Il film dei Dardenne a Cannes (Giudizio Universale 18/5/11)
Diceva Bruce Chatwin che se tutti i bambini fossero amati, come sarebbe giusto e necessario, il male sarebbe sconfitto e l’umanità vivrebbe in pace, senza conflitti. Perché gli adulti sono tanto più nevrotici e aggressivi quanto meno hanno potuto contare, da piccoli, sull’affetto e la protezione dei genitori. Il nuovo film di Jean-Pierre e Luc Dardenne, Il ragazzo con la bicicletta, in concorso a Cannes e da oggi nei cinema italiani, racconta il dramma del non-amore in un bambino di quasi dodici anni, Cyril, abbandonato dal padre in una casa famiglia. Fortunatamente Cyril incontra in Samantha, una parrucchiera che accetta di tenerlo con sé nei fine settimana, la fonte di amore, accoglienza, comprensione di cui è stato defraudato. Ma non è semplice per nessuno, né per il ragazzo ossessionato dal vuoto della propria insignificanza, né per la madre vicaria né per gli operatori sociali che devono contenerne solitudine e furie. E non era semplice raccontare questa storia semplice senza pietismi e principi edificanti. I Dardenne lo hanno fatto in un’ammirevole minimalismo di gesti e parole, riuscendo a dire, all’osso, tutto quanto andava detto sulla fragilità dell’essere umano, sul valore salvifico dell’amore, su come l’amore, per essere utile, non possa essere separato da una grande intelligenza del cuore. È un’opera sobria e commovente che, costruita come una favola (strutturalmente), ha la forza diretta di un documentario. Gli attori sono straordinari, a cominciare dal giovane Thomas Doret, passando per Jérémie Renier nei panni sgradevoli eppure di grande naturalezza del padre immaturo, per arrivare a Cécile de France che gioca il suo ruolo fra controllato sentimento materno e profonda sintonia col dolore del ragazzo: degna di una Palma come migliore attrice protagonista capace di recitare anche solo, a momenti, con una dimessa potente fisicità.
I Dardenne non sono soliti ricorrere a facili effetti sonori per sottolineare i sentimenti che passano nei loro magnifici film, ma qui l’uso drammatico del concerto Imperatore di Beethoven è l’unica nota sontuosa che concedono, in modo molto calibrato, a una storia umilmente esemplare e il risultato è efficacissimo.