Dacia Maraini abita qui (settimanale F, 18 agosto 2020)

Dacia Maraini abita qui (settimanale F, 18 agosto 2020)

Quando l’ha comprata, una ventina di anni fa, questa sua casa di montagna era in pessime condizioni, ma almeno si vendeva a poco, mi racconta Dacia Maraini durante una passeggiata nel fresco del tramonto. Siamo a un centinaio di metri sopra Pescasseroli, nei pascoli pietrosi del Parco Nazionale d’Abruzzo dove s’incontrano soltanto mucche, asini, cavalli e festosi cani da pastore che un po’ tengono d’occhio la mandria, un po’ salutano quella scrittrice amica degli animali con un regalo per tutti: zuccherini per gli equini e pane per i cani. Uno in particolare, che Dacia ha battezzato Marso (diminutivo di marsicano) le è molto affezionato. «I pastori sono distratti verso i loro cani, e Marso a un certo punto era conciato male» ricorda. «Era ferito, soffriva. L’ho portato dal veterinario». Così Marso, quando ci incontra, ci riaccompagna fino a casa. A volte è solo, a volte con due o tre compagni. Bevono nella ciotola che li aspetta sulla veranda, si riposano al fresco e poi se ne vanno, discreti, lenti, passando per chissà quali buchi nella rete che conoscono solo loro.

Marso è quello di spalle

«Mi piace degli animali che sono quello che sono» osserva Dacia. «Non hanno secondi fini, non tramano alle spalle». Sente ancora viva la perdita di una cagnolina morta due anni fa, Bionda, di cui ha una foto appesa nel soggiorno, fra scaffali di libri e mobili di legno e di vimini. Il pavimento è di un bel parquet scuro screziato. «Non amo il lusso, preferisco le cose semplici. Mi piace molto il legno. E le pareti devono essere bianche. Detesto la plastica, ne tengo il minimo indispensabile». Condivido tutto: il fastidio per la plastica, la passione per il legno e soprattutto l’amore per gli animali. E anche quello per gli alberi. Del resto non è un caso che io viva prevalentemente in Umbria, in campagna, con tre cani, quattro gatti e sei galline. «Mi piace, infatti, da te» dice con una delle sue risate brevi, mentre negli occhi seri, azzurrissimi, le passa una luce allegra. «Sai che non sopporto di veder tagliare o bruciare un albero?» continua. «E magari solo perché toglie la vista».

Galline ce ne sono anche qui. Una mattina mentre ci sediamo all’aperto per la colazione, le vediamo zampettare nell’erba. «Da dove sono uscite fuori?» Devono essere passate attraverso i soliti buchi della rete. E infatti, scopriamo, appartengono ai vicini napoletani, appena arrivati. Come le avranno portate, dalla Campania in Abruzzo, resta un mistero. «Speriamo almeno che in cambio dell’ospitalità, lascino un uovo ogni tanto…» sorride Dacia.

Dacia porta zucchero e carote agli asini che pascolano intorno a casa sua a Pescasseroli

La casa è circondata da alberi maestosi. Abeti fitti, un grande cedro del Libano, betulle dal tronco scuro, dette “del fiume”, un tiglio e un ippocastano piantati da lei. Un luogo ideale per trascorrere i giorni d’isolamento da coronavirus… «Purtroppo non ho fatto in tempo a trasferirmi da Roma, così sono rimasta bloccata in città. E dire che trascorro qui quasi una buona metà dell’anno: un periodo intorno a Natale, un altro a Pasqua e poi tutti i mesi estivi. Anche senza covid, io – come un po’ tutti gli scrittori, credo – passo la maggior parte del tempo seduta al computer, a Pescasseroli come a Roma. Però poi la sera mi piace uscire con gli amici o invitarli a cena. Se sono in città, vado volentieri a teatro. Mi è mancata soprattutto questa socialità durante il covid. E’ triste cenare da soli. Ho sofferto forse per la prima volta di solitudine». Giorni in cui ha però scritto un nuovo romanzo, Trio, la storia di due donne innamorate dello stesso uomo, ma che restano amiche superando la gelosia. «La gelosia, oltre a essere un sentimento, è una forma culturale. Le mie protagoniste sono moderne, pre-illuministe. Anticipano un nuovo modo di stare al mondo e quindi di “sentire”. Sulla gelosia vince la ragione, vince il senso dell’amicizia, più forte dell’amore». Agata e Annuzza vivono nella Sicilia del 1743, che fu anche l’anno della peste. «Peste o coronavirus, i sentimenti che un’epidemia scatena sono sempre gli stessi: la paura, il sospetto verso l’altro, la chiusura…»

