Autobiografia dei miei cani

 

Autrice:

Sandra Petrignani

 

 

Casa Editrice:

Gramma Feltrinelli

 

 

Data Pubblicazione:

2024

 

 

 

 

Recensioni

 

L'autobiografia sentimentale di Sandra Petrignani tra cani, amori e dolori che straziano l'anima di Alberto Infelise

 

Ci sono, nelle nostre vite, una serie di dettagli che rimangono impressi nella memoria. A volte restano lì, depositati chissà dove, e tornano in mente per cullare o torturare. Altre volte diventano letteratura. Al secondo caso appartengono i ricordi di Sandra Petrignani che con il suo ultimo libro inaugura Gramma, il nuovo imprint di Feltrinelli, «una collana che nasce per andare alla ricerca della potenza della scrittura». E Petrignani con questa sua Autobiografia dei miei cani colpisce, profonda, nel segno. Petrignani, pagina dopo pagina, accarezza quella materia che fu anche di Natalia Ginzburg. E non è una sorpresa, ma una bellezza sì. Perché apre con le parole le porte di quelle case del proprio passato, di quelle strade, di quelle madri che vigilavano su figli che giocano tra vie e giardini, vivendo quella vita bellissima che una volta vivevano i bambini, fatta di libertà e fantasia, finché non era ora di tornare a mangiare. Già da quei primi giorni sbucano, dietro a un cancello o durante una passeggiata, i cani che sono presenza costante di tutta un'esistenza. Una presenza fatta di molte cose e di tutti i loro opposti. Di felicità e dolore, di leggerezza e fatica, di presenza e assenza, di amore e di disperazione. E ovviamente di morte. Perché, ahinoi, i cani scelgono di amarci con tutto il loro cuore e se siamo fortunati ricambiamo vivendo al loro fianco da complici: ma la loro vita dedicata al rapporto con noi dura pochissimo. Come per tutti i grandi amori (o forse no, non proprio per tutti) quando muore un cane che abbiamo amato non riusciamo a pensare di buttare il nostro cuore in quel mare perché possa amare di nuovo. Ma poi finisce che sì, non ci si può trattenere da un nuovo amore. E questo è, a dire il vero, il motivo dominante di questo memoir. Non ha nessun senso, nella vita, tirarsi indietro, risparmiarsi, evitare di dire o manifestare cosa si agita dentro un'anima (la nostra) temendo che la troppa voglia di vita ci sovrasti, o al contrario vivendo limitando in ogni contesto quei morsi che la vita pretende e dà. Questo, peraltro, lo insegnano i cani, che non hanno remore e amano ogni giorno come se fosse inevitabile farlo. C'è una cura, un'attenzione ai dettagli nella narrazione (e presumo nella vita) di Petrignani che spiega perché di ogni aspetto della vita si possa fare letteratura («Everything is copy», scriveva Nora Ephron). Come si racconta di un padre che è passato attraverso le privazioni della Seconda Guerra Mondiale, quando molti dei nostri padri avevano poco o niente da mettere in tavola? Lo si può raccontare a lungo, oppure lo si può descrivere a tavola, anche quando la normalità è recuperata, andare a caccia di ogni briciola rimasta sulla tovaglia perché nulla vada sprecato. Così Petrignani mostra, non spiega. Descrive quella Roma meravigliosa di Montesacro e Città Giardino che sembra un mondo tutto a parte almeno fino alla Nomentana, e poi quella esotica del quartiere Africano con quella distesa di nomi coloniali e Villa Chigi allora selvaggia e terra di libertà per cani e compagni umani che non hanno un nome proprio ma si definiscono grazie a quello del quadrupede di riferimento. Mancano due cose ancora: l'amore e la morte, che poi sono cugini. Gli amori qui sono come dovrebbero essere, liberi, assoluti, richiedenti, forti come un orgasmo roboante che fa cadere le pareti: altrimenti è starsi simpatici. Le morti sono così dolorose che chi le ha provate trattiene il fiato a leggerle, così maceranti che non è detto si trovi il coraggio di scriverne. Ma se siamo qui è perché, alla fine, Petrignani quel coraggio lo ha trovato.

 

La Stampa - 28/04/2024

 

 

Si parla di cani, ma è il memoir di una vita di di Brunella Schisa

 

NON fatevi confondere dal titolo del libro di Sandra Petrignani: Autobiografia dei miei cani non è un manuale per cinofili ma un memoir intenso, ironico e doloroso. Dall'infanzia a Piacenza all'ultimo tra sloco in un appartamento del quartiere romano Monti, che talvolta condivide con quattro cani. In mezzo sessant'anni di vorticosa vita sentimentale e lavorativa raccontata con stile asciutto, elegante che nulla concede al superfluo. In perenne movimento, pendolare tra Roma e la casa in campagna ad Amelia, il lavoro di gior nalista culturale e scrittrice, tre mariti, diversi amanti, e tanti cani (ne ho contati diciassette): Rocky, Mago, Wendy, Guapa, Lenin, Ruggero... Incolpevoli creature raccolte per stra da o nei canili. «I cani sono migliori degli uomini perché sanno ma non dicono» diceva Emily Dickinson. Petrignani li comprende, interpreta i loro sguardi, i movimenti della coda, gli abbai, i sorrisi che talvolta fanno. Con lo sguardo acuto con cui ha osservato le sue amate scrittrici, Yourcenar, Colette, Blixen osserva i suoi cani, e attraverso di loro ci racconta la sua vita. Quando uno scrittore decide di mettersi a nudo è perché ha un'urgenza. È stato così anche per Petrignani. Aveva bisogno di raccontare un evento drammatico accaduto diversi anni prima per liberarsi di un macigno che la opprimeva. Il movente però dovrete scoprirlo leggendola. La memoria è fallace e lo scrittore è "un fingitore". C'è da fidarsi di quello che racconta su di sé? «È tutto vero ed è tutto finto. Ho scoperto che nemmeno nella scrittura autobiografica riesci a essere fedelissima a te stessa. Quando scrivevo di Natalia Ginzburg o di Marguerite Duras ero costretta a essere fedele ai fatti, ma se parli di te sei padrona di mentire e menti perché le regole della narrativa lo esigono. Lo fai per dare il cuore alla tua verità e mentendo dici la verità». I suoi racconti sono punteggiati da un dialogo della protagonista Elettra con uno scrittore di cui lei non fa il nome, ma non è difficile riconoscere Daniele Del Giudice. «Il mio interlocutore è una summa di scrittori con cui nel corso degli anni ho riflettuto sulla letteratura. Malgrado la leggerezza che dovrebbero portare gli animali, questo è un libro sul destino, sulla fine, sulla perdita di animali e di persone. Il mio vero interesse nella vita è la letteratura, e quella tra quei due personaggi è un'amicizia sentimentale, soprattutto di testa, che ha caratterizzato in modo importante alcuni miei rapporti con diversi scrittori, qui riassunti in uno solo». Scrivere del suo dramma l'ha aiutata a liberarsene? «È stata a lungo una storia indicibile, un dramma tremendo. Pensavo che scrivendone me ne sarei liberata, ma non è stato così, perché mentre correggevo le bozze ho pianto».

 

Il Venerdi di Repubblica 3 maggio 2024