Navigazioni di Circe

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TITOLO: Navigazioni di Circe
AUTRICE: Sandra Petrignani
CASA EDITRICE: Theoria (poi Baldini & Castoldi)
DATA DI PUBBLICAZIONE: 1987

Nell’Odissea la maga Circe parla ben poco di sé: dea innamorata per volere del Fato, si esprime quel tanto che basta per adempiere al suo compito, e congeda Ulisse nella consapevolezza di averlo dovuto amare al solo scopo di farsi abbandonare da lui. Invece la Circe postmoderna protagonista in prima persona di questo romanzo, nonché « dirsi », addirittura si scrive. Affida anzi a una risma di fogli, si direbbe senza alcuna premeditazione, il proprio incerto destino di per-sonaggio, accumulando alla rinfusa ricordi e sensazioni, spiagge e altre spiagge, arrivi e partenze. Sentimentale e pasticciona, disordinata e appassionata, la dea si ritrova per la prima volta, nella sua eterna carriera di mito, a fare i conti con un’idea di se stessa. Prova allora a dissimularla (o magari a enfatizzarla), stemperandola in immagini e stati d’animo suggeriti di volta in volta da un colore diverso; o a comporla e ricomporla, abbandonandola alla trasandata vicenda di quei fogli gualciti, che si affastellano senza ordine e seria sede, alcuni qua altri là; o infine a cancellarla del tutto, risolvendola in una scelta di vita che sancisca, nell’irreversibilità dei fatti, la dipendenza da Ulísse. Ma alle investiture mitiche, si sa, è im-possibile abdicare. Con i suoi amici stralunati e la sua gabbia piena di felici prigi-onieri, Circe accetta il gioco dell’….

RECENSIONI
Circe in barca – di Guido Almansi

Qualche mese fa, alla notizia che la giuria del Premio Opera Prima Calvino aveva scartato i 300 concorrenti e cancellato il premio, pubblicavo malignamente su Panorama un accenno di poesia parodica. «Eran 300, eran bene educati / E non son nati». Pensavo a quei bravi lettori di riviste letterarie che si inventavano romanzieri, forti della loro sapienza narratologica. Uno dei 300 bocciati, Sandra Petrignani, è ora approdata alla pubblicazione per il canale più normale e civile: una piccola casa editrice, Theoria, che sta dando alle stampe la vivacissima opera prima di questa giovane scrittrice, Navigazioni di Circe.
Anche la Petrignani è «bene educata»: ma nel suo caso questo significa una discreta familiarità con la scrittura del passato, che le permette di affrontare un tema immenso, non con spudorata baldanza, ma con un bel piglio aggressivo e senza false modestie. Perché il tema della seduzione è come lo scoglio descritto in una pagina del libro: « … uno scoglio che affiora dal mare tozzo e inospitale, ma che a mettere la testa sott’acqua rivela una gigantesca maestà». Parlare di seduzione, in questi tempi di sociologia dei sentimenti, sembra un argomento ba-nale; ma basta ficcare la testa sott’acqua, nel passato, ed ecco sorgere il monumento della seduzione «assoluta »: la maga Circe, Elena di Troia, Alcina, le scorrerie di Giove Olimpico, Don Giovanni. Tutti i seduttori che attraversano il territorio della psicologia e approdano a quell’isola (la dimora di Circe, appunto) dove le motivazioni della psiche non hanno più conio. Lasciando alle spalle tutto ciò che puzza di razionalismo della psiche, il libro contabile dell’anima, i seduttori «assoluti» sono naturali e innaturali; naturali, perché Circe, per esempio, è una forza della natura; innaturali, perché non è naturale per una donna essere una forza della natura.
Questo è il soggetto del libro, il quale, specie nella parte finale, si sforza di innalzarsi a questo maestoso argomento. Circe e il suo amante rivale, Ulisse, due maestri nell’arte della seduzione, si girano intorno come due pugili sul ring cercando di «sopra-sedursi », per usare un co-nio dantesco. Il loro campionario di conquiste, che i due seduttori conservano in una gabbia dì prigionieri (dove vivono i corpi o gli emblemi dei sedotti), hanno servito a temprare la loro arte. Ma non c’è vinto né vincitore. Tutte le storie devono finire perché questo è il destino della scrittura: «una frase succede alla precedente, una parola all’altra. E il susseguirsi delle frasi crea un piccolo spostamento, segna un quasi impercettibile passaggio, insomma finisce col costruire una storia e questa storia come la goccia in bilico sull’orlo di una foglia, finisce con il precipitare a terra, finisce finendo». E quel «finisce finendo» basta già a indicare il coraggio stilistico di questa giovane scrittrice.
Ma il fallimento di qualsiasi passione è già segnato nei suoi modi di operare: «È proprio la consapevolezza della caducità dell’amore a imporre quell’urgenza e quella fretta, quell’accelerazione del corpo e dello spirito… e, prima della fretta, a volte sì verifica il suo contrario, una perfetta immobilità: la tensione ferma dell’atleta prima dello scatto…». L’uomo non può arrivare al culmine della sua passione, o al trionfo del suo potere di seduttore, perché dall’altra parte ci sta un indi-viduo, chiuso in quel « tessuto senza cuciture, tutto d’un pezzo» (1’espressione evangelica) che è la pelle. Verso la fine del libro Circe vede Ulisse che corre verso il mare, irraggiungibile: «chiuso nell’incondivisibile piacere della sua pelle, isolato nella prigione del suo corpo, si rivelava in modo insuperabile separato da me». E Circe immagina tutti i prigionieri delle gabbie che corrono verso l’acqua, completamente soli in mezzo agli altri. Le navigazioni di Circe si riducono, alla fine, alla circumnavigazione dell’io.

