Chi sono i piccoli, chi i grandi? (IlFOGLIO, 24/3/1923)

Chi sono i piccoli, chi i grandi? (IlFOGLIO, 24/3/1923)

Gigi Malerba

Luigi Malerba aveva il dono di trattare da adulti i bambini e gli adulti da bambini. Era un narratore scherzoso che amava il buffo nella vita e nella scrittura, anche quando affrontava temi serissimi. Ha scritto molto per l’infanzia, deve essere stato un padre fantastico e ho il sospetto che molte sue favole siano nate al bordo dei lettini dei figli. Le sue Storiette e Mozziconi e Le galline pensierose (tutti fortunatamente ristampati da Quodlibet) sono stati un cult a casa mia e fra poco raggiungeranno la terza generazione di bambini intelligenti. Ottima perciò l’idea mondadoriana di proporre nuove versioni illustrate per i più piccoli. Fresco di stampa (dopo Il vermetto nero nero, proposto tre anni fa da Ideestortepaper con disegni di Rosa Lombardo) Pinocchio con gli stivali (Mondadori, 17 euro) con illustrazioni di Giulia Orecchia, particolarmente in sintonia col racconto. Vi si muove dentro Pinocchio, appunto, con le gambe di legno che fanno tric trac, ma è un Pinocchio che non ne vuole sapere di diventare bambino. A lui piace la natura burattina, gli piacciono le trasformazioni, fare il bullo, girovagare di qua e di là. Per cui, a un certo punto, se ne scappa dal libro di Collodi, esattamente al capitolo 36, quello in cui salva Geppetto e se stesso dal ventre della balena. Se ne scappa perché ne ha abbastanza di fate turchine e raccomandazioni di mettere la testa a posto.

E dove può scapparsene un burattino di fantasia? Nel mondo di altre fiabe, è ovvio, che spera di modificare a suo vantaggio. Ma tentare innovazioni è difficile là dentro esattamente come fuori. Aggrappati ai loro destini prevedibili, i celebri protagonisti non ne vogliono sapere di vivere una nuova avventura, diversa da trame stranote.  Né il Lupo cattivo né Cappuccetto Rosso, e neppure il Principe di Cenerentola. Il Gatto con gli Stivali, poi, non è per niente contento di finire nel sacco al posto del coniglio, ma quello stupido del mugnaio è l’unico che cede a Pinocchio grazie alla prospettiva di chissà quali fantomatici guadagni che il burattino gli garantisce. I fessi arrivisti s’incontrano dappertutto, pure nelle fiabe…

Non che Malerba volesse, scrivendo per i bambini, tormentarli con chissà quali insegnamenti e morale finale. Credo che il piacere che si prova leggendolo, anche nella forma “bassa” di queste storielle, sia dovuto soprattutto a una forma di contagio. Malerba doveva divertirsi un mondo scrivendole. Hai proprio la sensazione di sentirlo ridere sotto i baffi. Mi pare di vederlo scuotere leggermente le spalle soffocando una risata, stringere fra i denti la sua immancabile pipa. E chi legge gli ride appresso; m’immagino tanti papà e mamme, nonne, zie e baby-sitter che leggendo questa favoletta ai bambini non possono trattenersi dal ridere insieme a loro.

Poi c’è un’altra cosa da dire: non si capisce da che parte stia lo scrittore! Dalla parte di Pinocchio che vuole manomettere antiche storie amate da sempre dai bambini (attentissimi, per altro, a che non si sposti una virgola)? Da quella di Perrault, dei Grimm, di Straparola o Basile, gente aperta a variazioni e contaminazioni che praticarono per primi? Era uno scrittore innovativo Malerba, uno di quelli che negli anni ’60-‘70 s’incaricarono di rompere con schemi e trame prevedibili, per dare un respiro nuovo alla letteratura (pur conservando, lui, leggibilità e complicità col lettore). Eppure ho il sospetto che in questo caso stesse dalla parte di Perrault & C., insomma dalla propria parte, quella dell’autore, perché alla fine il suo Pinocchio viene rimandato dritto dritto al capitolo 36 di Collodi da cui aveva tentato di fuggire. Come saggiamente aveva detto Cappuccetto Rosso al burattino ribelle: «Devo passare per forza da questa parte». E perché? «Perché nella favola sta scritto così».

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