Le scuse di chi? (Il Foglio, 17/11/23)
Il fantasma di una madre, anzi della Madre, si aggira in questo libro. Si affaccia discreto ogni tanto, con piccoli gesti o persino con assenze significative, dice frasi destinate a scolpirsi nell’inconscio della figlia, soprattutto disapprova. Non è mai centrale il suo personaggio, mai preso veramente di petto. È come un fastidio, la puntura di una zanzara, irritante, subdolo. Il libro (un romanzo, un saggio?) s’intitola Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa, edito da Rizzoli e, visto che vi si parla molto di violenza sessuale, stupri, MeToo, il lettore è portato a pensare che le scuse attese siano quelle degli uomini verso le donne che hanno offeso. Invece no. È solo alla fine che sapremo chi deve delle scuse a chi e ci si arriva in un crescendo che effettivamente giustifica la definizione di “romanzo”: c’è trama, ci sono personaggi, ricordi, garbugli sentimentali, gioia e dolore. Ma tutto questo è sostenuto dalla costante riflessione che Anna, la giornalista radiofonica protagonista della storia, porta avanti su se stessa quando deve tenere un corso sull’ “Eredità del MeToo” agli studenti per un Master di Giornalismo.
Anna ha più o meno 50 anni, fa la giornalista da quando aveva l’età dei suoi studenti, vive a Parigi dove è approdata per amore (o disamore, forse) e si è trovata a seguire per lavoro diversi casi eclatanti di violenza sessuale. Ma non è solo dei vari Harvey Weinstein e Jeffrey Epstein che parla in classe. Cerca un confronto diretto con quelle giovani menti, femminili e maschili, e intanto pensa ai propri comportamenti, i suoi personali rapporti con gli uomini, da quella volta che un professore a scuola, quando aveva 11 anni, le aveva messo di nascosto una mano sul sedere. E lei non aveva reagito. Così come, in seguito, nelle sue vicende sessuali con i maschi incontrati negli anni, aveva a volte consentito a rapporti fisici di cui non era convinta. Per quieto vivere, per non offendere, perché meno complicato acconsentire che ritirarsi a cose iniziate.
E allora la vera domanda è questa: che cos’è il consenso? Come fa un uomo (chiede uno studente) a essere sicuro che la femmina ricambia il desiderio, che davvero ci sta, che non sentirà una forzatura da parte dell’altro fino a vivere il rapporto come uno stupro? Mica si può fare l’amore mettendo in mezzo la carta bollata ogni volta… Ed è seguendo le riflessioni articolate di Anna coi ragazzi e con se stessa che il libro diventa saggio filosofico portando in luce la verità che c’è dietro alle denunce del MeToo. C’è una radicata, diffusa, micidiale insicurezza femminile, dovuta a secoli di dominio maschile sulla società in generale e sulle leggi del desiderio in particolare, difficile da esitirpare persino dopo le tante denunce, a volte sproporzionate.
E da dove viene questa insicurezza? Dalla sottomissione che le madri hanno passato alle figlie, dal loro non vedere le forze in campo, dal loro non stare – troppo spesso – dalla parte delle figlie, dal non averle abbastanza amate.
In questi ragionamenti si passa dalle fiabe, le Belle Addormentate, i Cappuccetti Rossi… alla grandezza del pensiero di Hannah Arendt, si ripercorre la cronaca di vicende antiche e recenti, si cercano ragioni non ovvie, si scava nell’inconscio. E si trova la ragione per cui gli uomini hanno verso le donne una loro cecità: non ne ascoltano le parole, le guardano, le apprezzano fisicamente, ma con estrema difficoltà sentono il bisogno di ascoltarle sul serio, sia quando oppongono un rifiuto al desiderio maschile sia quando esprimono un pensiero intellettuale. E allora, fra madri che non vedono e uomini che non ascoltano, dove può una donna trovare la forza per credere in se stessa?