Ritorniamo a Malerba (L’UNITA’ 11/6/14)

Ritorniamo a Malerba (L’UNITA’ 11/6/14)

Unknown-1«Ho sempre desiderato viaggiare a zig zag, fare digressioni e deviazioni come i nostri antenati che viaggiavano in diligenza» scriveva Luigi Malerba introducendo Il viaggiatore sedentario, la raccolta del 1993 dei suoi scritti sulla Cina e «altri Orienti» per dirla con Giorgio Manganelli, un altro scrittore che lui amava e che lo amava. E aggiungeva: «Un tempo si partiva per viaggiare, oggi nella maggioranza dei casi si parte per arrivare». A otto anni dalla sua scomparsa (è morto a Roma a 81 anni, nel sonno, per le conseguenze di un enfisema e altri sconquassi) questo viaggiare a zig zag, questo partire per viaggiare e non per arrivare – dunque controcorrente – mi sembra una precisa rappresentazione del suo lavoro, in un momento in cui la sua opera, dopo un periodo di indecoroso inabissamento, torna massiccia per la felicità di chi non l’ha mai dimenticato e per conquistare, come immagino avverrà, tanti nuovi lettori. In attesa del Meridiano Mondadoriano, nella primavera 2015, ha cominciato la Quodlibet proponendo nei giorni scorsi, nella collana “Compagnia Extra”diretta da Ermanno Cavazzoni, le spettacolari Galline pensierose del 1980, definite «zen» da Italo Calvino. Nato come testo per bambini si è subito rivelato «uno specchio deformante della generale stupidità umana», così lo definisce Cavazzoni, che riconosce in Malerba «uno dei migliori scrittori italiani del secondo ‘900» e, per quanto lo riguarda, fra gli autori che lo hanno influenzato di più «per la sua maniacalità», per il suo tono «leggero e punzecchiante».

Ermanno Cavazzoni

Ermanno Cavazzoni

Oggi le Galline – vecchie e nuove più 15 inedite – sono in tutto 155: c’è quella che, finita in mezzo al trambusto di uomini e cavalli in una strada, si convince di aver partecipato alla battaglia di Waterloo e va in giro orgogliosa perché testimone di un fatto storico; quella che inventa la ruota, ma nessuno ne capisce l’importanza; quella che cerca in cielo la Costellazione della Gallina che però la delude perché l’uovo non lo fa; quella che pensa di avere un profilo etrusco; quella pazza che si crede chicco di grano, e scappa davanti alle altre galline, poi guarisce ma scappa lo stesso, perché pensa che le compagne la vedano ancora come chicco di grano… Paradossi, capovolgimenti, mise en abyme, scatole cinesi, situazioni labirintiche, invenzioni linguistiche, una comicità sottilmente amara sono gli ingredienti principali di una scrittura che ha trovato subito sistemazione in libri come La scoperta dell’alfabeto, Il serpente, Salto mortale piovuti negli anni Sessanta con una forza innovativa e sperimentale capace però di non alienarsi completamente il pubblico, grazie a un modo stralunato, vagamente infantile, ma sornione, di vedere il mondo. Tutti e tre questi importanti titoli sono sbarcati in questi giorni in libreria e in e-book o lo saranno entro giugno per Mondadori, insieme a Il pianeta azzurro, Il fuoco greco, Testa d’argento, Il circolo di Granata, Dopo il pescecane.