Panorama, 1 marzo 1987

Circe si stampi – di Maurizio Bono

L’allusione, una specie di rebus, chiudeva un articolo di Giampaolo Dossena, sulla Stampa di sabato 6 dicembre, scritto a commento del premio «Italo Calvino» che i giurati non avevano voluto assegnare a nessuno (Panorama 1076). Suonava così: «E se per caso tra i trecento indegni ci fosse un Navigazioni di Circe di Sandra Petrignani, che magari potrebbe piacere a qualcuno?».
Ecco la «soluzione» che da appassionato studioso e frequentatore di giochi di parole Dossena ha nascosto: c’era eccome tra i 300 concorrenti bocciati dalla giuria, il manoscritto di 140 cartelle della giornalista trentaquattrenne del Messaggero Sandra Petrignani, e pur essendo piaciuto molto a uno dei palati più raffinati ed esigenti della critica italiana, Giorgio Manganelli, al premio Calvino non è neppure arrivato tra i 24 finalisti
Di più: poco prima di essere ufficialmente cestinato assieme agli altri 300 presunti manoscritti senza qualità, il romanzo di Sandra Petrignani (al quale Manganelli s’è affezionato al punto da suggerire anche il bel titolo, Navigazioni di Circe) aveva già trovato non uno ma tre interessatissimi editori. Il più veloce è stato Theoria che si è assicurato il contratto e farà uscire volume a fine febbraio. II secondo arrivato, su consiglio di Manganelli, era Mondadori. II terzo si è fatto avanti non appena l’accenno di Dossena ha smosso le acque, ma era già tardi.
Ai giurati del premio Calvino Sandra Petrignani non porta rancore: «Scandaloso sarebbe pensare che un libro debba piacere a tutti». Ma trova ingiusto che si sia parlato di tutti i manoscritti dei concorrenti come di opere scritte di getto: «II mio romanzo, l’ho scritto e riscritto, invece, con umiltà» precisa. Navigazioni di Circe, (rivisitazione in chiave moderna del mito della maga) vide la luce sei anni fa: «Qualche amico lo vide, ma continuò a restare nel cassetto».
Ma perché, dopo averlo riscritto, mandarlo allo sbaraglio al premio per gli inediti? “Per insicurezza» spiega l’autrice. “Cercavo conferme, invece al “Calvino” ho finito per ottenere esattamente il contrario».