Topazia Alliata e Fosco Maraini da giovani

E ora nel suo buen retiro sta scrivendo un nuovo libro, doloroso, autobiografico, in cui rievova il periodo termendo passato in un campo di concentramento giapponese, durante la guerra. Aveva sette anni e ricorda tutto precisamente, la fame, il terrore. «Non è un caso che io abbia aspettato tanto a scriverlo…» Accadde durante la seconda guerra mondiale. Suo padre, Fosco Maraini, il grande orientalista, antropologo, scrittore, e sua madre Topazia Alliata, pittrice e gallerista, l’8 settembre del 1943 si trovavano a Tokyo, in un paese cioè alleato di Mussolini, e rifiutarono eroicamente di aderire alla Repubblica di Salò. C’è molto di Fosco nel personaggio maschile di Trio, il fascino irresistibile, la sua imprendibilità, il suo essere costantemente altrove.

«La responsabilità ricadeva sempre su mia madre» evoca Dacia. «Lei garantiva, a costo di enormi sacrifici, la sopravvivenza sua e delle tre figlie. Rappresentava la stabilità, esistenziale come economica». Le manca molto Topazia, scomparsa cinque anni fa, quando Dacia aveva già perduto, nel 2008, il compagno Giuseppe Moretti di soli quarantasette anni. Le chiedo se si considera una donna forte, forte come sua madre che una volta proprio lei, Dacia, ha definito di un “coraggio leonino”.

«Non lo so se sono forte. E poi che cos’è la forza? Mi considero piuttosto una combattente. Non mi arrendo. Se c’è una difficoltà, l’affronto».

Al bar

Maraini è una persona socievole e ospitale. In paese la conoscono tutti. Si fermano a salutarla, la invitano al bar. L’hanno anche insignita della cittadinanza onoraria. «Non è stato immediato» racconta. «E’ gente di montagna, bisogna conquistarne la fiducia un po’ per volta. Ma mi sono inserita bene, anche con iniziative culturali che sono molto seguite». Letture di libri, il festival letterario «Pescasseroli legge», e soprattutto un premio, ora alla quindicesima edizione, intitolato a Benedetto Croce, nato qui nel 1866. I vincitori di quest’anno, quindicesima edizione, sono Silvia Ballestra per la narrativa, Walter Barberis per la saggistica, Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo per la letteratura giornalistica.

Ho sempre avuto una curiosità: da dove viene il nome Dacia (a me fa venire in mente la dacia russa)? «Non c’entra niente! E’ un antico nome romano. Nel duomo di Pisa, da dove viene la famiglia di mia madre, c’è un ritratto di San Dacio. E così è diventato un nome di famiglia, insieme a tante Marianna, Fiammetta, Signoretto…» Ma declinato al femminile, questo nome, ce l’ha soltanto lei.

 

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7 Comments
  • Annamaria Vanalesti
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    Solo Sandra Petrignani sa scrivere così meravigliosamente di un’altra scrittrice. Le vedo bene vicine Sandra e Dacia, che io ben conosco, mentre si parlano con uguale spontaneità e semplicità, perché abitano entrambe lo stesso spazio ideale della scrittura.

    18 Agosto 2020 at 23:25
  • guido villa
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    Un articolo ed “intervista quasi rubata” emozionante, ad iniziare dal titolo che rimanda ad una parte della tua letteratura cosi’ affascinante, quindi due mondi che si intrecciano.
    Scrittrice che ammiro molto che scrive su scrittrice amatissima dal 1962 quando lessi “La Vacanza”, da allora letto quasi tutto di suo, incluso libri di suo padre, madre e sorella, insomma tutto quel che concerneva a lei, figura che mi ha accompagnato tutta la vita, non solo come scrittrice ma personaggio di grandi qualita’. morali e sociali.
    Bellissima la foto “al bar”, la salvo in una mia cartella speciale, difficile dirti quanto sarei stato felice di passare in quel momento, mi accontento di questo tuo bellissimo scritto, grazie di cuore.

    19 Agosto 2020 at 09:39
  • Rossella Rossini
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    Grazie a Sandra Petrignani, scrittrice che sempre leggo con grande piacere ed empatia, per avere condiviso questo suo incontro con un’altra scrittrice che da sempre leggo e ammiro. “La scrittrice abita qui” si arricchisce con nuovi tasselli e nuove storie e il dolcissimo sottofondo musicale ci accompagna in nuovi territori e in nuove semplici, belle avventure…

    20 Agosto 2020 at 01:13
  • Joanna Di Michele
    Rispondi

    A leggere di queste realtà , mi si riempie il cuore di bellezza

    23 Agosto 2020 at 17:30

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