Due copertine storiche di Gigi Malerba

Due copertine storiche di Gigi Malerba

«Il fatto che, in tempi di sfrenata omologazione quali sono i nostri, torni in commercio così massicciamente un autore tanto originale, è un buonissimo segno» osserva Paolo Mauri che ha scritto nel 1977 il primo studio monografico dedicato a Malerba nella celebre collana Il Castoro della Nuova Italia (volumetti adorati dagli studenti che li chiamavano i castorini). Mauri è stato anche legato da un’amicizia più che trentennale all’autore del Pataffio (a proposito ritroveremo questo romanzo storico, ambientato nel Medio Evo, il prossimo febbraio dalla Quodlibet come pure il saggio Strategie del comico) e lo ha avuto fra i collaboratori più significativi quando diresse il trimestrale Cavallo di Troia, negli anni ’80 che «spiritoso e goliardico, si proponeva di esplorare l’illecito in letteratura, passando dal gioco di parole alla delazione, dalla recensione piratesca all’intervento allegorico o giocoso». Era il periodo di un’avventura editoriale, la Cooperativa degli Scrittori – che pubblicava la rivista – tentata dal Gruppo ’63 in polemica con la grande editoria, per ridare agli scrittori il potere di scelte «dal basso» nel clima di controcultura sessantottesco ancora diffuso. Un’avventura in cui Gigi, così gli amici chiamavano sempre Malerba, si era buttato con entusiasmo, ma destinata a un rapido fallimento.

Il fallimento non è del resto inevitabilmente iscritto nell’orizzonte di una lingua letteraria che procede per sottrazioni, menzogne, camuffamenti, isterie, sarcasmi? E non è la sua comicità un modo amaro e insieme demistificante di farvi fronte? «Certo quando si parla della comicità di Malerba» spiega Paolo Mauri «non si deve pensare alla declinazione contemporanea, sfottente e caricaturale che strappa risate meccaniche e superficiali. La sua era una comicità liberatoria e paradossale, problematica, fredda. Non a caso amava un comico che non ride mai, Buster Keaton».

Walter Pedullà (primo a dx), Paolo Mauri (terzo da dx), Anna Malerba (terza da sx)

Walter Pedullà (primo a dx), Paolo Mauri (terzo da dx), Anna Malerba (terza da sx)

«Gigi era spesso scontento degli altri» dice la moglie Anna Lapenna. «Era un solitario, litigioso, impaziente e intollerante. Intollerante nel senso che non tollerava le ingiustizie, le cose storte. Di se stesso diceva: “Sono antipatico, e potrei essere odioso se mi ci metto”. Veniva percepito scostante, perché era molto timido. Ma era leale, coraggioso e generoso». Ricorda con un brivido dell’antica paura le battaglie ambientaliste del marito a Orvieto, dove abita tuttora la loro antica casa. «Si beccò cinque processi, e li vinse tutti, ma che fatica!» Orvieto gli deve molto, se ha conservato il suo borgo medievale che la speculazione edilizia voleva far fuori, ma non c’è nemmeno una strada in città dedicata allo scrittore…

Mario Fortunato

Mario Fortunato

«E’ la riconoscenza che l’Italia riserva ai suoi artisti» osserva Mario Fortunato, uno scrittore che, essendo vissuto parecchio in Germania, constata come i tedeschi abbiano conservato interesse per Malerba, continuando a pubblicarlo senza interruzioni, anche quando da noi veniva lasciato uscire dal catalogo. «Gli stranieri amano quel tipo di comicità popolare e stralunata, felliniana se vogliamo, che era una caratteristica della nostra cultura e che abbiamo perso quasi del tutto». E un altro poeta e narratore più giovane – è del ’63 – Paolo Nori, che con Cavazzoni ha tenuto recentemente a Bologna delle letture da Malerba, dice che da subito, da quando scoprì Il serpente solo nel ’96, lo colpì nella sua scrittura «la misura nell’ardimento» e una capacità di essere originale lasciandoti però la traccia di un pensiero che diventa «strumento per stare al mondo».

Il Meridiano mondadoriano è una consacrazione che viene da lontano. Gigi firmò il contratto riluttante («ma i Meridiani sono per i morti!» diceva) senza una scadenza precisa. Negli anni si sono accumulati altri titoli, che non entrano tutti in un volume solo. La scelta è stata sofferta, difficile. Qualche titolo è ancora incerto. «Ma il saggio introduttivo di Walter Pedullà è bellissimo» annuncia Anna, e la cronologia, «di grande respiro, puntigliosa», è curata dall’italianista Giovanni Ronchini, autore di Dentro il labirinto (Unicopli), studi sulla narrativa di Luigi Malerba. Il cui vero nome era Bonardi, ed è con l’immagine di un uomo buono, dai denti stretti intorno alla pipa e le magre gambe accavallate, acido solo con i cattivi, che mi piace, concludendo, ricordarlo.

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