Panorama, 15 dicembre 1986

Circe, maga del narrare – Ottavio Cecchi

II lettore che qui si sottoscrive (ognuno parli per sé) ha sempre sospettato che qualcuno volesse calunniare Circe. A lui la maga è stata ed è simpatica. La matrona grassoccia di un noto dipinto non le rende giustizia. Né gliela rende l’immagine che di essa danno poeti e cantastorie. Circe invece è questa ragazza, diciamo, trentenne, che nel libro di Sandra Petrignani (Navigazioni di Circe, Theoria) si lascia sorprendere sulla riva del mare mentre raccoglie conchiglie. Il medesimo lettore se la immagina con i jeans, a piedi nudi, alta e bionda, un po’ distratta, assorta. Sarà anche una maga (ma è lei a dirci quasi subito: “Io non merito questo nome”), sarà anche esperta in sortilegi e crudeltà, terrà rinchiusi nella gabbia i suoi prigionieri: ma qui appare innocente. Forse l’innocenza nasconde la perfidia.
E’ tutto da dimostrare. Perfido è il giustamente calunniato Ulisse. Il quale va e viene, oggi c’è e domani non c’è più. Va lontano e non lascia detto niente a nessuno, né un biglietto, né un messaggio. Calunniata lei (ingiustamente), calunniato lui (giustamente: il lettore ha le sue simpatie e le sue antipatie), fatto sta che il gioco rimane ancorato al tema della perfidia. Riuscirà Circe a mettere in gabbia Ulisse? O un finale a sorpresa, prima che sullo schermo compaia in belle lettere la scritta The End, butterà all’aria il gioco tra i due e sarà Circe a finire nella gabbia di Ulisse? Niente di tutto ciò. Ma il sottoscritto lettore per ora non è tenuto a svelare il segreto dei due illustri personaggi.
Foglio su foglio, la scrittrice riempie il vuoto tra la domanda e la risposta. Il libro scorre lieve, elegante, via via che i fogli si consumano. Non ci sarebbe storia, o racconto, se non ci fossero quei fogli bianchi e, d’altra parte, non ci sarebbero fogli bianchi se la scrittrice non volesse raccontare la storia dei due personaggi e, si noti, la sua propria storia di narratrice di storie. Il lettore lascia agli altri il piacere di seguire Circe e Ulisse e riserva per sé un meno lieto ma necessario discorso sul mestiere di scrivere. Il gioco vero di questo libro di Sandra Petrignani è qui. Si legge a pagina 74: “Cos’era quella roba che appariva come uno spudorato duplicato della vita?(…) Ma se ho impiegato il tempo a scrivere tanto minuziosamente la vita, come ho fatto a viverla? E’ possibile vivere e scrivere contemporaneamente?” Domande eterne. Circe, lungo tutto il libro, insegue Ulisse, tiene dietro a lui, al suo errare. Ma il rincorrersi tra la maga (che non vuole essere maga ma bella donna che raccoglie conchiglie sulla riva del mare) e Ulisse che altro è se non il rincorrersi tra lo scrittore e il racconto, tra lo scrittore e il foglio bianco? Blanchot ha detto qualche cosa di importante sull’attraversamento della pagina bianca, qualche cosa che qui intriga la scrittrice alle prese con i miti e con il suo racconto. Il gioco tra Circe e Ulisse non è poi così semplice. E’ un gioco che nasce da un mito e si fa di nuovo mito (o racconto). Il racconto di Sandra Petrignani è il racconto di un racconto.
Inutile soggiungere che si affaccia, inevitabilmente, il vecchio problema della solitudine del narratore. Chi dice che il narratore non è solo mente sapendo (ma non sempre, e allora il caso è disperato) di mentire. E’ come Circe, sempre solo e sempre in ansia perché Ulisse è lontano. E’ tanto lontano che la maga-non maga corre il rischio di dimenticare le sue fattezze, la sua voce, i suoi gesti. Ma la maga-scrittrice affida Ulisse e se stessa al racconto, utile promemoria per eventuali dimenticanze. Così il gioco tra Circe e Ulisse, e tra la scrittrice e il suo racconto, continua. Non sarebbe possibile continuare senza un filo sottile di humour, dote indispensabile per la narrazione. Nel racconto di cui si tratta c’è humour di buona lega. Per esempio: a un tratto la comunicazione tra Circe e i suoi amici avviene per mezzo della bottiglia affidata alle acque del mare.
La rivisitazione dei luoghi comuni, quando sia fatta sapendo di farla, è uno dei momenti più sottili dell’uso consapevole del Kitsch. Per capirci in breve: come Mahler fa con Haydn. La bottiglia è sempre piena di manoscritti e di messaggi, è piena di storie. In queste pagine ne giunge una con lettera firmata da Ulisse in comico stile telegrafico. Ma Ulisse ci è antipatico. L’ingannatore è lui. Con quel tono freddo, egli manda a dire a Circe: corrimi incontro. Circe gli risponde: non verrò, ma ti aspetto. In filigrana, si vede di nuovo la scrittrice alle prese con i suoi fogli bianchi. E’ la storia che va da lei o lei che va verso la storia? Calza alla perfezione la breve lezione della maga-non maga-scrittrice: scrivere è un processo di fissione, rompe l’unità, scatena scissioni. E’ ripetizione infedele. Il racconto resiste e lo scrittore resiste al racconto. Da quando scrive, ci fa sapere Circe, la leggenda non la protegge più: “Ulisse si permette di resistermi”. Ulisse, o il racconto.
In breve non è Circe che mette in gabbia Ulisse, ma Ulisse che tenta di mettere in gabbia lei. Circe riesce a fuggire. E che cosa mette il salvo? I suoi fogli, il racconto delle sue “navigazioni” delle sue peripezie. Il gioco precipita. Ulisse la raggiunge. Tentatore com’è, insinua in Circe un grave dubbio: “Con quale diritto Circe accusa Ulisse, quando anche lei possiede una gabbia identica a quella che l’ha offesa?” In verità i due hanno un progetto in comune: ingabbiarsi a vicenda. L’incantesimo si rompe qui. Ingabbiarsi a vicenda: ma non è questo il progetto dello scrittore e del racconto? L’uno ingabbia l’altro. E’ una battaglia all’ultimo foglio. Come dire che, alla fine, vince il racconto.

