Tutti i racconti di Luce D’Eramo (Il Foglio, 23/11/13)
Come chi ha una grande storia, vera, da raccontare, Luce D’Eramo ha fiducia nel realismo. Il dialogo è la spina dorsale del suo narrare. I suoi romanzi sono fitti di dialoghi, naturalistici, precisi, spontanei. E così i suoi racconti, ora raccolti in un bel volume della Elliot, Tutti i racconti, 380 pagine, 25 euro, alcuni completamente inediti, a partire dal 1943, quando Luce aveva diciott’anni fino quasi alla morte, avvenuta a Roma il 6 marzo del 2001. Ed è forse proprio da un lontano scritto del ‘43, Il coraggio del diavolo, che bisogna partire per capirla. Lo suggerisce anche la curatrice Cecilia Bello Minciacchi nella sua chiara introduzione. Non si tratta di un vero racconto, è più una riflessione filosofica sull’esistenza/non esistenza di Dio, sul Bene e sul Male (contrapposizione che confuta) e una dichiarazione di poetica: perché c’è tutta Luce dentro, la ragazza che era, la scrittrice che sarà, il suo bisogno di sfida, il suo coraggio, la fiducia nel pensiero e nella scrittura, l’originalità.
Non lo volle pubblicare allora, quello scritto, e nemmeno successivamente. Però, organizzando i suoi racconti alla fine della vita, lo incluse con una nota del ‘59 che non lo smentisce, ma lo rende più profondo. «Soltanto Gesù Cristo ha capito l’incompatibilità fra Dio e l’uomo… si è addossato l’intera responsabilità dell’assenza di Dio: si è caricato di tutto il dolore possibile all’uomo e con questo dolore ha crocefisso Dio» vi si legge. E vi si legge anche che «Dio si paga» come dimostra la (dis)avventura del grande ribelle, il Diavolo, Lucifero. E, forse, quella della stessa D’Eramo.
Mi sembra che lo testimoni, infatti, anche la sua biografia. Giovane fascista convinta, Luce vuole verificare di persona se le voci che circolano sui nazisti sono reali e nel ‘44 parte per la Germania, contro il parere dei genitori, per fare l’operaia in un campo di lavoro dove comincia a vedere la realtà con i propri occhi e a ricredersi. Non contenta, s’insinua in un convoglio di deportati a Dachau dove scopre l’inimmaginabile verità. Dal lager riesce a fuggire; ma non l’attende la libertà. Durante un bombardamento perde l’uso delle gambe per il crollo di un muro, mentre tentava di salvare altre vittime. Questa è la vicenda straordinaria che narra nel suo romanzo più potente, commovente, indimenticabile, l’autobiografico Deviazione (Mondadori, 1979) che divenne subito un best-seller. Per poi, come accade agli autori di libri-monumento, rimanere inchiodata a un unico titolo senza più ottenere un’analoga attenzione per il resto del lavoro, che nel suo caso fu vasto, serissimo, sempre dettato dal gusto della ricerca letteraria e non dalla ripetizione di un risultato raggiunto.
Ne sono una prova questi racconti che arrivano fino al ‘99. Racconti che si muovono dall’autobiografia alla fiction, dalle storie di guerra alla fantascienza (anche Partiranno, romanzo dell’86, uscito da Mondadori, è classificabile nel genere fantascienza e l’autrice vi era particolarmente legata). Soprattutto parlano di una grossa vocazione filosofica, di quell’impegno sull’uomo, per l’uomo, mediato dal suo maestro Ignazio Silone e mai trascurato. Ma senza moralismi. E se Silone si era definito «un cristiano senza chiesa» probabilmente la D’Eramo non si sarebbe dispiaciuta a essere definita «religiosa senza credo» attratta da quelle personalità spirituali, come Simone Weil, come Hetty Hillesum, che declinarono in modo indipendente e coraggioso la ricerca del divino, facendone qualcosa di concreto e terreno. Alla Hillesum, si legge in una nota biografica che accompagna Tutti i racconti, Luce progettava di dedicare uno studio rimasto incompiuto. Possiamo immaginare che sarebbe stato qualcosa di speciale e grande quanto Deviazione, totalmente nelle sue corde di pensatrice fuori dalla norma. Ma atteniamoci a quel che ci rimane del suo scrivere, a questi racconti che ci lasciano la forza di tanti personaggi veri, come persone che potremmo aver incontrato, dialoghi che potremmo avere ascoltato, storie dure e commoventi che parlano, ogni volta, di quelle determinate persone, di quelle determinate vicende e insieme della storia dell’umanità, di una possibile salvezza – o qualcosa del genere – tutta terrena, tutta decisa nella relazione fra gli esseri.
C’è senz’altro qualcosa di molto inattuale in tanta “fiducia nell’umanità nonostante tutto”, in tempi scoraggiati quali sono i nostri, che trovano – anche in letteratura – punti di fuga in un’inafferabile “leggerezza”, per definire così la quantità di romanzi centrati su un’idea a effetto più che su una necessità profonda dell’autore. La scrittura di Luce D’Eramo invece parla a ogni riga di sostanziale necessità, di duri conti fatti con se stessi e – se vogliamo – con quell’entità extraumana e extracorporea che possiamo chiamare Dio. Naturalmente senza crederci. Perché, comunque, tornando alla Weil: bisogna credere in Dio, come se esistesse. Per dare senso al nostro enigmatico passaggio (di miscredenti).