Una mostra che celebra Bloomsbury (Immaginazione 333)
Si è aperta a Roma il 26 ottobre nel magnifico Palazzo Altemps e chiuderà il 12 febbraio la mostra Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing life, nata da un’idea di Nadia Fusini, che ne ha curato la realizzazione con l’artista e scrittore Luca Scarlini. Si entra nel cortile del Palazzo, si ammirano le arcate superiori, si sale una scala. Ed eccoci nella vita “inventata” dei bloomsburiani in una serie di sale dove troviamo i ritratti di Virginia fatti dalla sorella pittrice, Vanessa Bell, o da altri amici artisti o artisti parenti e amici di amici. Pitture che non celebrano solo lei, ma suo marito Leonard Woolf, per esempio, o la mecenate dal ghigno acidissimo Lady Ottoline Morrell, e lo storico dell’arte Roger Fry… tutti straordinariamente belli, almeno i maschi, spettinati, segnati dalle rughe, dall’espressione assorta e intelligente.
Era così il gruppo di Bloomsbury: legato da sotterranee parentele non necessariamente anagrafiche, ma più forti di quelle di sangue. Diceva l’americana Dorothy Parker con la sua aspra e affettuosa ironia: «Quelli di Charleston dipingono in circolo e si amano in triangolo». E Charleston era il tempio di Bloomsbury, la casa di campagna di Vanessa e Duncan Grant, suo compagno, ma anche compagno di altri uomini (era prevalentemente omosessuale come tanti bloomsburiani), due per tutti: J. Maynard Keynes, l’economista, una delle menti più brillanti – e non solo di Bloomsbury – e lo scrittore David Garnett. Quasi tutti in quel gruppo – uomini e donne, omosessuali o meno – erano sposati e con figli, ma capaci di tenere a bada gelosie e incoerenze sentimentali. Perché il più autentico disegno delle loro vite era e restava artistico, e per come concepivano l’arte, innovativo, e dunque fuori dagli schemi.
C’è un quadro, subito nella prima sala della mostra, che li raffigura tutti insieme, proprio in circolo come dice Parker, ma non stanno dipingendo: parlano. Altra grande attività, che doveva essere carica di reciproche stoccate e di ironia, idee geniali buttate lì come fossero pettegolezzi, provocazioni, progetti. I bloomsburiani sono seduti su poltrone e divani. Sono in undici. Si riconosce Virginia e quella di spalle col cappello potrebbe essere Katherine Mansfield in visita (non era una bloomsburiana doc), poi c’è la pittrice Dora Carrington dai biondi capelli a caschetto, una sciupamaschi perdutamente innamorata – fino a suicidarsi quando lui morì (di cancro) – di un altro incorreggibile omosessuale, Lytton Strachey, che le aveva comunque concesso di vivergli accanto. E naturalmente Roger e Duncan…
In un’altra sala si può ammirare qualcosa delle creazioni d’arte applicata Omega Workshop. Da un’idea di Fry con Vanessa e Duncan: un laboratorio che fondarono nel 1913 in clamorosa rottura con la tradizione: oggetti semplici, basic potremmo dire, ma decorati con fantasia bloomsburiana. Ecco dentro vetrinette una collezione di piatti severissimi, sul grigio, completamente privi di particolari sagomature o decorazioni. La severità è senz’altro una cifra di Omega, ma bisogna andare a visitare Charleston e Monk’s House (la casa nel Sussex dei Woolf) per farsene un’idea più precisa. Perché è qui che ritroviamo la magia di una semplicità monacale e minimale (soprattutto a Monk’s) unita all’esplosione di colori e geometrie impreviste (soprattutto a Charleston). Tavolini maiolicati, rigidi schienali accesi di sfere dorate, lampadari ricavati da scolapiatti allegramente verniciati, caminetti “illustrati” con mitici personaggi a guardia di zuppiere fumanti o mazzi di fiori. Ma qui il gusto Omega incontra la libera, femminile fantasia di Vanessa…
Gira gira, si torna sempre a loro due. La sorella scrittrice, dalla sessualità repressa; la sorella pittrice, disinibita e generosamente aperta a ogni esperienza: madre, amante, compagna, capace di tenere insieme nella sua solarità accogliente non solo pezzi della propria vita disordinata, ma quel gruppo di pazzi bloomsburiani.
Certo non basta una mostra a spiegare e raccontare tutto. Ma in questo caso, il caso dell’esposizione romana, c’è un fondamentale catalogo (edito da Electa) che non si limita a essere illustrativo e riepilogativo dell’evento: offre anche una raccolta di saggi sicuramente indispensabili, per lo meno a chi si avvicinasse al mondo di Bloomsbury per la prima volta. Sono firmati per la maggior parte da Fusini e Scarlini, ma anche da Liliana Rampello, Lia Giachero, Tomaso Montanari, Sara De Simone, Pietro Boitani e Giorgio La Malfa (che si occupa di Maynard Keynes). Come si usa dire: da non perdere.