L’Unità, marzo o aprile 1987

La maga Circe va per mare e raccoglie tempesta – di Remo Ceserani

Sono sempre più perplesso di fronte al numero grande e crescente di romanzi scritti da giornalisti. E’ un fenomeno inarrestabile: tutti tirano fuori il loro romanzo, dall’ex presidente della Rai fino all’ultimo cronista della pagina sportiva. Esperienza vera e sofferta, pettegolezzo indelicato, desideri e frustrazioni a, lungo repressi, ritagli della cronaca rimasti sul bancone dopo la chiusura, recensioni e lacerti di romanzi altrui: tutto si méscola e si omogenizza, e produce un frullato svelto, disinvolto, un po’ opaco di esperienze e scritture. Cronaca vera e cronaca sognata danno un miscuglio di incerto colore e incerto sapore.
Tanto più spicca, a confronto, e per eccezione, il breve romanzo di Sandra Petrignani, giornalista del Messaggero,
Navigazione di Circe è, fra l’altro, un romanzo sulla scrittura, sui problemi del tempo narrativo, dell’intreccio, dei punti di vista. Ma lo è in modo originale. Ripescando dalla mitologia la figura di Circe, e la sua vicenda d’amore con Ulisse, e i suoi attributi di seduttrice, ingannatrice e profetessa, Sandra Petrignani, aggiungendo all’antica figura un tocco di follia disordinata e grottesca, e di angosciosa modernità nevrotica, rappresenta le ansie, il disordine, le frustrazioni di ogni scrittura (specialmente femminile) che cerchi di attirare, sedurre e imprigionare i luoghi egli oggetti del desiderio.
I fogli di carta su cui Circe scrive si cancellano, si perdono, vengono scompigliati dal vento; la memoria inganna e trasceglie; il desiderio si fissa su immagini ossessive, si proietta su momenti che sfuggono a ogni misura temporale. Circe, prigioniera dei suoi «luoghi», li trasforma nei «loci» di un magico esercizio di memoria, di quelli che studiava Frances A. Yates: organizza percorsi nel passato dell’esperienza e nel futuro del desiderio appoggiandosi ai colori simbolici che accendono pensieri e sentimenti, agli attributi allegorici di cose e personaggi, alle immagini emblematiche che celano significati segreti e destini narrativi
Il tema vero del romanzo, tuttavia, non è la scrittura, ma l’amore, e in particolare la versione romantica dell’amore passione. Anche qui, nel trattare un tema abusato, Sandra Petrignani ha trovato una soluzione originale. Ha legato strettamente fra loro amore e scrittura. Circe sa fin troppo bene che l’amore passione si nutre dl attesa; che conoscere è soprassedere: «Mi piace prolungare l’incanto di queste notti, stringere :fra le braccia soltanto le mie ginocchia in attesa di stringere un nuovo uomo…
Differire è il segreto di un più intenso piacere». Ma Circe, che ha vissuto dentro tante vicende romanzesche, e sotto tante spoglie diverse, fino all’Alcina di Ariosto e del Dossi, sa anche che il «differire» è il principio strutturante di ogni scrittura romanzesca, la più efficace trascrizione narrativa del desiderio bruciante di amore.

Il manifesto,marzo o aprile 1987

Circe racconta – di Laura Lilli

I fogli, «anziché ammucchiarsi ordinatamente uno sopra l’altro, come desidererei, svolazzano per la stanza, planano, scivolano, si posano, si nascondono E non posso più numerarli. Ingialliscono anche, quando riescono a invecchiare abbastanza, Sono fogli ribelli, autoritari finché restano bianchi, dispettosi quando si ritrovano scritti. Li odio mortalmente».
