Festival Gita al Faro (L’Unità, 3/7/2012)
Sono stata quasi una settimana in vacanza a Ventotene, piccola isola delle Pontine, piena di grazia, gentilezza, bellezza. Veramente non è stata proprio una vacanza. Ho lavorato. In cambio del soggiorno ho dovuto scrivere un racconto ambientato nell’isola. E con me dovevano farlo altri sette scrittori coinvolti nell’invito, Barbara Alberti, Marco Baliani, Caterina Bonvicini, Marco Lodoli, Francesco Pacifico, Laura Pariani, Sandro Veronesi. Ma non basta. La sera, “per contratto”, ci sedevamo a mangiare tutti insieme delle fragranti ricciole, delle saporitissime zucchine alla scapece, e intanto parlavamo di “ruolo dell’intellettuale azzerato dal marketing”, “ispirazione”, “autofiction”, “confronti generazionali”, sollecitati, interrogati, pungolati dalla nostra “capoclasse” Lidia Ravera, nei panni di direttrice artistica del Festival Gita al Faro. Un nome pensato da un gruppo di cinque trentenni (a proposito di T/Q), tutte donne, Francesca Mancini, Laura Pesino, Marianna Morano, Vania Ribeca e Alessandra Mulas, tutte simpaticissime, professionali, entusiaste ma con sobrietà.
Da anni vanno in vacanza a Ventotene, da anni si stressano mal pagate in lavori e lavoretti (spesso editoriali). Così hanno fondato l’associazione Tùrbìne, sede a Roma in via del Pigneto (il quartiere al momento più giovane della città) per creare eventi culturali. Il festival Gita al Faro è il primo. E hanno pensato a Lidia Ravera, come “capitana” anche perché autrice di un bel libro dedicato a un’isola, A Stromboli (Laterza).
Sì, la nostra vacanza collettiva altro non era che un festival letterario, ultimo nato dei tanti sparsi sulla penisola, ma con formula complessa e articolata, che si è tenuto a Ventotene dal 25 al 30 giugno. Non per niente l’ha strutturato una romanziera, critica – come tutti noi che l’abbiamo seguita sull’isola – verso la dittatura massmediatica sulla minoritaria cultura scritta. Ma anche amante delle sfide; perciò, raccogliendo un’idea delle turbinose Tùrbìne, la sua proposta è stata: non solo scrivere, non solo confrontarsi, ma anche accettare l’invadenza di una cinepresa accesa sulle nostre facce struccate e stanche, i nostri chili di troppo o di meno, la nostra disabitudine e persino avversione rispetto all’imperante smania di “reality”. Dovevamo diventare protagonisti di un reality intelligente? Forse. Metterci in gioco con un po’ di autoironia per quello che siamo, gente che il narcisismo lo pratica e coltiva usando più l’interiorità che il corpo.
Cosí la telecamera ci ha seguiti mentre discutevamo e poi andavamo in gita fra le rovine di Villa Giulia o al carcere borbonico di Santo Stefano, l’isola di fronte, o curiosavamo nella libreria in piazzetta, Ultima Spiaggia si chiama, o facevamo amicizia con i camerieri più simpatici del bar dove sostavamo spesso bighellonando o scrivendo, o giocando a bigliardino, soprattutto ricreando in piccolo e con naturalezza quella cosa che ci manca parecchio, quella che una volta era la società letteraria, in cui la sorte di uno scrittore veniva decisa non dai manager e dalle classifiche, ma dai suoi pari e ti vedevi al caffè senza darti appuntamento e chiacchieravi di futilità come dell’ultimo libro di Elsa Morante, fra una trattoria a credito e una mostra di pittori nuovi.
A Ventotene si è ritrovato quello spirito, telecamere accese o spente, e questo è stato molto piacevole e diverso da ogni altra esperienza festivaliera del genere. Ma ancora più interessante per noi, credo di poter usare il plurale, e immagino e spero anche per chi leggerà i racconti quando verranno stampati o per chi vedrà il documentario di Katia Goldoni e di Sara Ristori, ritrovare in ciò che abbiamo scritto sull’isola la traccia di esperienze condivise, vedere la forma differente che uno stesso episodio ha preso dentro la testa di diversi scrittori.
Come quando con Sandro e Caterina abbiamo nuotato verso un isolotto e Sandro si è perso un anello in mare, un anello cui teneva enormemente, e ci siamo messi tutti a cercarlo senza speranza, ma magicamente l’anello è stato ripescato. E naturalmente è ricomparso in tutti e tre i nostri racconti, quando sul palco nelle ultime due sere li abbiamo letti al pubblico nei Giardini del Comune a poca distanza dal faro e accompagnati al piano da un giovane compositore di valore, Valerio Vigliar, che ha creato musiche ispirate alle nostre storie. Sì, perché alla fine la gita al faro c’è stata, sotto la forma, vecchia come il mondo, di storia raccontata a voce da un narratore a un ascoltatore desideroso di ascoltarla. Anzi ai tanti ascoltatori che sono venuti a sentirci, isolani e turisti di passaggio.
Il faro, in gara con una splendida luna e con le inevitabili luci di palcoscenico, era lì a gettare sulla suggestiva manifestazione notturna il suo woolfiano occhio intermittente.