Le signore della scrittura

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TITOLO: Le signore della scrittura
AUTRICE: Sandra Petrignani
CASA EDITRICE: La Tartaruga
DATA DI PUBBLICAZIONE: 1984

 

RECENSIONI
Ma lo spirito non ha sesso – di Fabrizia Ramondino

ROMA – Nella limoniera di Villa Torlonia è stata allestita una mostra di libri scritti da donne, che spaziano dalla narrativa alle opere di giardinaggio, dalla poesia alla fantascienza, dalla saggistica alla lette-ratura gialla e rosa, dai dizionari ai fumetti. Le pareti della mostra ospitano 56 ritratti di scrittrici, opera della fotografa Paola Agosti. Fra le inìziative della mostra vi è stata la presentazione del libro Le Signore della Scrittura di Sandra Petrignani (La Tartaruga Edizioni; Lire 12mila). Si tratta di nove interviste a scrittrici celebri che hanno superato i settanta anni (Lalla Romano, Paola Masino, Alba de Céspedes, Maria Bellonci, Laudomia Bonanni, Annamaria Ortese, Fausta Cialente, Livia De Stefani, Anna Banti) e di una intervista immaginaria a Elsa Morante, che al tempo della stesura del libro era gravemente ammalata. Nella sua breve introduzione, l’intervistatrice, Sandra Petrignani, spiega i criteri di scelta e di esclusione, le ipotesi di partenza, le conclusioni. E’ stata esclusa Natalia Ginzburg, per esempio, solo perché non ha ancora settanta anni. La scelta di intervistare solo scrittrici anziane è d’altra parte dovuta da un lato all’ ammirazione per questo “durare nella scrittura», dall’altro a un’esigenza di unità: testimoniare di una generazione così diversa da quelle che sono seguite: «La loro giovinezza e formazione affondano in un’epoca che gli sviluppi tecnologici attuali, senza precedenti, allontanano anni luce da noi. Sono in realtà molto più vecchie di quanto l’età anagrafica denunci. Sono testimoni sopravvissute a un mondo completamente scomparso, a un pianeta distrutto. Impossibile non cogliere nelle loro parole l’eco di una lontananza quasi mitica e, qualche volta, il brivido della profezia».
Una delle ipotesi enunciate nella prefazione mi sembra contestata dalla maggior parte delle scrittrici: la critica letteraria, secondo la Petrignani, non le avrebbe prese in seria considerazione, si sarebbe fatto attorno a loro il silenzio. La maggior parte di esse hanno invece avuto un meritato riscontro di critica e di pubblico. Montale, Cecchi, De Robertis, fra gli altri, si occuparono di molte di esse. E se ve ne sono state che sono riuscite a pubblicare molto tardi, come Dolores Prato, da poco scomparsa, altre hanno pubblicato giovanissime e con grande successo. Il problema semmai, a mio avviso – e riguarda insieme scrittori e scrittrici – è quello delle ristampe: oggi si pubblicano soprattutto le novità o, per una forma di snobismo, si ristampano soprattutto libri di stranieri, mentre opere validissime del passato sono introvabili: cito ad esempio i racconti di Anna Maria Or-tese degli anni Trenta e quelli di Domenico Rea degli anni Cinquanta.
Le storie di queste dieci scrittrici, come risultano dalle interviste e dalle note bibliografiche forniteci da Sandra Petrignani, sono assai varie: vite oscure di provincia, tutte dedite al lavoro, come quella di Laudomia Bonanni: vite tranquillamente borghesi come quella di Livia De Stefani; vite cosmopolite e avventurose come quelle di Alba de Céspedes e Paola Masino; grandi avventure amorose per alcune, quasi un’indifferenza all’ amore per altre. Alcune, poverissime, hanno dovuto lavorare duramente per mantenersi; altre, ricchissime, non hanno mai avuto problemi economici. Alcune vivono ancora oggi in modo brillante e mondano come Maria Beiìonci, altre, come Annamaria Orte-se, orgogliosamente appartate.