E tuttavia la maga Circe non riesce a sottrarsi alla tirannia di questi fogli, sui quali ha deciso di raccontarsi. O forse vi è costretta da un Fato più forte dei suoi pur non trascurabili poteri di maga, sebbene si dichiari «non in grado di modificare gli eventi».
Il Fato, in questo caso, si chiama Sandra Petrignani. Alla sua prima prova letteraria, appena andata in libreria, la scrittrice ha preso di mira per l’appunto Circe (Navigazioni di Circe, Theoria, pagg.133, lire 16.000). Ha immaginato che quella che l’Odissea ci presenta come una sorta di fatalità personificata, che aspetta immobile i marinai per attirarli, sedurli e trasformarli in porci felici e dimentichi, si metta a navigare a sua volta per inseguire Ulisse che – solo – è stato più forte di lei e l’ha fatta innamorare. (In realtà l’inseguimento avviene anche per terra: la maga si arrampica su certe rocce dove si trova assai a disagio, lontana dalla sua spiaggia, dalle conchiglie e dal mare).
Inutile qui riassumere il libro che – anche se non è precisamente un romanzo di suspense per l’incalzare della trama – ha certamente un suo ritmo, un suo lievitare e un suo punto di climax: una sorpresa nell’Isola di Ulisse che qui non riveleremo e che, anche se decisamente originale, sta comunque all’interno della tirannia del mito.
Le navigazioni sono fantasiose e grottesche, gremite di personaggi (i prigionieri, i pellegrini, i pescatori, il cani, l’amica gelosa) e movimentate, collocate in uno spazio-tempo onirico anche se tutto e tutti sono concretamente, anzi minuziosamente, descritti.
Vediamo Circe che lava i piatti (di rado), Circe che dà da mangiare ai prigionieri, Circe che fa minacciosi gesti ai pellegrini che vogliono vedere da vicino il tremendo mitico personaggio, Circe che dialoga con Ulisse, Circe che raccoglie conchiglie e ha un’abbronzatura che non sbiadisce.
La scrittura è agile e giovane, anche se sempre sorvegliata. Il libro è suddiviso in trentatré brevissimi capitoli, suddivisione che rende la lettura ancora più agevole. In tal modo Sandra Petrignani conduce un gioco letterario con tutti i crismi, in un presente continuo in cui situazioni e personaggi si affollano e volano via come sogni, un gioco in cui l’autrice entra e esce dalla pagina scritta fingendo che sia Circe a entrarvi e uscirne di continuo.
E, in verità, le navigazioni, più che di Circe, sono proprio di Sandra Petrignani. Munita di ogni possibile astuzia e conscia dell’indispensabile autoironia del gioco letterario del nostro tempo, l’autrice compie, intorno al mito della maga Circe, una fantasiosa navigazione. Ripulisce il mito dalla polvere della vecchiaia e gli restituisce respiro, pur rispettandone rigorosamente i confini. L’unica variante è che qui gli uomini conservano la forma umana e non vengono trasformati in porci: ma ciò non intacca la vera essenza del mito omerico, che è la battaglia amorosa tra Circe e Ulisse, da cui Ulisse esce vincitore.
In questo libro, Circe può girare intorno a tutte le suggestioni e alle fantasticherie del desiderio amoroso, mettersi in una barca con un cane e un gatto e andare via, piantando per qualche tempo gli uomini che per tradizione deve tenere in sua mercè ma poi deve fare ritorno, costretta all’obbedienza dal doppio imperativo del mito e dell’autrice. Quest’ ultima la costringe a raccontare quella che, alla fin fine, è la propria capricciosa circumnavigazione di se stessa sui tirannici fogli, finché essi si disperdono ai vento e (qui finisce il libro) «questa è l’ultima riga».

