Elogio dei traslochi (L’Immaginazione 311) maggio-giugno 2019

Elogio dei traslochi (L’Immaginazione 311) maggio-giugno 2019

Dicono che traslocare sia uno degli eventi più stressanti e faticosi della vita. E’ anche una grande occasione per far pulizia e finalmente liberarsi del superfluo. Scarpe, vestiti che ci ostiniamo a conservare perché «ancora mettibili», ma poi non li mettiamo mai: sono passati di moda, sono parecchio consumati, sono superati dai nuovi acquisti. Via, un bel falò, senza rimpianti. Perché l’idea di vederseli intorno quando la nostra vita sta cambiando, quando avremo una nuova casa tutta lucida e ordinata e ci proponiamo di non disordinarla mai più, è insostenibile; non è proprio possibile trascinarsi dietro i detriti che nella vecchia casa non ci davano nessun fastidio, nemmeno sapevamo fossero sempre inesorabilmente lì.

E invece, traslocando, sono rivenuti a galla e non ce la fanno a competere con l’euforia delle novità che ci aspettano. Altre scale, una nuova via, forse una nuova vita, magari persino un quartiere diverso, che vuol dire un supermercato da esplorare e la scoperta di inediti posticini sottocasa adatti a noi, ristorantini, bar, lavanderie.

Dal fondo dei cassetti viene fuori di tutto, tracce di un’esistenza passata, la nostra, ma potrebbe essere di qualcun altro, tanto è lontana ed estranea. Quante inutili preistoriche bollette, per non parlare di analisi cliniche e radiografie che testimoniano di un corpo che non esiste più, giovane e sano o appena incrinato da qualche incidente di percorso, in motorino magari, quando ancora andavamo in motorino. E le vecchie multe, una caterva, dove le mettiamo? Nella spazzatura, di corsa. Anche per dimenticare il mare di soldi sprecati per distrazione o eccessiva fiducia nel farla franca.

Ma il peggio sono le fotografie. Un cimitero di persone che non esistono più. Parenti antiquati di cui non sappiamo nemmeno il nome e il rapporto di consaguineità. Testimonianze di viaggi non sempre esaltanti e di amicizie perse nel tempo e nei litigi. Come può un cassetto straripare di tutta questa cartaccia? Quanta roba siamo riusciti a stiparci dentro, senza mai preoccuparci di darci un’occhiata?

Rifletto sul mio sogno antico di “viaggiare leggera”, di occupare poco spazio, di ridurre gli oggetti all’essenziale. Un sogno, appunto. Nemmeno lontanamente sono mai riuscita, sia pure per un breve week-end, a lasciare a casa il computer e i minimo tre libri che devo assolutamente leggere in due giorni. Figurarsi se riuscirò ad avere un giorno cassetti che racchiudono l’essenziale! Però c’è il trasloco, e la grande occasione di disfarsi almeno di povere bambole rotte (sì, pure quelle), talismani scorticati e penne mangiucchiate, cavetti di cellulari ormai spariti dalla circolazione, una quantità impressionante di auricolari (dei suddetti cellulari) in verità mai usati e ancora nuovi nuovi nel loro cellophane, quaderni in cui ho preso frettolosi appunti – tutti rigorosamente interrotti a metà, ma tenuti in serbo, probabilmente, meditando di usare prima o poi l’altra metà. Meno male che oggi la carta si ricicla, così la strada per la pattumiera è meno dolorosa, sprecare la carta proprio non lo sopporto.

Se penso poi che gli oggetti ci sopravvivono, anche le schifezze che ci siamo dimenticati di buttar via, mi viene un senso di orrore all’idea che altri si potrebbero trovare un giorno a fare al mio posto ciò a cui io ho colpevolmente evitato fin qui di applicarmi. Perché, sì, nei traslochi è inevitabile avvertire l’alito della morte, altrui e nostra: è una specie di congedo, il trasloco, dalla nostra vita di prima, almeno in parte; è una prova generale di un distacco futuro inesorabile e completo; è il proiettarsi in mani estranee che frugheranno in questi stessi cassetti per far piazza pulita di tutto e s’imbatteranno, magari, nei nostri diari o in lettere ingiallite, di quando ancora si usava mandarsi lettere…

Claudio Magris

Oddio, i diari! Oddio le lettere! Non sappiamo più nemmeno noi quali segreti racchiudano. Ecco, in realtà sappiamo ben poco di noi stessi. Sempre lì a lasciare tracce, per non farne nulla, per limitarci a dimenticare e a sorprenderci, se ci prendiamo la briga di rileggerci, di essere le persone che siamo state.

E allora? Buttare via tutto, disfarsi di se stessi? Non esageriamo. Lì contro il muro c’è una cassapanca, che è stata provvidenzialmente svuotata delle inutilizzabili tute e magliette che conteneva. E’ bella e pronta a ricevere il peso del mio passato. E ora che sono in fila come soldatini, schiarati in ordine cronologico e nei loro colori diversi, i vecchi diari, insieme agli infiocchettati pacchetti di lettere che non oso aprire, sembrano persino innocenti. «Letteratura come trasloco» scriveva Claudio Magris in Danubio, «qualcosa, come in ogni trasloco, va perso e qualcosa salta fuori da ripostigli dimenticati».

 

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1 Comment
  • Margherita
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    Grazie come sempre a Sandra Petrignani. Le cose che tante volte hai pensato ti appaiono in uno scritto delicato e coraggioso che vorresti impremerti nel cuore.

    11 Giugno 2019 at 16:34

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