Terzani al cinema (Giudizio Universale 1/4/11)

Terzani al cinema (Giudizio Universale 1/4/11)

Un padre, un figlio. Del padre sappiamo tutto, storia e leggenda. Tiziano Terzani è stato un grande reporter di guerra, un giornalista onesto che cercava «la verità dietro le parole» e di parole ne ha dette e scritte tantissime. Lo possiamo conoscere attraverso i suoi libri, giornalistici, romanzi, testimoniali, persino spirituali (tutto a modo suo, un modo inconfondibile). Del figlio sappiamo invece molto poco. Avendo conosciuto sia l’uno sia l’altro, Tiziano e Folco, avevo paura, lo confesso, di vedere questo film, come si ha paura di entrare, comunque estranei, in una privatezza invalicabile, o  – peggio – temevo di trovarmi davanti due maschere inaccettabili, due impostori – gli attori –  usurpatori di corpi e voci reali.

Non è così. Il film, di Jo Baier e di produzione tedesca,  è generoso come la storia vera che racconta e si avvale di due interpretazioni esatte, sottili – impressionanti nel calco non caricaturale delle persone vere – quelle di Bruno Ganz, il padre, e di Elio Germano, il figlio, affiancati da una Erika Pluhar, nei panni della moglie di Tiziano, Angela, sobria e defilata, ma sempre intensa a ogni apparizione. L’ottima sceneggiatura è di Folco Terzani, autore anche del libro da cui la pellicola è tratta, La fine è il mio inizio (edito da Longanesi) insieme all’intelligente produttore Ulrich Limmer. Film di parola che paradossalmente ha la sua forza nel non-detto, nelle scene fondamentali in cui parlano gli sguardi, i silenzi, le perplessità. Storia di una vita fuori dall’ordinario e di idee forti, sulla contemporaneità, sulla pace, sulla guerra, sulla serietà dell’essere, sulla morte di una persona che ha saputo restare sempre, fino alla fine, coerente con le proprie scelte, esperienze, convinzioni, esempio oggi più che mai eccezionale. Ma anche, e nel film più che nel libro, storia di un rapporto a suo modo difficile, soprattutto per il figlio. E non solo perché questo figlio si trova ad accompagnare nella morte una figura amatissima e gigante, ma perché deve raccoglierne il testimone e, ancora una volta, farsi piccolo, umile e secondario, soffocando reazioni e conflitti. Bello tutto ciò che nel film sa alludere alla delicatezza della posizione di Folco e ai suoi scioglimenti.

Del valore degli insegnamenti di Tiziano Terzani, che naturalmente dominano la scena, non sto a dire, perché fanno parte della concretissima leggenda di uno scrittore che ciascuno può scoprire non solo attraverso questo film, ma direttamente nell’opera, fuori dagli schemi, che ha lasciato. Perfette le musiche di Ludovico Einaudi.

 

 

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