La Repubblica 20 marzo 1987

Solo Circe si salva – Geno Pampaloni

Miglior fortuna, comunque, ha avuto l’editore Theoria con Navigazioni di Circe. Non so se il racconto di Sandra Petrignani liberi, come sdottoreggia il risvolto; “vorticose sarabande in cui la psiche effonde e sbeffeggia i suoi segreti”; ma è un racconto ben costruito, ben scritto, che si fa piacevolmente ricordare. Il grande mancamento purtroppo è Ulisse, l’eroe che accende l’amore e lo sfugge: L’unico momento in cui lo sentiamo vero è quando Circe gli pettina, ciocca per ciocca, i capelli con le dita. Ad un certo punto. egli manda a Circe questo messaggio: «Ho sognato il tuo corpo morbido e rotondo, i tuoi fianchi di madre, disperatamente ti. voglio, corrimi presto incontro». Possiamo essere benevolmente comprensivi di ogni ironia, ma questo è un eroe che viene da una telenovela, non dall’Odisse., Né funiona la trovata, o “sorpresa finale”, per cui anche Ulisse, come Circe, ha una sua immensa gabbia ove rinchíude le moltissime donne che, novello Casanova, ha conquistato: Circe é invece un singolare e persuasivo personaggio. Non saprei dire se l’autrice ne sia stata consapevole fino in fondo: il fascino di Circe è che, essendo immortale, il tempo le avanza, interminabile e vuoto. Anche se è una maga, non ha il potere di modificare eventi e destini. Il futuro non le appartiene; ciò che la minaccia è il passato. Non può invecchiare, eternamente immobile nella sua giovinezza piena, leggermente opulenta». Gode dell’ardore con cui la possiedono; i giovani amanti che poi ella sospingerà, docili e innamorati, nella gabbia; la sua sensuale felicità è sostanziata di “paura profetica»; cioè -del presagio del fatale dissolversi di quei riti d’amore. La sua, decisione di scrivere la propria vita è il tentativo di fermare il tempo; le parole scritte si intonano via via ai colori dei sentimenti e delle emozioni: bianco, grigio, celeste; scrivere è la sua metamorfosi (“Da quando scrivo non sono più la stessa»); e l’esaurirsi della pila dei fogli bianchi suggerisce l’umana e non più magica simmetria tra la nascita e la morte; il racconto, «Come la goccia in bilico sul1’orlo di una foglia finisce con il precipitare a terra; finisce finendo”. Al lettore non sfuggirà la suggestione di questo tema, che anche Calvino, avrebbe invidiato. Ad esso si adegua il curioso fondale; per -metà classico, mare, barche; acque pescose, spiagge solitarie e incantate, e per metà odierno: macchina per scrivere; brandy, Hotel Radioso, violini, turisti. Il bel racconto della Petrignani e la sua bellissima Circe, ammaliatrice e maga un po’ zingara e ciabattona, si collocano dunque nella memoria del mito omerico tra il postmoderno e la nostalgia.

