sempre più caotico dal futuro oscuro e indecifrabile.

E così si è imposto Lux (vincitore dell’ultima edizione del Premio Neri Pozza, recentemente pubblicato da questa casa editrice) esordio narrativo della trentacinquenne Eleonora Marangoni. Non parla di migranti e di nessun’altra tragedia attuale, non inscena drammi personali o epocali, non ricorre a potenti immagini di violenza né a psicologismi, non cerca minimamente di interpretare la complessità contemporanea. Marangoni va controcorrente, trascura l’impegno – che sembra stia tornando pericolosamente di moda (siamo convinti che l’impegno di uno scrittore sia innanzitutto quello di scrivere bei libri) -. Semplicemente Eleonora racconta… per raccontare. Questo dà al suo romanzo un galoppante senso di libertà. Oserei dire allegria, qualcosa oggi piuttosto assente dalla letteratura come dalla vita.

C’è un’isola, in Lux, dove si ritrovano improbabili personaggi di varie nazionalità, un’isola ereditata da uno di essi, un inglese con un poco importante (ai fini del racconto) nonno italiano. E su quest’isola c’è un albergo delabré, una fonte d’acqua minerale esaurita, oggetti e mobili destinati al rigattiere. Non succede niente, e così riesce a succedere tutto (tutto quello che è davvero importante). Perché succede a un altro livello. Il livello della narrazione, appunto, secondo il miracolo che fa la buona letteratura: quello di parlare sempre d’altro per arrivare al centro di noi stessi. L’albergo, guarda guarda, si chiama «Zelda». E subito viene in mente Fitzgerald, la leggerezza malinconica e disperata di Scott Fitzgerald, quel suo saper ballare sul bordo degli abissi. Mariolina Bertini ha invece messo in relazione la scrittura di Marangoni con la francese Amelie Nothomb per la sua «grazia fintamente sventata e tanta giovane, stupefacente saggezza». Ha ragione Bertini, che è una francesista (e anche Marangoni lo è, autrice de I colori di Proust, con Electa): in Lux si può riconoscere il brio (disperato) di Nothomb. Le due scrittrici hanno in comune la scettica capacità di guardare il reale senza caderci dentro, di illuminare le cose con tutti i mezzi possibili (dal sole a una sapiente architettura delle luci, dalla naturalità all’artificio).

Virginia Woolf

Soprattutto c’è in questo romanzo una voce davvero nuova e così sicura di sé da permettersi perfino una spruzzata di antico realismo magico, evocando al contempo un’atmosfera highbrow vagamente bloomsburiana di elegantissima ironia.

Che cos’è e dove sta andando l’isola di Eleonora Marangoni, alla deriva e naufraga come tutti noi? La risposta non è data, ma l’impressione è quella di un barcollante specchio in cui facilmente ci si riconosce con le proprie trattenute passioni e tanti protettivi aggiustamenti. Un interessante punto di vista che ci dice qualcosa anche sul fatalismo con cui guardano al futuro i giovani intellettuali.

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