A zonzo per la Parigi degli scrittori (IlFoglio 22/10/21)

A zonzo per la Parigi degli scrittori (IlFoglio 22/10/21)

Parigi vanta 756 librerie, 72 biblioteche (sempre con zona bambini), 312 cinema, 144 musei, 1317 gallerie d’arte, 304 stazioni della metropolitana (più o meno una ogni 500 metri), 5728 ristoranti di ogni popolazione e paese del mondo (due sono di cucina uigura per dire). Sono notizie che traggo da un libro uscito recentemente dalla Perrone ed., A Parigi. Da Hemingway a Cortázar (181 pagine, 15 euro) e l’autore è uno scrittore poco più che quarantenne che frequento fin da piccolo, Nicola Ravera Rafele. E siccome proprio Parigi è stata spesso lo scenario di una infanzia (diciamo a partire dai suoi dieci anni più o meno) vista da vicino, adesso leggere questo suo attraente volumetto su questa città mi ha emozionato particolarmente. Ricordo tutte le volte che con i suoi genitori lasciavamo i pargoli (Nicola è credo il più “vecchio” amico di mio figlio) nella zona bambini in mezzo a palloncini colorati e vari libri e giocattoli, sotto lo sguardo di clown dal naso rosso che li intrattenevano gioiosamente. E “noi grandi”, per parafrasare un libro (Voi grandi) di sua madre, Lidia Ravera, ci prendevamo il nostro tempo dentro il Centre Pompidou o alla Villette, e pensavamo a quanto era bello essere francesi, anzi parigini, per i quali – in circostanze del genere – avere bambini piccoli non è una palla al piede, anzi un modo per farli divertire. In Italia niente del genere allora e, temo, neppure oggi.

Ma insomma quel ragazzino, quando è arrivato all’adolescenza, ci ha stupito tutti con un delizioso libro d’esordio, Infatti, purtroppo. Diario di un quindicenne perplesso (Theoria) in cui raccontava le sue avventure al liceo Mamiani. Poi, anni dopo, sono venute le prove più serie, nel 2014 Ultimo requiem (scritto per la Longanesi col padre Mimmo Rafele) e con Fandango due romanzi di piena maturità che si sono fatti notare, Il senso della lotta (selezionato nella dozzina Strega) e Tutto questo tempo. Ma adesso dismetto i panni della “zia” e vi dico perché questo A Parigi è una guida che ha catturato la turista letteraria che sono e che, pur frequentando Parigi da prima che Nicola Ravera Rafele nascesse, ha scoperto grazie a lui nuove cose e nuovi… indirizzi di scrittori. Innanzitutto, l’autore nota che «Parigi è piccola… compatta e razionale», e questo rende più facile la flânerie, quel vagabondaggio cittadino che lì viene così bene, anche perché c’è sempre a disposizione uno dei suoi innumerevoli, frequentatissimi caffè o bistrôt pronti ad accogliere il camminatore (a proposito l’origine russa della parola bistrôt mi mancava).

Nicola Ravera Rafele

Camminatore che si sarà imbattuto a ogni passo, girandolando nel centro e non solo, in una delle infinite targhe – vera ossessione parigina – che ricordano qualcosa o qualcuno. Tanto che, ci racconta l’autore, a un certo punto è nato in città un collettivo iconoclasta che si è messo a contestare le targhe storiche affiggendone di nuove in cui era segnalata l’abitazione di qualche sconosciuto, oppure, la più bella: «Qui non è successo niente».

E però a Nicola le targhe non dispiacciono e se ci segnala gli indirizzi degli amatissimi scrittori del titolo, Hemingway e Cortázar, accompagnando le sue passeggiate con tante citazioni, scopre anche che a Parigi è nato (dentro l’ambasciata inglese però) il più british dei romanzieri, Somerset Maugham, perché la famiglia era di passaggio in Francia, e poi segue una lunga passeggiata incantata di Anna Maria Ortese, incontra al Marais i Bobò (i bourgeois-bohemien di oggi), si ficca in un Museo della Magia, ascolta la musica di Paolo Conte (ricordate: Parigi?) e pure Giuseppe Verdi (Parigi, o cara, noi lasceremo…) Ma, soprattutto, guarda la città con gli occhi degli altri, da Tabucchi che ci ha vissuto a Kundera che ci vive, da Julien Green ad Agotha Kristof. Per arrivare alla fine davanti al murale commemorativo di Bansky sull’uscita di sicurezza del Bataclan, che ha riaperto dopo il sanguinoso attentato del novembre 2015. Perché, come dice un titolo di Vila-Matas, Parigi non finisce mai.

 

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