Il Giornale, marzo 1987

Un’affollata solitudine – Giovanni Raboni

La mitografia – intendendo questa parola un po’ troppo dotta nella accezione più ampia, e certo meno corretta, di «riuso», riscrittura e manipolazione di miti – occupa una posizione predominante nella letteratura di tutti i tempi. A pensarci bene, solo nella grande stagione del romanzo borghese, cioè in un arco temporale che va, grosso modo, da Fielding a Proust, e che dura dunque meno di due secoli, gli scrittori occidentali hanno rinunciato quasi in massa ai miti classici come fonte diretta o indiretta di ispirazione, creando, o tentando di creare, un universo di personaggi, vicende e destini totalmente «moderni»: E non è un caso che al mito si sia tornati a far ricorso nel nostro secolo quando, appunto, il romanzo borghese è entrato più a meno irrevocabilmente in crisi e la sopravvivenza stessa del romanzo ha cominciato ad affidarsi, perlopiù, alla genialità linguistica, alle invenzioni strutturali, alle capacità di ibridazione (cioè di incrociare fra dì loro generi diversi) di alcuni grandi prosatori spontaneamente o programmaticamente «sperimentali».
Chiedo scusa per, lo spicciativo nozionismo di questo preambolo, il cui unico scopo era quello di richiamare, soprattutto a me stesso, le coordinate culturali entro le quali può essere posto, ai fini di una lettura più attentamente consapevole, il libro di cui mi accingo a parlare.
Navigazioni di Circe è ‘il primo romanzo di Sandra Petrignani, una. giovane scrittrice sin qui nota per 1a sua attività giornalistica e critica e (almeno agli addetti ai lavori} per la raccolta di poesie La festa strana, uscita nel 1981 in Poesia tre di Guanda (e che si concludeva con una sezione o sequenza intitolata, poiché davvero «tout se tient», Mitologie personali…). In quale filone, in quale «specializzazione» della mitografia si inserisce Navigazioni di Circe? A me sembra che le affinità più strette (ma, si badi, potrebbe trattarsi di affinità naturali, di coincidenze, e non necessariamente di derivazioni) vadano cercate nella zona del neoclassicismo ironico-patetico degli anni Venti e Trenta: si pensi, per fare qualche esempio, al Jean Giraudoux di certi famosi testi teatrali come Anfitrione 38 o La guerra di Troia non si farà; oppure a un romanzo molto bello e, temo, del tutto dimenticato come Il cavallo di Troia dell’americano Christopher Morley (più noto come autore dell’assai meno raffinato Kitty Foyle). E ci si potrebbe spingere un po’ più in. qua, fino al Teseo di Gide o all’Antigone di Anouilh, e magari sino agli splendidi libretti composti da Halévy e Meilhac per la musica di Jacques Offenbach: Orphée aux enfers, La belle Hélène…
Come si sarà capito, da questi riferimenti, la chiave di decifrazione e riutilizzazione del mito scelta dalla Petrignani è, insomma, decisamente psicologico-razionale, con un timbro che definirei spiritoso (nel senso, parzialmente intraducibile, di “spirituel”) e, come si diceva qualche anno fa, dissacrante, e con un’apprezzabile capacità di rasentare la caricatura senza mai o quasi mai caderci. L’impasto, l’amalgama fra antico e moderno (le navigazioni di Ulisse avvengono rigorosamente a vela, ma Circe mette in sparsi, irrequieti fogli i suoi ricordi e pensieri servendosi di una fragorosa macchina da scrivere…) è cercato e ottenuto con discrezione, con mano sicura e leggera; e un’ipotetica trasposizione teatrale del romanzo non avrebbe difficoltà a trovare nelle sue pagine indicazioni per scene e costumi più atemporali che anacronistici e, semmai, più “art-déco” che surreali.
