Massimo Onofri su “E in mezzo il fiume” (Avvenire, 11 sett.’10)

Massimo Onofri su “E in mezzo il fiume” (Avvenire, 11 sett.’10)

Di quante città può essere fatta Roma? Laura Betti, grande attrice amica di Pasolini, che abitava dietro Campo de’ Fiori, lo diceva spesso: «È una città di campagna, dove puoi uscire di casa zoccolando». Ecco: una città dove anche «si zoccola» e si ciriola», laddove «ciriolare» -verbo che prende il nome dalle «ciriole», «giovani anguille» che si pescano ancora nel Tevere – vuol semplicemente dire «procedere sinuosi come un’anguilla, destreggiarsi nella vita, cavarsela insomma». E proprio questa la Roma che Sandra Petrignani ha scelto di raccontare in un delizioso librino intitolato E in mezzo il fiume. A piedi nei due centri di Roma (Laterza), il luogo dove vive parte dell’anno: la Roma di Campo de’ Fiori, del Gianicolo e del Ghetto, dell’Isola Tiberina e di Testaccio, e, soprattutto, di Trastevere. E qui che, riappropriandosi profondamente del suo fiume riconoscendolo, la città si ascolta davvero: «nel suo cuore di vecchia tenerissima pietra, nel bel mezzo della sua circolazione sanguigna fatta di acqua ribollente e canora».
Un libro, se posso dire così, scritto come a zonzo, poco importa se a piedi o in bicicletta, ma sempre dal punto di vista contrario a quello aggressivo e cieco della fretta, secondo un’idea dell’ozio che è, innanzi tutto, ozio del cuore. E informato da un sentimento di gratitudine per la vita, che ne assapora e intensifica ogni istante, accettata, la vita, in tutta la sua fugacità e precarietà, un sentimento che Petrignani a un certo punto confessa, ma come non volendo, mentre contempla la cupola della Sinagoga da un angolo dell’Isola Tiberina, investita, quella cupola, da tutta la «grazia della superficiale Belle Epoque», gli anni che la scrittrice sente più affini al suo «carattere nostalgico e ottimista», mosso da una spensieratezza «consapevole di costeggiare l’orlo dell’abisso». Petrignani gioca, come in una Parigi all’incontrario, tra l’amatissima rive droite, trasteverina e popolare, e la rive gauche, quella del Potere, di via Giulia e del Parlamento. Sicché non sorprende abbia aperto le sue pagine a una specie di coro, affidandosi alle testimonianze di ignoti o notissimi, tra i quali ricordo Susanna Tamaro e il clochard Roberto Di Feliceantonio, il mitico don Matteo Zuppi e Filippo Ceccarelli, Giancarlo De Cataldo e Stefano Benni, Mario Bortolotto e Giosetta Fioroni, Patrizia Cavalli e Valerio Magrelli, il pescivendolo Maurizio Mastroianni e Ferzan Ozpetek, Lidia Ravera e Lucia Poli, Patrizia Zappamulas e Bernardo Bertolucci. E poi Nanni Moretti che è «parte di Roma come lo erano Moravia e Pasolini». Ma si tratta di una Roma sempre guardata dal basso: poco importa se dagli argini murati del fiume o dagli occhi dei tanti barboni.
Per approdare a una specie di piccola epopea del prossimo e del vicinato: «Non c’è posto migliore di Trastevere per capire che non si deve guardare troppo lontano per aiutare concretamente il prossimo bisognoso».

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