Kundera al Lutetia (Immaginazione n. 304 marzo/aprile 2018)
C’è un albergo a Parigi che si chiama Hotel Lutetia. E’ in Saint Germain des Près. La sua struttura mastodontica domina il boulevard Raspail. All’interno, gli arredi sono ancora quelli Art Déco, almeno lo erano fino all’attuale ristrutturazione che si potrà ammirare a giorni quando, con la primavera, l’edificio verrà riaperto al pubblico. Speriamo che la sua fisionomia resti intatta, malgrado le innovazioni annunciate sul sito (terme, fitness: solite cose oggi imprescindibili). Ma insomma, mi sono ritrovata fra le mani un romanzo di Pierre Assouline – autore anche di una splendida biografia di Simenon – che s’intitola proprio Hotel Lutetia ed è stato tradotto da noi (il libro è del 2005) dalla deliziosa casa editrice Portaparole. E’ un romanzo storico che ricostruisce il periodo dell’occupazione tedesca dell’albergo durante l’ultima guerra. Ma non è di questo libro che volevo parlare adesso, bensì del suo ruolo di madeleine nel suscitare in me un ricordo di diversi anni fa, una quindicina almeno.
Mi trovavo nella sala a pianterreno dell’albergo in compagnia di una scrittrice francese, Yasmina Reza. La stavo intervistando per un suo libro, Una desolazione, e ce ne stavamo a sorseggiare tè in quei comodissimi divani di velluto rosso del Lutetia (e speriamo che non li abbiano sostituiti). Per inciso: apprezzo la Reza più per la sua narrativa che per il suo teatro, invece lei è famosa soprattutto come commediografa, anche grazie alla mediazione del cinema (ma Carnage di Polanski, tratto da una sua pièce, non è dei migliori). Insomma, eravamo su quei divani avvolgenti, setosi, quando si materializza dietro di lei la figura di un uomo affascinante, dai capelli bianchi e i sopraccigli cespugliosi che si china ad abbracciarla da dietro lo schienale. Breve scambio di parole fra loro e poi lui dice che deve andare al bar, perché ha un appuntamento, saluta l’amica e si allontana. E’ stato tutto molto rapido. Io paralizzata sul divano. Fortuna che Reza non ha avuto il tempo di presentarmelo. Mi rilasso. Era Milan Kundera.
E allora, direte, non avevi voglia di stringere la mano a Milan Kundera? Oh, sì, ne avevo voglia. Solo che… solo che io… a Kundera, qualche tempo prima, avevo dato buca, ecco. Involontariamente, ma era accaduto proprio questo. Mi trovavo da un mese nella capitale francese e all’Adelphi, suo editore italiano, me ne avevano dato il numero di telefono, nel caso avessi voluto provare a intervistarlo. Kundera era per me un mito così risplendente che di giorno in giorno rimandavo la telefonata, per timidezza, per indecisione. Mi avevano detto che non amava le interviste, e non volevo andarmi a procurare una delusione. Poi, l’ultimo fine settimana di permanenza a Parigi, ho telefonato. E lui ha risposto. Si sentiva Mozart in sottofondo. Devo aver biascicato che ero una scrittrice italiana, che avrei voluto conoscerlo, che sapevo però che lui era persona riservata, che non volevo disturbarlo, che i suoi libri per me erano importantissimi, cose così. Lui mi disse: Accidenti, stavo proprio per mettermi in macchina, perché nei week-end vado sempre in campagna. Però, va bene, posso rimandare di qualche ora… Ok, ci vediamo alle 11 (era venerdì mattina) «au Fontaine Saint-Michel». Solo che io, confusa ed emozionata, capisco fischi per fiaschi. Capisco «à la fontaine de Saint-Michel», e capisco così (questo l’ho realizzato dopo, ripensandoci), perché, nella mia giovinezza, ci davamo sempre gli appuntamenti fra amici «davanti alla fontana» che apre il viale di Saint-Michel. E così quel venerdì, me ne sono stata mezz’ora, e poi ancora un quarto d’ora a intirizzirmi davanti alla fontana, e mi arrivavano gli spruzzi sulla schiena, perché mi ero seduta sul bordo, e spiavo i tratti di ogni passante. Poi, improvvisa, la folgorazione. Nessun francese darebbe mai un appuntamento davanti a una fontana. Dove si danno gli appuntamenti a Parigi? Ma al caffè, è ovvio! E anche se Kundera è ceko, aveva avuto tutto il tempo di farsi francese. Disperata mi guardo intorno, percorro pochi metri sul viale ed eccolo là: il Caffè Fontaine Saint-Michel, dietro l’angolo! Trafelata mi precipito dentro. Il locale è vuoto. Mi si avvicina allarmato un cameriere. Gli chiedo se per caso si è visto Milan Kundera. Sì, risponde, è un nostro cliente, è andato via dieci minuti fa.
Ecco tutto. Ecco perché Milan Kundera ho preferito non conoscerlo. Non ho detto niente alla Reza, né a nessun’altro. Ora è passato tanto tempo: posso confessare la mia ignominia. E anche che mi sembrò terribilmente significativo, in quel luogo dove sono passati Hemingway, Gide, Joyce, Beckett, parlare con Yasmine Reza di Una desolazione. Per me era la desolazione di aver perso per la seconda volta l’occasione di conoscere Kundera. Al Lutetia!