Le accomunano soprattutto un senso etico e una disinteressata dedizione a!la scrittura che non sembrano appartenere più al nostro tempo.
Sentiamo per esempio Lalla Romano: «La mia è naturalmente una vita di passione per la letteratura, ma sento un grande impegno a vivere profondamente sincera nell’arte come nella vita». E la virtù che secondo lei bisognerebbe più coltivare nella vita è «I’indipendenza rispetto al rumore del mondo, alle chiacchiere, ai giudizi sbagliati. I1 distacco dalla vanità e dalla compiacenza”. Alba De Céspedes dichiara: ,,Quello che mi sembra più pericoloso oggi in occidente, e devo dire purtroppo soprattutto in Italia, è che niente viene preso veramente sul serio e si dà un valore smisurato al danaro e ai beni materiali». Per Anna Maria Ortese “La cosa più inaccettabile del vivere sulla terra è la violenza. e poi l’inganno, il mentire, il tradire. Ma una delle peggiori è il corrompere, il far morire la fiducia e la speranza. Questo oggi si fa con i giovanissimi, con i bambini stessi,..».
Su un punto quasi tutte si trovano d’accordo: la società letteraria è decaduta rispetto al passato; non si leggono i libri con la stessa passione e attenzione, non si scrivono con cura, la critica letteraria è inesistente. I premi sono cambiati. «Una volta casa Bellonci – dichiara Laudomia Bonanni – era sul serio un salotto letterario. Io ricordo quei tempi addirittura con emozione. Oggi, quando vado per partecipare alle votazioni dello Strega, non m trovo più a mio agio. C’è una gran confusione, non si fa più letteratura, ma un servizio editoriale, un gioco di squadre». E Elsa Morante nella sua intervist, immaginaria (ricostruita dalla Petrignani sulla base di interviste rilasciate dalla scrittrice anni fa a Costanzo Costantini e di articoli di vari giornalisti) rincara: «Quella che una volta era la gloria, oggi è diventata l’orrore. Perché c’è il consumismo e quindi tutto diventa orrendo. Gente che non sa neanche cosa voglia dire scrivere un libro, perché loro non li scrivono, i libri, li… pisciano, li cacano… tenta di deformare lo scrittore oggi. Tentano per esempio di accattivarlo o di assimilarlo nel sistema attraverso la corruzione, la popolarità scandalistica, i successi volgari, promuovendolo a un divo o a un play-boy».
Naturalmente il titolo è ironico: Le Signore della scrittura durante tutta la loro carriera letteraria hanno dovuto combattere i pregiudizi sulle donne. La più amara sembra Anna Banti. Anche il lavoro di Livia De Stefari non era preso molto sul serio nella sua cerchia familiare. Delle scrittrici oltre tutto si parla sempre con l’articolo: la Ortese, la Morante, la Banti; non si dice invece il Moravia, il Calvino, il Pavese. Eppure queste «signore» hanno dimostrato ampiamente attraverso la loro opera che lo spirito non ha sesso.

Chi la spunterà? chi rinchiuderà chi nella gabbia, reale o metaforica, della sopraffazione amorosa? La parabola, (cui danno spessore di romanzo, si capisce, altri accadimenti e figure) si chiude senza vincitori né vinti: Circe rinuncia ai suoi prigionieri, forse anche alle sue prerogative di maga, ma non alla sua libertà; e Ulisse capisce che non può trattenerla, che deve lasciarla andare.
Chinandosi a bere in un secchio, Circe riscopre la bellezza solitaria della propria immagine, che aveva dimenticata perché i suoi occhi, ormai, non vedevano altro che Ulisse. Epilogo di sapore femminista o forse (Dio mio, non vorrei sbagliare) neofemminista, che appartiene alla cultura e alla sensibilità dell’autrice non meno che al destino intrinseco del suo personaggio, e che chiude la storia assai giudiziosamente oltre che con un’elegante, tempestiva voluta narrativa.

Il Mattino, 27 luglio 1984