Il cuore è una selva (Il Foglio 15/4/20)
«Il matto non si limitava a riprodurre la realtà, ne smuoveva le forme invisibili e trasformava il vedere in sentire» scrive Novita Amadei nel romanzo Il cuore è una selva (Neri Pozza, 270 pagine, 18 euro) ispirato al pittore Ligabue, uno che nei suoi disegni, nelle forme, nei colori imprimeva «una solitudine indicibile e tutta la disperazione e l’amore di cui era capace». Ispirato, vorrei subito aggiungere, al rispetto della cronologia del modello, ma scritto anche molto immaginando alcuni snodi biografici come le spinte segrete di un’anima insondabile.
Nasce, l’idea di scrivere questa storia, per Novita Amadei, parmigiana che vive in Francia, dal fatto che Ligabue era stato una presenza («più come personaggio popolare che come artista») della sua infanzia. «Sono cresciuta sotto due sue acqueforti, una lince e un’antilope, che i miei tenevano in tinello», un regalo di matrimonio probabilmente. Dice anche, però, che non le sono mai piaciute quelle due immagini e che, a essere sincera, non le piace la pittura di Ligabue. A toccarla, a far risuonare in lei la voglia di scriverne è la vita dolorosa, quell’essere stato un uomo di confine fra tenebra e luce, fra due lingue (tedesco e dialetto emiliano), fra delicatezza e selvaggeria. Era infatti per nascita svizzero tedesco, Ligabue, di Zurigo, ma le vicissitudini della sua vita l’avevano portato in Italia sulle sponde del Po, a Gualtieri, da dove veniva il padre adottivo.
E’ in quest’area che Amadei fa muovere il suo protagonista fra ricoveri in ospedali psichiatrici e fughe nei boschi a contatto con altri personaggi bislacchi e con i tanti animali con cui l’artista s’identificava e che trasferiva sulla tela mescolando ai colori anche gli umori del corpo. L’autrice non ne dice mai il nome e spesso si allontana dalla verità storica (come nel finale fiabesco) eppure il suo eroe è un Toni Ligabue capito intimamente grazie all’esperienza linguistica, geografica e persino gastronomica che l’autrice ha dei suoi luoghi, della sua terra e che diventa capacità di decifrare un’anima e rendere chiaro il mistero fra disordine mentale e creatività. (Forse il limite del comunque bellissimo, recente film di Giorgio Diritti, Volevo nascondermi, dedicato allo stesso tema, è di aver aderito totalmente attraverso la bravura di Elio Germano alla stranezza e alla malattia del personaggio di per sé insufficienti a spiegarne il genio).
Pagine centrali de Il cuore è una selva danno anche forma narrativa al coinvolgimento del “mätt”, come lo chiamavano tutti, nella Storia. E’ una vicenda di Resistenza che lega la figura reale della partigiana Lucia Sarzi (nel romanzo Lucia Malerba) al personaggio contraddittorio di Bianca (la Cesarina della realtà, da Ligabue disperatamente amata) e che trasforma in una pagina di eroismo l’uso che i nazisti fecero, come traduttore, di quell’artista nevrotico e disadattato. Quale fu realmente il ruolo di Ligabue, al limite fra collaborazionismo e delazione, non lo sappiamo. Ma ancora una volta un romanzo ci fa intravedere un’altra interpretazione possibile.