E’ morta una poetessa

E’ morta una poetessa

Alda Merini e Sandra Petrignani, a Milano, fine anni '80

Alda Merini e Sandra Petrignani, a Milano, fine anni '80

Ieri è morta Alda Merini, oggi i giornali sono pieni di lei e persino la Tv. E ti chiedi se tanto interesse mediatico è dovuto davvero alla morte di un poeta, o al fatto che quel poeta faceva scandalo, era una vera matta, travolgente, distruttiva, assolutamente irriducibile. Era stata in manicomio più di una volta, si era fatta fotografare nuda. Il suo corpo vecchio e disfatto offerto nudo agli sguardi, come una modella, una velina. L’aveva fatto per bisogno di soldi, disse. Per narcisismo. Per essere al centro dell’attenzione Per essere amata. Questa necessità assoluta, primaria di essere amata, e desiderata. Dagli uomini. Come quando era giovane. Non parlerò della sua poesia. Della sua poesia non so abbastanza. Alcuni versi andavano dritti al centro del cuore, grandissimi. Altri no, erano buttati via. Faceva tutto così, Alda, senza regola, sregolata.  Non parlo della sua poesia. Non mi va. Alda Merini mi riporta a qualcosa di molto personale e mi mette a disagio. Come mette sempre a disagio il disturbo mentale e l’incandescenza che, in certi casi, produce. La verità ultima della parola necessaria, quella che tocca l’inferno e il paradiso.

Dunque per primo mi parlò di lei Giorgio Manganelli. Ricordo perfettamente che mi telefonò, brusco come sempre. “Ti devo dare una cosa” disse. Sembrava imbarazzato. Mi portò un libro. Un piccolo libro rosso fuoco. Disse che lui l’autrice l’aveva conosciuta, che gli aveva rovinato la vita. Che per lei era scappato da Milano in motocicletta. Te lo immagini Manganelli in moto che si fa 500 chilometri per scappare da una donna, giovane e bellissima. Fatale. Mi colpì quell’amore disperato e il senso di colpa che ancora lo devastava dopo tanti anni. Perché, fosse rimasto, forse lei si sarebbe salvata. E invece lui non ce l’ha fatta, l’ha lasciata al suo destino e il suo destino è stato il manicomio. Ma Alda da giovane, a Milano, ne aveva fatte di tutti i colori, aveva fatto innamorare tanti maschi. Era seduttiva, spudorata, meravigliosamente poetica, sfrenata. Era matta, davvero, aveva l’inconscio in superficie, nessuna capacità, nessuna voglia di tenerlo a bada. “Come facevo?” si chiedeva Giorgio, tremando quasi. “O lei o me. Ho scelto me stesso”. Lui si sarebbe autodistrutto prima di lei, comunque. Lui che con l’inconscio aveva dei corpo a corpo temibili, spossanti, quotidiani. Credeva di essere il più forte, quello che si era salvato. Non era vero, non è stato così.

Dunque Alda. Quel libretto rosso, di Scheiwiller, s’intitolava “Diario di una diversa”. Era il 1984. Glielo aveva fatto pubblicare lui, credo, e mi chiedeva di parlarne sul Messaggero, il quotidiano romano per cui scrivevo allora, perché avrei fatto del bene all’autrice – disse così – e perché conteneva qualcosa del suo immenso talento, soffocato dalle vicende tragiche della sua vita. Probabilmente allora scrissi una recensione. Il libro mi aveva colpita, per il dolore che conteneva, ma non amo quel tipo di memorie manicomiali, veramente.

Sei anni dopo Giorgio è morto. Una grande ferita per me. Temo che un ruolo dovette giocarlo, nella sua fine, anche il ritorno del rimosso che l’apparizione di Alda nella sua vita aveva provocato. Fu una morte strana quella di Manganelli, preceduta da una malattia di cui aveva tutti i sintomi, ma che le analisi continuavano a negare. Ne era devastato. Malattia psicosomatica, dicevano i medici. Ma non cambiava niente: lui ne soffriva come fosse stata vera (che cosa vuol dire vero?)

