Il Meridiano Dacia Maraini (IlFoglio, 17 dicembre ’21)

Il Meridiano Dacia Maraini (IlFoglio, 17 dicembre ’21)

Dacia Maraini

Basterebbero alcuni titoli per capire quanto sia centrale l’infanzia nell’immaginario di Dacia Maraini: Viollca la bambina albanese, La bambina e il sognatore, Il bambino Alberto, le interviste sull’infanzia E tu chi eri?  Più i tanti bambini che s’incontrano nelle sue pagine, come quelli abusati dei racconti raccolti in Buio, con cui vinse il premio Strega nel 1999. All’inizio del romanzo più famoso, Marianna Ucrìa ha solo tredici anni, e ne ha dodici Chiara di Assisi, protagonista di un Elogio della disubbidienza. E poi c’è lei stessa, la Dacia di Bagheria, una ragazzina di nove anni con «i capelli corti, quasi bianchi tanto erano biondi, le scarpe da tennis rosse» che sulla nave del ritorno dal Giappone, nel 1946, viene accarezzata da un marine americano cui piace troppo perché gli ricorda la figlioletta lontana. Ma lei fugge rischiando di farsi male, e così almeno si mette in salvo a differenza di quanto succede a tanti altri suoi piccoli personaggi, e capisce «qualcosa dell’amore paterno, così tenero e lascivo a un tempo, così prepotente e delicato».

La lunga vita di Marianna Ucrìa e Bagheria sono fra i testi compresi nel Meridiano Mondadori che ora celebra l’opera della scrittrice, nata a Firenze da padre toscano e madre palermitana, per la cura di Paolo Di Paolo e di Eugenio Murrali. Non poteva esserci tutto in questo volume (che forse è solo primo), non poteva esserci il tanto che Maraini ha scritto anche per il teatro, e le poesie e i molti saggi, testimonianza di un impegno sociale lungo e coerente, dalla parte delle donne e degli umili. Ma ci sono – oltre al molto altro – i due potenti primi romanzi, La vacanza e L’età del malessere in cui con giovane voce un po’ afasica esprime il disagio di stare al mondo, il disorientamento sentimentale e sessuale di due giovanissime protagoniste colte nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta. E c’è Isolina in cui Maraini ricostruisce il terribile caso d’inizio ‘900 di una giovane donna uccisa e fatta a pezzi dall’amante perché era rimasta incinta. Eppure tanta contemplazione del male nei suoi libri non elimina, come nota giustamente Di Paolo nell’introduzione, «quello spirito energico, libertario, ottimista e giocoso che connota il suo modo di stare al mondo», quel suo «cor gentil», come scrisse una volta di lei Claudio Magris, che «s’intravvede anche in certi suoi timidi e luminosi sorrisi, in una ritrosia quasi imbarazzata dinanzi alla vita, alle sue emozioni e ai suoi doni». Una vita luminosa, sì, ricca di doni, certo, ma anche segnata da esperienze dure e insopportabili lutti. L’ottima cronologia di Di Paolo e Murrali rivela episodi poco noti che aiutano a ricostruire il disegno di una vita fuori dagli schemi, che nulla ha concesso a scontati e compromissori riti letterari. Il campo di concentramento in Giappone da piccola, la perdita di persone fondamentali e amatissime, l’esistenza di un diario che – per volontà dell’autrice – verrà pubblicato solo passati vent’anni dalla sua scomparsa. Di dolore e perdita parla per esempio in uno dei libri che personalmente amo di più, Dolce per sé, del 1997, e mi fa piacere che anche Di Paolo lo giudichi «una delle prove più esemplari benché più trascurate», anche se purtroppo non è compreso in questo volume.

C’è poi una vicenda particolarmente dolorosa che ha segnato la giovinezza della scrittrice e da lei raccontata in modi diversi in più di un libro (sicuramente in Un clandestino a bordo e in Corpo felice) che ancora una volta ha un legame con maternità e infanzia. È la perdita di un bambino al settimo mese di gravidanza con la conseguente impossibilità di rimanere di nuovo incinta. È una tragedia enorme nella vita di una donna e lei aveva solo venticinque anni. E adesso, rileggendo i suoi libri grazie a questo meritato Meridiano, mi viene da pensare che forse c’è nel viso di Dacia, nei suoi occhi azzurri scintillanti incapaci di invecchiare, la presenza costante di un bambino perduto che ha voluto comunque in qualche modo tenere con sé.

 

 

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