I bambini sanno (L’Immaginazione, maggio-giugno 2015)

I bambini sanno (L’Immaginazione, maggio-giugno 2015)

immC’è qualcosa nel nuovo film di Walter Veltroni, I bambini sanno, che lascia malissimo. Uscendo dall’Auditorium di Roma, dove si è tenuta un’anteprima affollata di celebrità, avevo ascoltato commenti irritati, decisamente negativi, quando non erano i «bellissimo, bellissimo» di prammatica clientelare. Bellissimo non si può proprio definire perché questo amaro che ti lascia in bocca e che ti mette a disagio appartiene a un’altra categoria dell’estetica, se vogliamo definirla così. Ho capito esattamente di che si trattava solo il giorno successivo, dopo sonni inquieti e quando la baldoria dell’anteprima, col suo stucchevole codazzo di c’era questo e c’era quello e paparazzi impazziti manco fossimo tornati ai tempi della Dolce Vita, si era esaurita. E’ un film che ci rivela la profonda tristezza dei bambini. E non basta la musica minimalista-soft di Danilo Rea (alla Ludovico Einaudi, per capirci) a stemperare la durezza di questa rivelazione: viviamo in un’epoca di bambini tristi, tristi e consapevoli della crudeltà della vita.

E’ questo dunque che sanno i bambini e che Veltroni vuole dirci: che la vita è un tunnel di confusione dolorosa? Sono sempre stati così consapevoli i bambini, almeno i più sfavoriti, e non ce ne eravamo accorti o è un primato tristemente contemporaneo? Bambini messi a confronto con genitori plurisposati, che perdono il conto di fratelli e sorelle sparsi in altre famiglie, bambini senza illusioni di Babbo Natale e che credono in Dio «un po’ sì e un po’ no» (come credono e non credono a Babbo Natale) perché non sanno sostanzialmente cosa farsene, bambini che reggono il peso di solitudini, fratelli handicappati, mancanza di sole e di mare, che in certi casi vengono dalla fame di un barcone e dividono lo spazio con i topi. Un momento: adesso non andate a pensare che questi bambini sono tristi perché Veltroni s’è cercato col lanternino protagonisti disperati. Non è così. Sono bambini normali.

13/09/2014 Roma, set del film Bambini in Italia regia di Walter Veltroni

Walter Veltroni sul set del film

Certo non i figli del privilegio, lo si capisce anche dalle inquadrature delle loro stanze nella parte finale del film, non quei «figli di», insomma, che hanno in massima parte un avvenire assicurato anche se comunque non esaltante. Però normali, come tanti, come un po’ tutti. Parlano dell’esistenza, di calcio e altri sport, di «fidanzati» e «fidanzate» cui non hanno avuto il coraggio di rivelare i loro sentimenti perché poi, sui sentimenti, sono prudenti e incerti, non essendo per niente sicuri che siano una svolta nella vita.

Un’ora e mezza di semplici dichiarazioni sconcertanti di questi piccoli trentanove futuri donne e futuri uomini, già così senza speranza (anche se la parola speranza  ricorre, ma con scarsa convinzione, mi è parso) è davvero un duro colpo. Veltroni ha scelto di non mediare, di non costruire una trama, un contesto, perché potessimo dirci: ah, bè, questo bambino è così malinconico perché è stato adottato in queste condizioni, ah bè, quest’altro è cresciuto in un circo ed è il giudizioso e coraggioso eroe del trapezio a suo rischio e pericolo, e persino questa bambina che da grande vuole fare l’attrice non sembra poi così felice della propria idea di futuro e quest’altra com’è sobria nell’affermare la sua mancanza di prospettive. Aiuto. Non eravamo semplicemente preoccupati che i nostri figli e nipoti stanno sempre incollati a uno smartphone, sempre su Facebook, sempre connessi? Ora scopriamo che il problema non è che «non leggono», ma che siamo riusciti a distruggere totalmente l’allegria dell’infanzia (se mai ce ne fu una). O almeno la nostra illusione che ci fosse.

Due piccoli protagonisti del film

Due piccoli protagonisti del film

Io non so cosa pensare del film di Veltroni, non me ne importa nulla di stabilire se è un bel film o un cattivo film. So che ha acceso sull’infanzia una luce inquietante e di conseguenza l’ha accesa sugli adulti e sui genitori e sugli educatori e sul futuro prossimo. E forse il finale retorico dei Bambini sanno con quel piccolo rom, dallo sguardo insostenibile per quanto è profondo, che corre verso il mare per la prima volta, non è per niente melenso. E’ che i bambini in fondo si contentano di poco, ma il problema è che non sappiamo più dargli neanche quel poco. E non perché non ne abbiamo i mezzi, ma perché non abbiamo più la cosa che conta sopra tutte le altre, la disponibilità del nostro tempo, la generosità di donarlo a un’altra creatura che ne avrebbe – di passarlo davvero con noi quel tempo – un estremo, disperato bisogno.

 

 

 

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