Dunque Alda. La conobbi a un certo punto. Era diventata una poetessa, cioè quello che era sempre stata. Viveva in un disordine da barbona in due stanze a Porta Ticinese, sui Navigli. Dovevo intervistarla. Cosa darei per ritrovarla quella intervista. Non so più se ero ancora al Messaggero o già a Panorama. Era dolce con me, che avevo conosciuto Giorgio. Ma mi fece capire che lei, Giorgio, non lo aveva amato, era innamorata di un altro. Lei sempre innamorata, sempre. Volevo che parlasse di poesia, lei mi parlava d’amore. Era innamorata anche allora, di un prete, mi disse. Un amore impossibile, mi disse. “Però, chissà”. Ci sperava. Uscimmo all’aria aperta a fare delle fotografie. Lei continuava ad ammiccare, a dire: “Forse lo incontriamo”. Intendeva il prete. Io non ne potevo più. Ero angosciata. Per lei, per Giorgio che l’aveva amata.

Sono sincera, quella volta non pensavo che ce l’avrebbe fatta, a diventare una grande poetessa. Pensavo che la pazzia, il disordine morale e mentale, la stesse risucchiando. Mi mostrava fogli gualciti e macchiati di caffè, di tutto, sui cui svolazzavano dei versi che non mi sembravano belli.

Dopo non l’ho rivista più. Non ho voluto incontrarla più. Ho letto i suoi libri, ma non seriamente. Sempre un po’ a caso. Sempre colpita dalla sua grandezza, quando la scorgevo. Ma sempre sovraesposta questa grandezza, sovraccarica di un eccesso che mi mette a rischio, che non riesco a tollerare. Oggi ho letto gli articoli che parlano di lei e, un po’, delle sue vecchie e nuove storie d’amore. Era diventata famosa e amata da tanti lettori, quasi adorata. Una pop-star l’hanno definita. Questo successo senz’altro l’avrà aiutata, a sentirsi amata, meno sola. Un po’ l’ha curata e tenuta in vita. Le ha dato alimento per tirare fuori il pensiero della poesia oltre alla poesia pura e semplice. Poi, certo, i fantasmi erano là, intorno a lei. Quelli non ti abbandonano mai. Si nascondono per un po’, ma per coglierti di sorpresa con più violenza perché tu ti eri rilassato, inerme. Quando l’amore è mancato da subito, fin dal principio, quando sei nato, non basta tutto l’amore del mondo a risarcirti. Non basta mai niente.

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5 Comments
  • “Cosa darei per ritrovarla quella intervista.”

    Cosa deresti? 🙂

    Alda tragica di Sandra Petrignani
    Panorama 14 gennaio 1990 p. 24.

    Con questo dato non ti sarà difficile far fare una ricerchina veloce da Panorama.

    Ciao

    3 Novembre 2009 at 04:53
  • Grazie di questo post, Sandra, davvero. Ho letto con più piacere queste tue parole che certa retorica post mortem su alcuni quotidiani.

    Morgan, quello di Sul Romanzo.

    3 Novembre 2009 at 18:09
  • Giuseppe Grattacaso
    Rispondi

    Una prosa molto bella e vera, che offre un ritratto non retorico della donna e della poetessa. Perché tu dici, Sandra, di non voler parlare della poesia, ma poi lo fai con pochi tratti, significativi e penetranti. E’ vero: davanti alla poesia della Merini siamo come esposti al rischio di un sovraccarico che non riusciamo bene a comprendere, che a volte, anzi, dà quasi fastidio. Comunque penso che dei poeti bisogna parlarne anche così, fare uscire la loro immagine dal luogo asettico e privo di emozioni nel quale viene spesso confinata. Il limite della poesia italiana di oggi è che raramente si riesce a comprendere qual è l’uomo o la donna che c’è dietro i versi, e questo anche per colpa di un ostentato distacco dei poeti stessi. Alda Merini non conosceva questo limite. E tu, Sandra, ce lo hai ricordato.

    7 Dicembre 2009 at 16:12
  • Ciao Sandra…Sito interessante….
    Se vuoi leggermi……
    Raimondo Loriga,Poeta,scrittore

    27 Dicembre 2009 at 22:46

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