Recensione a “La stazione termale” (L’Unità, 25/3/12)

Recensione a “La stazione termale” (L’Unità, 25/3/12)

Ginevra Bompiani

«E’ terribile non essere amati, pensa l’amica pensando alla bambina, è terribile non essere primi nell’amore di nessuno». Il pensiero è di Lucia, una delle protagoniste de La stazione termale di Ginevra Bompiani (Sellerio): il suo universo si divide in queste due grandi categorie, i fortunati che sono stati molto amati da piccoli e quelli che non sono mai stati oggetto di tale scelta amorosa. Le dinamiche del carattere e delle relazioni adulte dipendono da questa fondamentale variante. Intorno a pensieri così, fugaci, rapidi e radicatissimi perché veri, viene tessuto un racconto enigmatico – per quanto la scrittura è limpida – dove a poco a poco lo spostamento l’una verso l’altra di tre donne di varia età, ma tutte sopra i 50, e di una bambina grande, compone un disegno segreto, bello come una ragnatela di seta, come una danza tranquilla, come lo snodarsi di una rivelazione nascosta in un mosaico nel suo farsi.

Giuseppina, la più anziana, estroversa e sicura della propria avvenenza passata, ma sempre attiva, si aiuta senza sensi di colpa sottoponendosi, nella stazione termale, a trattamenti corporei piacevoli e certe volte invasivi. Capisce i segreti delle altre e li rispetta tenendosi ai margini, quasi il suo mondo di molto amata non potesse interferire più di tanto con quello dolente delle amiche; può solo maternamente proteggerle, nutrirle con ottimismo e schiettezza. Ma Emma e Lucia devono vedersela da sole con la paura di invecchiare, di avere un male incurabile, di perdere uomini inutilmente adorati e non adoranti, di vincere le resistenze ideologiche verso quei trattamenti fastidiosi e illusori, capaci di prolungare per sei mesi, non uno di più, un po’ di residua freschezza. «Anche i disamati conquistano la terra. Ma gli amati, come Giuseppina, la conquistano in volo; i disamati a nuoto» pensa Lucia, coscienza inquieta del gruppo.

Eh, sì, fa una certa differenza. Ed è quello che va valutando anche Lucy, la bambina sul crinale dell’adolescenza che vorrebbe divertirsi con i fusti intravisti in piscina, subito scomparsi, e costretta invece dalle circostanze alla compagnia adulta di donne bislacche, festose e malinconiche, attraenti, misteriose. Oscuramente avverte che sono il suo destino declinato in modi diversi e che, osservandole, potrà decidere qualcosa di sé, per sé, anche lei segnata dalla propria infanzia di figlia adottiva e proveniente da un Paese, la Cina, che le neonate femmine le getta come niente nei pozzi per far posto ai maschi.

La materia del libro è incandescente, i temi pesanti, pende una minaccia concreta che è la fragilità dei corpi invecchiati e la fine della vita. Come fa Ginevra Bompiani a tenere invece un passo fluttuante, una leggerezza felicemente Liberty, una lingua sobria? Un po’ Robert Walser, un po’ Virginia Woolf, ma soprattutto se stessa: scrittura intelligente dove tutto torna come in un bel teorema matematico e tutto però può essere improvvisamente sconvolto da una forza incontrollabile, pericolosa eppure consolante: l’erotismo. Ne sono impastati i suoi  personaggi, corpi e pensieri, in ogni gesto e in ogni sguardo, sempre in contraddizione, sempre divisi nel «vorrei e non vorrei» della Zerlina mozartiana. «Amare vuol dire dare quel che non si è mai ricevuto a qualcuno che non lo vuole» sosteneva Lacan citato in epigrafe. Oppure (lo pensa Lucia): «chi ama è in errore, mentre chi non ama è in colpa». E allora come mai risuccede ogni volta, anche fuori tempo massimo? Così, quando Lucia ed Emma si trovano sole sotto la pioggia galeotta durante una passeggiata, ecco la rivelazione dal suono vagamente zen: «Tutto può accadere, com’è bello finché nulla accade».

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