Vite rubate, e restituite (Il Foglio 7/7/21)
Il più bel ritratto dei molti disegnati da Eugenio Baroncelli è dedicato a Robert Walser, splendidamente descritto da Walter Benjamin come qualcuno che «comincia dove finiscono le fiabe», sia che si dedicasse al giardinaggio o a giocare a biliardo con se stesso o a pulire verdura in cucina o a non fare assolutamente nulla. Nel capitolo ispirato a Ernest Hemingway, Baroncelli definisce così la scrittura: «quella ricompensa, vagamente viziosa, che si concede chi la vita non sa vivere». Siamo nel suo nuovo Libro dei furti, che racconta «301 vite rubate alla mia» e divaga con una grazia solo sua fra esistenze vere o presunte per fermare i personaggi (Montale, Puškin, Edgarda, Lolita…) in un’immagine, una posa, un ghigno. Insomma, Baroncelli ruba agli altri e poi li accusa di rubare a lui, ma fa parte del gioco, l’incantatorio gioco letterario di uno che forse «la vita non sa vivere», ma della scrittura ha capito molte cose. Che non si è obbligati, per esempio, a costringerla in un’unica trama. Anzi succedono molti fatti inaspettati e preziosi, quando le trame si moltiplicano e si va a briglia sciolta da un destino all’altro, facendo un po’ di autobiografia anche, e mescolando versi e prosa o ponendo indovinelli al lettore, magari accomunando Gadda e Kafka solo perché «tutti e due ingannarono il tempo che c’inganna».
Ma quante cose bisogna sapere per godere del capitoletto di cinque righe dedicato a Natalia Ginzburg: «Credette nelle cose, poche, che possiamo strappare al vuoto della vita: baffi, bottoni. Credette nelle scarpe […] che si fanno molli e informi per deludere la fede sparagnina della nonna di Camus». Bisogna sapere, per dire, che Natalia nelle Voci della sera parla dell’«anima dei bottoni» e che, in un suo racconto c’era un uomo coi baffi bianchi che le metteva paura e che un’altra sua novella s’intitolava Le scarpe rotte, e che Camus giocava a calcio nel ruolo di portiere su consiglio di sua nonna (perché in porta le scarpe si conusumano meno e non è che avessero da scialare i Camus….) Per Tommaso Landolfi, invece, basta questa frase lapidaria: «È morto da due secoli, ma ancora lascia la sua ombra».
I capitoli sono tantissimi disposti in 14, forse 15 parti. Forse? Sì, non c’è sicurezza nemmeno in questo! Non saprei se considerare come quindicesima parte, o se è solo uno scherzo ulteriore, l’elenco finale dei libri «di prossima pubblicazione» dell’autore. Titoli tipo Elogio delle erbacce che personalmente non vedo l’ora di leggere…