Date queste coordinate d’ordine stilistico, resta da dire il più, ovvero quale nucleo o intreccio di significati l’autrice abbia individuato e voluto esprimere nel personaggio e nella storia di Circe, la bellissima maga figlia del Sole la quale – secondo il racconto del decimo libro dell’Odissea – trasformava in porci, dopo averli sedotti, tutti i viaggiatori che il destino faceva approdare alla sua isola; e le cui arti solo Ulisse, con la forza della sua astuzia, riuscì a sconfiggere, trasformando anzi la terribile ammaliatrice in una donna trepidamente innamorata.
Nel romanzo de11a Petrignani, Circe è descritta (o meglio si descrive, giacché l’intero racconto è condotto in prima persona, con una simulazione sin troppo ordinata, e a mio avviso non proprio impressionante né indispensabile, di frammentarietà e di disordine) come una donna prigioniera del suo mito; cioè, in termini pianamente psicologici, prigioniera del suo stesso potere di seduzione, che si rivolta contro di lei condannandola a una sorta di tumultuosa, affollata solitudine. Circe, infatti, è destinata a possedere (a detenere come prigionieri, senza bisogno di trasformarli fisicamente in animali, dentro. Una misteriosa, invisibile gabbia) tutti gli uomini dai quali, un tempo, ha voluto essere posseduta; ed è circondata dalla diffidenza, per non dire dall’esecrazione, degli altri abitanti dell’isola, curiosi e bigotti, che spiano da lontano le sue mosse e sarebbero felici di vederla salire su un rogo.
La comparsa di Ulisse determina una situazione del tutto nuova: non un capovolgimento di ruoli, come nel mito omerico, ma uno scontro fra uguali; il fronteggiarsi, con armi diverse ma ugualmente temibili, di un seduttore e di una seduttrice. Ulisse se ne va quasi subito, ma il sortilegio,del desiderio lo richiama; parte di nuovo e, questa volta, è Circe a seguirlo, nell’isola di lui, dove – con l’orrore di chi incontra d’improvviso la propria immagine allo specchio in una camera buia – finisce con lo scoprire che Ulisse ha anche lui, in cantina, una gabbia nella quale sono rinchiuse tutte le donne che ha sedotte, tutte le donne della sua vita…
Chi la spunterà? chi rinchiuderà chi nella gabbia, reale o metaforica, della sopraffazione amorosa? La parabola, (cui danno spessore di romanzo, si capisce, altri accadimenti e figure) si chiude senza vincitori né vinti: Circe rinuncia ai suoi prigionieri, forse anche alle sue prerogative di maga, ma non alla sua libertà; e Ulisse capisce che non può trattenerla, che deve lasciarla andare.
Chinandosi a bere in un secchio, Circe riscopre la bellezza solitaria della propria immagine, che aveva dimenticata perché i suoi occhi, ormai, non vedevano altro che Ulisse. Epilogo di sapore femminista o forse (Dio mio, non vorrei sbagliare) neofemminista, che appartiene alla cultura e alla sensibilità dell’autrice non meno che al destino intrinseco del suo personaggio, e che chiude la storia assai giudiziosamente oltre che con un’elegante, tempestiva voluta narrativa.

Il Messaggero, 18 marzo 1987